Opera in two acts and an intermezzo in Italian Libretto: Ildebrando Pizzetti after T.S. Eliot’s Murder in the Cathedral Premièr at Teatro alla Scala, Milan – 1 March 1958
Leyla Gencer with La Scala's rammentatore Vasco Naldini
RADIOCORRIERE.TV
1958 February 23 - March 1
UNA NUOVA OPERA DI
ILDEBRANDO PIZZETTI
«Assassinio nella Cattedrale»
in prima assoluta
alla Scala
Con ininterrotta alacrità e prontezza d'intuizione sempre
viva, dopo La figlia di Jorio apparsa al San Carlo di Napoli nel dicembre 1954,
Ildebrando Pizzetti presenta oggi alla Scala un forte dramma di pensiero,
Assassinio nella Cattedrale, su testo ricavato, in una opportuna riduzione per
l'adattamento musicale, da Murder in the Cathedral di Thomas Stearns Eliot.
Pizzetti, con spirito di coerenza che nessuno potrà
disconoscergli, mantiene fede, in questo dramma, ai suoi sentimenti estetici.
Per lui né « l'orazione », come diceva Monteverdi, deve essere « serva » della
musica, né, viceversa, farla da padrona, ma parola e musica debbono essere
unite in ispirito ai fini dell'espressione comune che è l'azione, cioè il
dramma. La parola è l'azione stessa che si compie nella musica. Secondo il
sentimento artistico di Pizzetti (non teoria, la quale essendo unilaterale
......
Il celebre dramma di Eliot, musicato dal compositore
italiano, sarà diretto da Gianandrea Gavazzeni – protagonista Nicola Rossi
Lemeni — e trasmesso in collegamento diretto con le stazioni del Programma
Nazionale
..... sarebbe inammissibile perché contraddittoria alla
categoria estetica), la parola del dramma non deve riversarsi nella musica ed
esserne assorbita, come accade nel melodramma, ma deve, serbando il suo potere
drammatico, cioè d'azione, compiersi nella musica. La concezione di un dramma
integrale, non qualificato dalla musica come nell'opera, ma dalla parola che
continua nella musica la sua vita d'azione e la compie, costituisce il
carattere fondamentale del dramma pizzettiano.
Assassinio nella Cattedrale è in due atti e un
intermezzo, Protagonista è l'Arcivescovo Tommaso Becket, al suo ritorno a
Canterbury dopo sette anni di esilio. Ma più che la sua persona fisica al
centro del dramma è la sua coscienza nella quale religione e morale
costituiscono l'assoluto della vita spirituale. Talché egli può affrontare la
morte, più che come martirio, come superamento dei limiti umani e aspirazione
alla suprema libertà al servizio di Dio.
Il dramma musicale si compie attraverso l'azione corale e
quella dei solisti. Il coro, drammaticamente animato nella molteplicità delle
voci, si effonde in liriche ampiezze di canto là dove la parola consente
accenti soggettivi. L'entrata delle Donne di Canterbury inizia il dramma
appunto con un coro a tre voci (Siamo noi trascinate nel pericolo). Segue il
dialogo dei Sacerdoti con l'Araldo che, su un movimento mosso (moderatamente
concitato) diventa febbrile ed ansioso fino al grido delle Donne, con ripresa
del Coro, che invocano il ritorno dell'Arcivescovo. Con l'arrivo di questo e il
suo incontro coi Tentatori, dopo un cambiamento di scena, il dramma si svolge
dialetticamente, secondo la concezione del declamato pizzettiano innestato
nella trama sinfonica della orchestra intessuta di movimentate vibrazioni
tematiche, S'odono misteriose voci dall'aria. Uno squarcio corale di maggior
respiro si svolge dalle parole Signore noi non siamo state felici.
La figura dell'Arcivescovo si delinea più intensamente al
canto Trent'anni fa cercai tutte le strade che con movimento più intenso
conduce alla fine dell'atto.
Nell'Intermezzo l'Arcivescovo predica nella Cattedrale.
La sua voce spazia incisiva. Durante un breve intervallo del suo parlare
l'orchestra commenta con un Largo la solennità del momento. Poi l'Arcivescovo
conclude la predica con serena dolcezza.
Il secondo atto si apre con una breve introduzione di un
oboe solo. Riprende il canto della Corifea e del Coro, Sono voci di freschezza
primaverile « Purificarsi deve questo mondo nell'inverno per non avere un'acre
primavera ». La orchestra è scossa da brividi di fluttuanti armonie. Tra vaghi
germogli di ritmi il canto della Corifea si piega a curve leggiadre. Tra il
risonare di canti gregoriani, all'entrata dei Sacerdoti, la atmosfera diventa
religiosa e solenne. Poi entra l'Arcivescovo, arrivano i Cavalieri, il dramma
incalza. Le Donne hanno un presagio di sventura (I messi della morte).
L'Arcivescovo, investito dai Cavalieri, oppone alle accuse la sua voce
sentenziosa di una distaccata serenità, I Cavalieri, compiuto l'assassinio, si
rivolgono agli spettatori, al suono grave di una campana e dell'orchestra,
cupa. L'atmosfera si riempie di voci, il coro si amplifica, ingrossa, e il
dramma, in una catarsi religiosa, si chiude solennemente nella grandiosità del
Te Deum. « Te ringraziamo Dio per la redenzione di sangue » Guide Pannain
sabato ore 21 progr. Nazionale
Photo: Roma.
Ildebrando Pizzetti fra le musiche e i libri del suo studio
Confidenze del musicista
Ogni mio incontro con il Mo Pizzetti, le volte che si giunge alla vigilia
attesa di un nuovo battesimo, è sempre una esperienza preziosa d'arte, di
cultura e di umanità. Siamo dunque a febbraio e, con la consueta puntualità,
Pizzetti accudisce, terminato e messo a punto il lavoro di creazione, alla
realizzazione della sua nuova impresa. Ardua impresa che ha nome Assassinio
nella Cattedrale dall'omonima tragedia di T. S. Eliot: dramma, o tragedia,
ampiamente nota nella sua veste originale di sola prosa e che ora apparirà al
Teatro alla Scala il 1° di marzo rivestita delle note pizzettiane.
Come in tutte le altre ore delle grandi vigilie, da Fedra a Debora, da Fra
Gherardo a Orseolo, da Ifigenia a La figlia di Jorio, così anche questa volta
il Maestro appare sereno, tranquillo, perfettamente consapevole dei valori
della sua opera. Gli chiedo come prima cosa se l'idea di musicare il dramma di
Eliot sia nata in lui spontaneamente, se sia cosa recente, se sia il frutto di
una amicizia di vecchia data con il drammaturgo, ed egli risponde
semplicemente:
Nel 1936 mio figlio Bruno mi rivolse questa domanda: "Babbo, tu
dovresti musicare l'Assassinio nella Cattedrale..."; nel 1948, da dodici
anni dell'Assassinio mai più avevo parlato con nessuno, mia moglie Riri, quasi
presaga, così mi chiese: "Perché non scrivi la musica per l'Assassinio
nella Cattedrale? Pare fatto proprio per te "».
Dovevano passare esattamente altri otto anni perché il dr. Guido
Valcarenghi della Casa Ricordi proponesse al Maestro di musicare l'opera di
Eliot. Naturalmente, la porta era già aperta! Pizzetti tiene anche a farmi
sapere che egli si diede alla composizione del lavoro nel 1956 senza
preoccuparsi menomamente delle trattative che nel frattempo la Casa Ricordi
andava svolgendo con l'autore e il suo editore. Eliot, saputo che il Maestro
italiano si accingeva a musicare il suo capolavoro, se ne dimostrò subito
felice ed onorato, riconoscendo valida, come traduzione italiana, quella di
Monsignor Alberto Castelli. Su questo punto il M° Pizzetti così precisa:
Traduzione ottima invero che risponde e riflette perfettamente il pensiero e la
scrittura di Eliot ma che a me musicista, avvezzo coi drammi su miei testi
originali e su quelli d'altri (Fedra, La figlia di Jorio), imponeva il ritmo
dell'endecasillabo e del settenario; pertanto, prima di accingermi alla stesura
musicale, feci opera di versificatore impiegando quei due metri. Così, mi sarei
sentito veramente nel mio ambiente creativo, per di più sollecitato dalla
musicalissima potenza del dramma di Eliot».
L'opera si compone di un primo atto, di un intermezzo, di un secondo atto.
Pizzetti mi fa sapere che sua grande preoccupazione fu, sin dalla prima lettura
approfondita del testo, proprio la realizzazione dell'intermezzo, Come si sa
questo intermezzo » è occupato quasi interamente dalla predica dell'Arcivescovo,
ma, nel suo lungo discorso nella cattedrale di Canterbury, l'Arcivescovo
stesso, unitamente alle forti espressioni di umanità e di dolore nonché ai
vaticini riguardanti la sua prossima fine, unisce lunghe e profonde digressioni
teologiche; e un dramma lirico ciò non poteva comportare. Il M° Pizzetti mi
spiega come ha risolto il problema: «Ho lasciato, della predica, solo la breve
parte che ci introduce nelle profondità dell'animo dell'Arcivescovo, poi, ne ho
interrotto il filo cantato, quindi vocale, e mi sono valso del solo elemento
sinfonico, per una durata di 5-6 minuti, onde esprimere con l'unico apporto del
mio linguaggio musicale la essenza della predica dell'Arcivescovo. Questi
riprende la parola, mentre riappare la visione della Cattedrale (scomparsa
all'inizio della sinfonia) per concludere la sua predica: "Figli cari di
Dio, oggi ho voluto parlare a voi dei martiri, perché non credo che potrò
parlarvi ancora, e perché potrà darsi che fra breve abbiate un nuovo martire,
che forse, forse non sarà l'ultimo. Possiate custodire in cuore queste parole
ch'io v'ho detto, sì che abbiate a ricordarle poi, in altro tempo. In nomine
Patris, et Filii, et Spiritus Sancti: Amen "».
Il Pizzetti mi fa notare infine che l'assoluta mancanza di personaggi femminili
gli imponeva un rimedio ed egli ha creduto di ritrovarlo nella creazione di due
corifee alle quali sono affidati i versi più significativi del dramma, Il
secondo atto, ad esempio, si apre con un lungo recitativo di una corifea.
«Posso assicurarla ha concluso il M° Pizzetti che nel finale, con l'apoteosi
corale che mi apparve subito chiaramente delineata, ho ritrovato appieno tutti
i simboli e i valori del dramma musicale come è sempre stato da me concepito.
Non le nascondo che proprio la prospettiva di musicare un finale simile mi ha
convinto a dedicarmi, con la mia musica, ad un lavoro dramma. tico, non ideato
e scritto da me».
Dopo la Fedra, nel 1909, La figlia di Jorio, nel 1954, entrambe di D'Annunzio,
eccoci oggi a l'Assassinio nella Cattedrale di T. S. Eliot. [Remo Giazotto]
« ASSASSINIO NELLA
CATTEDRALE » ALLA SCALA
Photo: Nicola Rossi Lemeni (L'Arcivescovo
di Canterbury)
Il libretto dell'opera
Atto 1° Tommaso Becket, Arcivescovo di Canterbury, vive in esilio da oltre sette
anni in seguito a contrasti avuti con re Enrico d'Inghilterra, La sua assenza è
motivo di profondo dolore per le povere donne di Canterbury che, private della
sua guida spirituale, ne attendono con trepida ansia il ritorno. In un grigio
pomeriggio d'inverno, il 22 dicembre 1170, esse sono riunite davanti alla
Cattedrale, quasi presaghe di un imminente pericolo, ed ecco sopraggiungere
d'improvviso un Araldo che reca la notizia dell'arrivo dell'Arcivescovo, il
quale, accordatosi con il Papa e con il Re di Francia, è deciso a rientrare
nella sua sede e ad opporsi ad ogni colpevole pretesa di re Enrico. I Sacerdoti
esultano, ma le donne di Canterbury nel loro pavido cuore temono il precipitare
degli avvenimenti futuri. Al suo arrivo l'Arcivescovo benedice la folla di
fedeli, invocando su di loro la pace, benché egli sia del tutto consapevole dei
fieri propositi dei suoi nemici, partigiani del Re. Tutti temono per lui,
tranne lui stesso, cui è dato d'intravvedere la gloria dell'accettato martirio;
ma ancora desta è in lui la lotta contro i suggerimenti dello spirito che gli
si manifestano sotto l'aspetto di quattro Tentatori: il primo gli ricorda la
sua passata vita sensuale, il secondo vuole attirarlo a sé con il miraggio
della potenza politica che Tommaso aveva già sperimentata al tempo del
Cancellierato, il terzo gli propone di ribellarsi al Re per diventare suo
antagonista in nome del popolo e della Chiesa; l'ultimo Tentatore, il più difficile
da vincere, lo tenta con il suo stesso orgoglio, con l'ambizione alla gloria
che conseguirebbe al suo martirio. Ma anche di quest'ultima insidia demoniaca
egli riesce ad aver ragione, prostrandosi in preghiera davanti al Crocefisso. Intermezzo
Di lì a pochi giorni, la mattina di Natale, Tommaso parla alla folla raccolta
nella Cattedrale e, dopo aver celebrato la Nascita del Redentore, testimonia la
sua totale umiltà affermando come vero martire sia colui che nella
sottomissione si fa strumento di Dio, senza desiderare nulla per sé, neppure la
gloria del martirio.
Atto 2° Il destino del nuovo martire dopo pochi giorni si compie: durante una
processione sacra irrompono quattro Cavalieri, inviati del Re. Essi accusano
Tommaso di ribellione e di tradimento, e, rinfacciandogli la sua oscura
origine, gli intimano di fare atto di completa sottomissione al potere
temporale del Re, pena l'esilio perpetuo. L'Arcivescovo nega tutte le accuse e
si rifiuta di allontanarsi di nuovo dal gregge di fedeli, cosicché i Cavalieri
si allontanano col proposito di ritornare a farsi giustizia a colpi di spada,
Accorati sono i lamenti che si levano dal Coro delle Donne di Canterbury che
possono solo testimoniare in silenzio gli eventi. I Sacerdoti, avvertiti del ritorno
dei Cavalieri, trascinano a forza entro la Cattedrale l'Arcivescovo, ma egli dà
ordine di disserrare le porte sprangate, deciso ad affrontare i suoi assalitori
non come un pazzo disperato ma come chi vuole innanzi tutto il trionfo della
Croce. Sui gradini dell'altare, mentre il popolo urla di orrore, i Cavalieri si
avventano contro di lui e lo uccidono; poi, compiuto l'assassinio, cercano
argomenti di difesa e, nel ten- tativo di stornare da sé ogni colpevolezza,
propongono per Tommaso Becket che ha voluto morire in quel modo un verdetto
caritatevole: suicidio per infermità di mente. Sulle loro vane parole si
innalza il Coro di tutti i fedeli che è un inno di lode a Dio, una struggente
invocazione alla di Lui pietà, per intercessione del nuovo martire di Canterbury,
il Beato Tommaso.
Il libretto dell'opera è stato redatto dallo stesso
Autore della musica sul testo originario di Thomas Stearns Eliot, nella
versione italiana a cura di Monsignore Alberto Castelli.
Photo: Gianandrea Gavazzeni, direttore
CORRIERE DELLA SERA
1958.02.07
GB OPERA MAGAZINE ASSOCIAZIONE CULTURALE
1958.03.01
Teatro alla Scala di Milano
Recentemente ripresa in diversi teatri dal direttore Donato Renzetti e dal basso Ferruccio Furlanetto che ha indossato le vesti del protagonista, Assassinio nella cattedrale è probabilmente l’opera più popolare di Pizzetti nonostante sia stata eseguita piuttosto raramente dopo la morte del compositore. Dopo la prima rappresentazione avvenuta al Teatro alla Scala di Milano il 1 marzo 1958 sotto la direzione di Gianandrea Gavazzeni, con Nicola Rossi-Lemeni (Thomas Becket), Leyla Gencer (1°corifea), l’opera vantò altre ben nove riprese mentre il compositore era ancora in vita, tra le quali spicca certamente quella del Teatro Regio di Parma il 16 gennaio 1968 a un mese esatto dalla sua morte. Anche Von Karajan si interessò all’opera e la incise diverse volte tra il 1960 e il 1964 in una versione tedesca.
Tratta dal dramma di Thomas Stearms Eliot, l’opera di Pizzetti
ha come sfondo storico le vicende che interessarono i rapporti spesso
conflittuali tra potere religioso e potere politico nell’Inghilterra del XII sec..
Il problema, in quel secolo, era aggravato dal fatto che i due poteri non
sempre erano separabili, in quanto accadeva spesso ai grandi feudatari del
regno, i cosiddetti baroni, di assumere cariche ecclesiastiche e viceversa, ai
prelati , di ottenere facilmente dal re la titolarità dei feudi. Thomas Becket,
il protagonista, in gioventù aveva goduto dei favori del re tanto da essere
ammesso a partecipare a tutte le feste e a tutti i ricevimenti di corte che gli
avevano permesso di condurre una vita dedicata ai piaceri, ai divertimenti
senza alcuna preoccupazione per il futuro e, desideroso solo di applicare
quotidianamente i principi dell’oraziano carpe diem. Si era dedicato
poi alla carriera politica nella quale aveva espresso doti così straordinarie
da raggiungere la nomina a cancelliere del regno. Così aveva continuato a
godere non soltanto dell’amicizia del re, ma aveva acquisito anche un potere
politico enorme di cui si era servito per esercitare le funzioni di governo con
mano ferma e inflessibile; infine con le dimissioni da cancelliere, aveva
abbandonato la carriera politica e intrapreso quella ecclesiastica fino a
ricevere la nomina, per disposizione del pontefice romano, di arcivescovo di
Canterbury. Nell’adempimento di tale incarico egli aveva dato prova di
straordinaria efficienza associata alla pratica delle virtù cristiane tanto da
meritarsi la stima e l’affetto di tutti i fedeli; tuttavia i contrasti con il
potere politico si erano resi sempre più gravi tanto da compromettere i
rapporti con lo stesso monarca e da costringerlo a prendere la via dell’esilio
in terra di Francia. Il suo desiderio di fare ritorno in patria non era venuto
mai meno e, non appena i contrasti politico-religiosi si attenuarono, egli si
imbarcò per l’Inghilterra dove, accolto dai fedeli con gioia e grandi
manifestazioni d’affetto, riprese possesso della sua arcidiocesi, di cui aveva
conservato, negli anni, la titolarità. La notizia dell’arrivo dell’arcivescovo
si propagò con celerità e nell’arcidiocesi fervevano i preparativi, da parte
del clero, per l’accoglienza.
Il sipario del primo atto si apre su un nutrito corteo di donne che si
dirige da una strada attigua verso la cattedrale. Le donne, pur amando
e stimando il loro arcivescovo, che si preparano ad accogliere con deferente
affetto, vorrebbero, preoccupate per la sua incolumità, che egli facesse
ritorno in Francia, temendo di essere costrette, in caso contrario, di dover
essere testimoni di eventi terribili. Lo stesso arcivescovo sa che i pronostici
per l’immediato futuro non sono affatto rosei perché sono molti i rischi che
avrebbe dovuto affrontare a causa del numero e dell’irriducibile ostilità dei
suoi nemici che, per il momento, sembrano volerlo lasciare in pace, ma che,
alla prima occasione, manifesterebbero tutta la loro pericolosità e
aggressività. Egli, tuttavia, obbedendo a Dio che lo aveva scelto come pastore
dell’arcidiocesi di Canterbury, vede con chiarezza la strada da percorrere e
con volontà, resa inflessibile dalla consapevolezza dei suoi doveri di sacerdote,
intende seguirla fino in fondo anche a costo della vita. Di ritorno dalla
cattedrale, dove aveva benedetto la folla dei fedeli, Thomas Becket, seguito
dai sacerdoti, si ritira nel suo studio all’arcivescovado, dove vuole
riflettere in tutta tranquillità sui futuri, possibili sviluppi della
situazione politico-religiosa.
Nella stanza in cui, solo con se stesso,
egli si trova immerso nei suoi pensieri, sembrano materializzarsi, come se
assumessero la forma di persone in carne e ossa, alcune tra le tentazioni più
seducenti, illusorie, ingannevoli, contro cui egli si accinge a
lottare strenuamente con la forza d’animo che gli deriva dall’amore verso Dio e
verso il suo gregge. Le prime due tentazioni scaturiscono dai ricordi del
passato, cioè dei divertimenti giovanili la prima, della brillante carriera
politica, la seconda. Il primo tentatore gli ricorda che un tempo, durante la
giovinezza, aveva goduto dell’amicizia del re, con cui aveva condiviso i
piacevoli e spregiudicati divertimenti frequenti a corte e che comprendevano la
conoscenza delle belle dame dell’alta società, nonché la partecipazione a feste
e banchetti in cui non mancavano di esibirsi provetti musicisti e danzatori.
Thomas Becket non ha difficoltà a respingere questa tentazione scaturita dal
ricordo di un passato molto lontano e destinato a non potersi mai più ripetere.
Scomparso il primo tentatore se ne presenta, accompagnato da due cavalieri, un
secondo che gli ricorda i fatti più recenti della sua carriera politica fino
alla nomina a cancelliere. Thomas Becket, come cancelliere, aveva esercitato un
potere forse superiore a quello dello stesso re, in quanto, appartenendo alla
sua esclusiva competenza tutte le funzioni di governo affidategli, egli era in
grado di dimostrare, nella quotidiana prassi della vita politica, la validità
del vecchio adagio secondo cui il re regna, ma non governa. Il
tentatore aggiunge che sarebbe molto facile, per un uomo con le qualità di
Thomas Becket, ottenere di nuovo il titolo di cancelliere, esercitarne le funzioni
e, soprattutto, i poteri politici relativi che sono e sarebbero anche per il
futuro enormi. Anche le lusinghe e gli inganni, dissimulati ad arte nella
tentazione, vengono respinti con forte e serena determinazione e, altresì, con
l’immutata coerenza di chi, rifiutandosi di scendere a patti con la propria
coscienza, intende mantenersi fedele al principio dello scrupoloso adempimento
dei doveri da compiere nella sua posizione di arcivescovo. Thomas Becket fa
notare al suo interlocutore come, pur mantenendosi fedele al re, non intende
abbassarsi, umiliarsi fino a diventare uno dei tanti servi del monarca, cosa
che immancabilmente si verificherebbe se accettasse di essere reintegrato nella
carica di cancelliere; ricorda, altresì, che il potere religioso è superiore a
quello politico e che la chiesa, attraverso il papa e i vescovi successori
degli Apostoli, ha il diritto di giudicare i re sulla base del mandato ricevuto
dallo stesso Gesù che aveva dato loro il potere di legare e di sciogliere.
Il secondo tentatore e i cavalieri che lo accompagnano si allontanano ed ecco,
subito dopo, presentarsi, al cospetto dell’arcivescovo un terzo, latore di una
proposta ancora più allettante. Il tentatore propone, infatti, all’arcivescovo
di porsi a capo del partito politico che vuole restituire al popolo normanno la
sovranità sulla terra d’Inghilterra, garantendo così alla Chiesa, attraverso
l’alleanza con la collettività nazionale, una supremazia sul re e sulla sua
corte. Becket risponde di non avere alcuna intenzione di tradire il re e di
riporre la propria fiducia solo in Dio, per cui anche il terzo tentatore è
costretto, sconfitto, ad allontanarsi. Il quarto tentatore, di cui
l’arcivescovo osserva la gigantesca ombra sinistra proiettata in fondo sulla
parete dello studio, è più lusinghiero, più insidioso, in ultima analisi, più
subdolo perché cerca di scardinare le stesse certezze sulle quali l’arcivescovo
ha fondato l’esercizio della sua missione sacerdotale. Il tentatore gli fa
notare che il desiderio di raggiungere la santità attraverso il martirio è
proprio la strada da seguire per un sacerdote che voglia regnare per sempre,
dopo morto, addirittura dalla tomba che ne custodirebbe le spoglie mortali. Non
è forse vero, infatti, che le tombe dei Santi e dei martiri sono oggetto di
venerazione da parte di tutti i fedeli i quali, considerandoli patroni
dell’intera comunità, rivolgono loro preghiere per essere assistiti nelle loro
vicissitudini quotidiane? Il carattere più subdolo, più pericoloso di questa
quarta ultima tentazione dipende dal fatto che non proviene dall’esterno, ma ha
la sua scaturigine nell’interiorità più profonda, imperscrutabile e
inaccessibile della coscienza dell’arcivescovo che, per agire e soffrire con
umiltà, non dovrebbe desiderare né la santità, né il martirio, ma, confidando
esclusivamente nella bontà di Dio, sperare di ottenerli solo dalle sue mani
come premi per essere stato intransigente e costante nell’adempimento della
volontà divina; pertanto, se nel desiderio della santità e del martirio è adombrato
un peccato di orgoglio tipico di chi vuole raggiungere gli onori degli altari,
all’arcivescovo non rimane altro se non reprimerlo per affidarsi umilmente,
totalmente, ma anche serenamente e coraggiosamente alla volontà di Dio che
opera sempre per il bene dei suoi figli e sa ricavarlo provvidenzialmente anche
dal male. Il desiderio della santità e del martirio è legittimo, ma può
diventare peccaminoso per l’orgoglio che è sempre in agguato, per cui
l’arcivescovo comprende, con sgomento, che il tentatore, per rendere
irresistibile la tentazione, ha fatto leva sul suo orgoglio mai del tutto
sopito. Quando Thomas Becket chiede al quarto tentatore il suo nome e
soprattutto che cosa vuole in realtà, si sente rispondere che chiede e desidera
ciò che egli stesso può dare e desiderare. Anche la quarta tentazione è
decisamente respinta non senza che i quattro tentatori, prima di allontanarsi
tutti insieme abbiano rimproverato all’arcivescovo la sua ostinazione e cecità
spirituale – non ha, infatti, compreso come tutto nella vita è inganno e
illusione – e che smarrito nel pensiero stupefacente della propria grandezza,
abbia compiuto un itinerario mentale lastricato di inganni, diventando nella
sostanza nemico della società e, soprattutto, di se stesso. L’arcivescovo,
ormai vittorioso sulle tentazioni ordite dal maligno, prega intensamente ai
piedi del Crocifisso e rialzatosi, si dirige verso la cattedrale per adempiere
le funzioni religiose rituali nel giorno di Natale dell’anno 1170. Dopo alcuni
giorni dalla celebrazione del Natale, trovandosi l’arcivescovo all’interno
della Cattedrale, è informato dell’arrivo di quattro cavalieri che chiedevano
di parlargli con molta urgenza e in privato. I quattro, alla sua presenza,
dicendo di parlare in nome del re, lo accusano di tradimento nei confronti del
monarca e di aver cospirato, in esilio, per esasperare i contrasti tra Francia
e Inghilterra e tra il Papato e la chiesa inglese; gli ingiungono, quindi, di
sottomettersi alla volontà del re o, in caso contrario, di abbandonare
l’Inghilterra. L’arcivescovo respinge tutte le accuse e ribadisce la sua ferma
intenzione di non abbandonare mai più la sua arcidiocesi. I quattro cavalieri
per il momento si allontanano, ma minacciano di ritornare con le armi in pugno
facendogli così chiaramente intendere le loro intenzioni omicide. Il clero e i
fedeli, rendendosi conto della minaccia di morte nei confronti
dell’arcivescovo, nel tentativo di salvarlo, sprangano le porte della
cattedrale, ma i quattro cavalieri, con le armi in pugno, riescono ad entrare
e, raggiunto l’altare, lo uccidono con inaudita ferocia. L’assassinio è così
consumato e il sangue di un nuovo martire si aggiunge a quello versato nella
lunga storia del Cristianesimo.
Probabilmente Pizzetti era venuto in contatto con il dramma di Thomas
Stearn Eliot già nel 1936, prima leggendolo e soltanto dopo assistendo
ad una rappresentazione durante la quale la moglie gli avrebbe fatto notare
alcune interessanti caratteristiche. Solo nel 1956 e, quindi, ben vent’anni dopo,
il compositore si sentì pronto a farne un dramma musicale. Perché tutto questo
tempo? La tesi più plausibile è che lo stile e la drammaturgia di Pizzetti era
maturata tanto da far sì che effettivamente Assassinio nella Cattedrale
costituisca forse il vertice della sua drammaturgia in quanto assoluta
protagonista è la parola che la musica contribuisce ad esaltare in una perfetta
sintesi. È ciò che accade, per esempio, nell’introduttiva scena corale, dove la
preoccupazione delle donne per la sorte dell’arcivescovo si esprime attraverso
una scrittura agitata sia nella parte dell’orchestra che in quella vocale.
L’ingresso dell’arcivescovo è marcato da un netto cambio di scrittura che si
abbandona ad un lirismo più semplice, mentre più tormentato appare il percorso
musicale nella scena dei tentatori conclusa da una frase risoluta Or la
strada m’è chiara. Di grande suggestione per la sua forza musicale è,
infine, l’Intermezzo.
La presente guida all’ascolto è tratta dal libro di Riccardo Viagrande,
Ildebrando Pizzetti. Compositore, poeta e critico,
Casa Musicale Eco, Monza, 2013, pp. 95-99. Si ringrazia l’editore per aver
concesso la pubblicazione di questo estratto
Successo entusiastico dell'Assassinio nella Cattedrale. Il nobilissimo commento musicale di Pizzetti al dramma di Eliot. L'impeccabile esecuzione. Scenografia e regia di grandioso effette
Ho scritto, in altra occasione, che Assassinio nella
Cattedrale è l'unico drama di Eliot che possa attrarre (com'è avvenuto) in
fantasia di un musicista. Ma non vorrei, con questo, .......riar
crodere che dramma non sia di per se intensamente musicale. Dei einque lavori
beatrali di Eliot, il Murder w anxi, l’unico (escludendo il primo: The Rock, di
searso interesse scenico) che ....... plenamente
quel tipo di verio biblicheggiante che Claudel ha .....
di moda, ma che un ..... di Whitman
poteva sentire come cosa propria. Musicalissime dunque, a modo loro, le salmodie
del cori ellotani; e di ..... ..... in eni l'eloquenza ha la sua parte, cio che non avverrà più nei
successivi verai pariati di questo poeta. L'eloquenza piu che la lirica, e quel
che meglio ai salva in una traduzione letterale dell'Assassino. E il primo
effetto conseguito dal maestro Pizzetti nello sfondare in larga misura la
versione del dramma – egregiamente condotta de mousignore Alberto Castelli – a stato
di tagliare in truneo questa vegetazione atilistica, non salvando neppure lo
schema esterno del frammenti sopraviscuti: i quali ei sono presentati in una
veste ritmica che molto all'Ingrosso è quella deinostro endecllabo sciolto
Sappiamo, d'altronde, che Pizzetti non ha mai voluto
musicare un dramma che non fosse in versi. Sara questa una superstizione, una
foema di nobile omaggio alla Poesia, oppure un primo mezzo per allontanare in
un tempo già costituzionalmente «poetico» situazioni e figure, e dunque la
misura predenziale di un musicista che non è stato mal ligio (neppure nella
Figlia di Iorio) ad alcuna forma di naturalismo o di verismo? Forse le due
ipotesi sono egualmente vere.
In degli .......do
direi che quella data dal testo originale. Era facile o era addirittura
possibile ricavare significati musicali dal diverzo senso delle tentazioni
subete dall'Arcivescovo: il ritorno a una vita di piaceri, il desiderio della
potenza terrena Cancellerato), la volontà di rivolta .......
o il mistico expio dissolei. In ambiziosa brama del martirio? Certo non erano
questi....... più idonet a far scattare in
fantasia di alcun musicisti; e infatti solo la prima stormellante apparitione,
di un sapore quasi trovadores, zembra in in carattere con la situazione; mentre
i tre successivi fantasmi – teatralmente vivisimi – non ....... in temi a ritmi abbastanza differenziati (.......che sia predestille i quarto, di
intonatione alquanto «rosso»). Altra difficoltà presentava la scena che vede
gli assassini alla ribalta, a esibirei le loro apologies e a spiegarei che in
essi non dobiamo ravvisare quattro gangsters, benai la voce stessa della Itagien
di Stato che colpiare senza odio, anzi con pieta di ce stessa e delle vittime.
L'episodio, di un macabre umorismo, poteva convenire solo a un ....... di tendenze ambivalenti (ad) exempio a uno
Stravinski) Incopace di prender troppo sul serio il suo dramma. Pizzetti ha
adottato qui la semplice recitazione accompa.......
da un auggestivo pedale. Ed era forse la miglior solizione.
Non sono queste le solezione del dramma che sembrano rifiutarsi
all'ispirantone del musicista; mentre poi considerate come strutture del
racconto, sono assai vive quelle simmetrie (il pendantdelle quattro apparizione
ad ogni atto) che alla lettura del dramma risultavano forse meno evidenti. Che
il musicista di Debore abbia fatto buona prova nella parta corale, ricca ma non
maisoverchiante, densa ma opportunamente spezzettata e lumeggiata come le
figurazioni di un basseetlevo romantico, questo non pob me [.......]
EUROPEAN
STARS & STRIPES
1958.03.03
THE TIMES
1958.03.03
Murder in the Cathedral
as an Opera
FROM OUR SPECIAL CORRESPONDENT
Milan, March 2
Last night Ildebrando Pizzetti's operatic version of
Mr. T. S. Eliot's Murder in the Cathedral was received enthusiastically at La
Scala. Pizzetti has prepared his own libretto, basing it on Monsignore Alberto
Castelli's Italian version of the play, and adapting that translation to suit
the score which focuses attention on the psychological drama of Thomas Becket's
martyrdom. Much of the picturesque poetry of the original which belongs to the
intimate theatre rather than to lyric drama for La Scala has been cut; and the
language of Castelli's version, which follows Eliot's English very closely, has
been smoothed so as to provide a more flowing legato for the music. An example of this can be taken from the opening scene
in which the women of Canterbury gather "to wait and to witness."
Here the word-pictures of apples being stored in October and of the labourer in
his muddy boots are left out and the staccato effect of Eliot's line "The
new year waits, breathes, waits, whispers in the darkness" is softened
with pleasant participles and bound together with a conjunction to become
"l'anno novello attende respirando e bisbigliando nell' oscurità."
This passage is sung by one of two chorus leaders. The women's gossip of the
past seven years of "living and partly living is likewise omitted, and the
emphasis on a sense of foreboding is sustained. The shadow of Becket's
martyrdom is thus cast, mistily and unrelieved, before the archbishop himself
appears. The tempters are phantoms of Becket's inward fancies. Even the
cheerful carolling of the first of these seems to grow out of the archbishop’s
own soliloquy which precedes this entrance. And Becket in this production does
not turn bis face to any of his tempters except for one defiant look at the
second of them. The score, rich in instrumental colour applied with
meticulously neat brushwork, reserves the climax of the first part for the
pages leading up to Becket's declaration: Now is my way clear. now is the
meaning plain." The priests do not partake in this climax, only the
women of Canterbury and the stands as it were surrounded by his fears and his
fancies. For the interlude we are given a peep into the cathedral just as the
sermon begins. Then, after a fade-out during which the music continues, we are
taken back for the peroration, and the preacher foretells that shortly there
may be yet another martyr. In the second part, just after the knights have
threatened the archbishop, there is a chorus in which for the first time we
hear the women expressing themselves in the first-person singular "1 have
smelt them, the death-bringers... have heard the fluting in the nighttime I
have felt the heaving of earth at night- fall..." These words are woven
into a polyphonic pattern expressive of emotional frustration at the moment which
is "too late for action, too soon for contrition." Pizzetti is a truly great master of this kind of
choral writing. The knight’s address is not presented as a kind of Shavian
anticlimax. Twentieth-century colloquialisms are avoided, and the funeral bell
which tolls in the background keeps us close to the tragedy of the year 1170.
But the satire is not weakened. There is an impressive choral finale. A chorus
of priests joins forces with the women of Canterbury for this as for the second
scene just before the murder itself. Mr. Piero Zuffi's décor for Miss
Margherita Walimann's production is effective and ingenious. A great cross,
carved to recall those phases in Becket's life which the four tempters represent,
is the central feature. Standing alone for the opening scene this undergoes
various transformations without interrupting the action, so as to become part
of Becket's study or part of the cathedral. Miss Wallmann's groupings and
tableaux give the eye a feast of spectacle. The presentation of the interlude
is perhaps a weak spot in what is otherwise a magnificently impressive
production. Mr. Gianandrea Gavazzeni, who conducted, is well known
as an interpreter of Pizzetti's music. Mr. Nicola Rossi Lemeni sang the part of
Becket, interpreting it with understanding. Mr. Rinaldo Pelizzoni doubled the
roles of the First Tempter and the First Knight, and Messrs. Enrico Campi,
Silvio Maionica, and Marco Stefanoni were the other knights. Miss Leyla Gencer
and Miss Gabriella Carturan were the two chorus leaders. A distinguished audience, including the British
Ambassador, attended this performance.
Milan, Italy. – Some three years ago, Guido
Valcarenghi, director of the Ricordi publishing house, invited Ildebrando
Pizzetti to set T. S. Eliot's famous drama "Murder in the Cathedral"
to music. The world premiere of this opera, "Assassinio nella
Cattedrale", was given at La Scala in March, and it appears to be another
triumph for Ricordi, for the work met with unanimous approval of the public.
The publishers already have received requests from numerous major theatres to
present the work during the next season. The libretto faithfully follows the
form and content of Eliot's drama in its expression, sentiments, and spiritual
values, and the few cuts are limited to repetitions in the text. The vocal line consists of recitatives with the
exception of certain phrases in the second act, and while Pizzetti's music
amply serves as an accompaniment for the moods of the stage drama, it is not a
self-sufficient medium. He has made ample use of the Leitmotiv not as much by
themes of particular character as by means of instrumentation. Nicola Rossi-Lemeni gave a profoundly impressive
characterization of Thomas à Becket, but the volume of his voice was lacking in
the more dramatic moments. The excellent supporting cast included Aldo Bertocci,
Mario Ortica, Dino Dondi, Adolfo Cormanni, Rinaldo Pelizzoni, Antonio
Cassinelli, Nicola Zaccaria, Lino Puglisi, Leyla Gencer, Gabriella Carturan,
Enrico Campi, Silvio Maionica, and Marco Stefanoni. Conductor Gianandrea
Gavazzeni kept a skilful balance between stage and orchestra, but he did not
produce the full variation of colours that are always contained in Pizzetti's
scores. Visually "Assassinio nella Cattedrale" was
one of the finest productions that we have had at the Scala for quite a long
time, with sets and costumes by Piero Zuffi and staging by Margherita Wallmann,
who excellently blended the poetic and plastic movements of the chorus and the
lighting effects. Mr. Zuffi's main set consisted of a gigantic cross, which
completely dominated the stage, and which could be adapted to all the scenes by
the addition and removal of panels and by movable bridges.
[…..] Meanwhile, at La Scala itself
performances have not reached such a high level. Gianandrea Gavazzeni produced
a rather unequal Madama Butterfly, principally because Gigiola Frazzoni was
ill-adapted to the role of Cio-Cio- San. The physique of this singer should
indeed have advised her not to under- take this role, but the quality of her
voice, so strongly dramatic, adapted itself with difficulty to the Puccini
range of tone. On the other hand, Gianni Raimondi and Rolando Panerai sang with
a true sense of style. The twentieth anniversary of Ravel's death was
commemorated with performances of his L'Heure Espagnole and L'Enfant et les
Sortilèges, entrusted to reliable singers, nearly all of whom were
French-Jacqueline Brumaire, Juan Oncina, Jean Christophe Benoît, Robert
Massard, Jacques Doucet, Françoise Ogeas, Christiane Castelli, Vivette
Barthélémy, Christiane Gayraud, Freda Betti, Jeanne Berbie, Edith Martelli,
Bianca Maria Casoni, Gustave Wion and Paul Dernne. Nino Sanzogno conducted. Meanwhile, Lovro von Matacic directed a timely revival
of Gluck's Orfeo, but in a rather curious style. This was not so much on
account of a certain slowing-down of tempi, which did not prove too disturbing,
taking into account the exquisitely lyrical and mobile nature of the score:
what was unjustified was the completely arbitrary transposition of the
overture. This no longer appeared at the beginning of the opera but was delayed
until after the dance of the Furies who invite Orpheus to enter the gates of
Hades. It was as if one should interpret the overture as a symphonic
description of Orpheus's journey through the realm of the dead to reach the
Elysian Fields. But it most definitely does not possess this significance and
remains clearly detached from the centre of the action; while at the opening of
the opera it prepares magnificently for the grief of Orpheus, weeping over
Eurydice's tomb. The vocal interpretation, too, was not free from faults.
Fedora Barbieri was Orpheus- a good Orpheus, with warm dramatic tone and fine,
moving lyrical approach, though marred by some shortcomings in intonation. Sena
Jurinac played Eurydice, a very over-dramatic Eurydice, and Francoise Ogéas was
an Amore with clear tone but lacking in refinement and elegance. The beginning of March saw the world première at the
Scala of Pizzetti's Assassinio nella Cattedrale (Murder in the Cathedral) based
on T. S. Eliot's dramatic poem, translated into Italian by Alberto Castelli and
revised by Pizzetti himself. It should be said at once that rarely in recent
times has a new opera won such complete approval from both public and critics.
Its success in the theatre has been of the warmest, and the Press were in
entire agreement in pointing out the merits of the score. Indeed, Pizzetti's
new opera is undoubtedly the best of all that the illustrious Maestro has
written in recent years. Above all, he has not here confined himself to setting
a literary text already complete in itself as he had previously done with
d'Annunzio's dramas, that is, adding a musical score to a libretto which has no
need of it. Pizzetti has caught the general sense of T. S. Eliot's tragedy;
then has telescoped and condensed the incidents and dialogue and has translated
all into musical terms. Moreover, it must be admitted that the music has here
helped the libretto by interpreting it as well as giving it an inflection which
the text itself did not always have. This happy transformation is particularly
evident in the middle part of the opera, in the intermezzo which illustrates
the Archbishop's Christmas sermon to the faithful. After the Archbishop's brief
speech there follows an orchestral section which is a commentary on the sermon
itself translated into music. Where words tend to clog the argument. music
takes over in interpreting the thought. Music convincingly presents through its
unique emotional power that which now has little need of words, and it is,
indeed, here superior to speech as a medium. That is his general conception of
the opera. As for his particular treatment: although Pizzetti's lan- guage is
always peculiarly his own, it is nevertheless evident that in this latest score
new feeling has offered him more persuasive scope for genuine and abundant
lyricism. The design of his recitatives has been broadened to a more melodic
and inspired discourse. There is now a new maturity and mastery in musical
speech which allows Pizzetti more sincere expression and lyrical expansion
together with more natural writing. The public has appreciated the composer's
abandonment of academicism and has welcomed the new score with true enthusiasm.
The finest interpreters contributed to this success: Gianandrea Gavazzeni, who
conducted the whole work sensitively, and Nicola Rossi-Lemeni, who was a Becket
unrivalled in the perfection of his performance and in his skill in creating
the character. But in addition to the principal character the whole cast
contributed to the success of a truly homogeneous production, and all should be
given equal praise: Aldo Bertocci, Mario Ortica, Dino Dondi, Adolfo Cormanni,
Rinaldo Pelizzoni, Antonio Cassinelli, Nicola Zaccaria, Lino Puglisi, Leyla
Gencer, Gabriella Carturan, Enrico Campi, Silvio Maionica and Marco Steffanoni.
Opera di Ildebrando Pizzetti (Giovedi 22 maggio, ore
21,30, Terzo)
L'edizione dell'Assassinio nella cattedrale in onda
questa settimana, può definirsi storica. Si tratta, infatti, di una registrazione
effettuata il dicembre 1958 nell'Auditorium di Torino della RAI, sotto la
direzione di Ildebrando Pizzetti. In questa data erano trascorsi non più di
nove mesi dalla prima rappresentazione assoluta (teatro alla Scala, 1° marzo
1958). Sicché dello spettacolo si continuava a parlare con fervido interesse,
tanto più che la nuova partitura pizzettiana era subito apparsa fra le più
belle del maestro di Parma. Sul podio, come si diceva, sali il musicista che
per la prima» aveva affidato la bacchetta all'espertissima mano di Gianandrea
Gavazzeni. Il protagonista fu, ancora una volta, il grande Nicola Rossi-Lemeni
alla cui arte interpretativa il personaggio di Beckett rimarrà strettamente
legato. La parte della prima corifea, assai spiccante nella partitura, venne
assegnata nell'esecuzione radiofonica al soprano Virginia Zeani (al la Scala
l'aveva cantata la Gencer). Situato cronologicamente nell'ultimo periodo creativo
pizzettiano (prima della morte, avvenuta a Roma il 13 febbraio 1968, il
compositore scriverà ancora Il calzare d'argento, su testo di Bacchelli e
Clitennestra su parole proprie), l'Assassinio nella cattedrale reca nel
frontespizio la seguente dicitura, assai precisa: Tragedia musicale in due atti
e un intermezzo su testo originale di Thomas Stearns Eliot, ridotto per la propria
musica dalla versione italiana di mons. Alberto Castelli da Ildebrando
Pizzetti. Com'è noto, Eliot si era appoggiato alla vicenda storica della lotta
tra l'arcivescovo di Canterbury Tommaso Becket e il re Enrico II Plantageneto.
Il dramma, intitolato Murder in the cathedral è del 1935. Si è ripetuto più
volte che l'amore antico di Ildebrando Pizzetti per il teatro in musica (cominciò,
confessava il musicista, quando ancora portavo i calzoni corti...) trasse dal
soggetto eliotiano un'urgentissima sollecitazione. In effetto, l'architettura
stessa del dramma di Eliot, la sua musicalissima potenza, la grandiosità di
misura di un affresco religioso già risonante di musica ( più che i monologhi
di Tommaso scrive Eugenio Montale, - sono le voci del coro e quelle dei
tentatori maggiori espressioni del dramma di coscienza dell'arcivescovo »)
erano congeniali alla natura del linguaggio e all'ideale estetico di Pizzetti.
La prima scintilla si accese nella toccante scena finale dell'uccisione
Tommaso. Nel finale, dice Pizzetti, con l'apoteosi corale che mi apparve subito
chiaramente delineata, ho ritrovato appieno tutti i simboli e i valori del
dramma musicale come è sempre stato da me concepito .. Rimarrà, cotesta pagina,
un punto al vertice dell'Assassinio. Altri memorabili cime della partitura sono
la predica di Natale, nell'intermezzo, la scena dei tentatori, nel primo atto,
l'arioso dell'arcivescovo Ora la strada è chiara con il coro delle donne, l'intervento
dalla prima corifea, la scena dei quattro cavalieri, il concertato a cui
partecipano il coro dei sacerdoti e il coro delle donne. Una fortuna dunque,
quella di poter riaccostarsi a una opera troppo raramente: una partitueseguita:
ra che basta, essa Sola, a indicare l'alta statura artistica di un autore la
cui musica avrebbe vita rigogliosissima qui in Italia (qualche settimana fa, a
Roma, il pubblico dell'Opera ha applaudito con straordinario calore
l'Assassinio) se le perturbazioni che oscurano i cieli dei nostri teatri non
dipendessero anche dal disinteresse dei responsabili della vita musicale per le
opere di musicisti italiani che non si chiamino Verdi e Rossini, Donizetti e
Puccini. Ci auguriamo che nel 1978, quando si celebrerà il decennale della
morte di Ildebrando Pizzetti, l' Assassinio nella cattedrale abbia già una
testimonianza discografica. La tramma dell’opera
Atto I - L'azione svolge a Canterbury, il 2 dicembre 1170. Tommaso Becket (basso)
un tempo cancelliere e amico del re, poi suo fiero avversario, è ritornato a
Canterbury. Dal giorno del suo allontanamento dall'Inghilterra sono trascorsi
sette anni. Ora la fine dell'esilio in Francia, il suo ritorno in patria,
suscitano nei fedeli una trepida gioia amareggiata però dal dubbio sulla futura
sorte del pastore. Essi temono, infatti, l'ira del re nei confronti di Tommaso.
Ed ecco appare l'arcivescovo che rincuora i presenti. Poco dopo, nella pace del
suo studio, esorterà i sacerdoti alla pazienza e alla fiducia, Allontanatisi i
sacerdoti, gli si presentano uno dopo l'altro quattro visitatori. Sono venuti a
tentarlo e a sconvolgere la sua ferma coscienza, facendo leva sulle passioni
che egli è riuscito a domare appena ha indossato la veste dell'arcivescovo. Il
primo tentatore gli ricorda il passato e i mondani piaceri; il secondo tentatore
rievoca i giorni esaltanti del potere; il terzo tentatore lo spinge a ribellarsi
al re. Il quarto tentatore è il più pericoloso e suadente e lo tenta con i suoi
stessi desideri: il martirio, la gloria celeste. Ma Tommaso s'inginocchia dinanzi
al crocifisso e prega perché quest'ultima e più grave tentazione si allontani
da lui. Intermezzo E' la mattina di Natale. L'arcivescovo annuncia ai fedeli
una breve predica sul tema del martirio. Il vero martire, egli dice, è colui
che non desidera più nulla per se stesso, neppure la gloria del martirio e che
diviene uno strumento di Dio nella piena sottomissione ai voleri divini. Atto II il 29 dicembre 1170. Mentre i sacerdoti celebrano la gloria dei santi,
irrompono quattro cavalieri del re. Rivolgono a Tommaso l'accusa di ribellione
e di tradimento: egli si è rivoltato contro il sovrano che lo aveva tratto ai
più alti onori, sollevandolo da un'umile e oscura esistenza. Tommaso si difende
ei cavalieri si allontanano minacciandolo di ritornare con le spade. Si leva il
lamento delle donne di Canterbury. Tommaso è tranquillo e invoca la pace. E'
l'ora dei vespri e le porte della chiesa vengono chiuse. Ma l'arcivescovo
ordina ch'esse siano riaperte. Ed ecco giungere i cavalieri: uccideranno
Tommaso tra la disperazione e il terrore del fedeli. I quattro avanzano poi
verso il proscenio tentando di giustificare il nefando assassinio, Si leva, dal
coro dei fedeli, un inno di lode a Dio. Poi cala il sipario sulle ultime parole
O beato Tommaso, prega per tutti noi.
OPERA MAGAZINE
1958 August
ITALY Milan. May opened at the Scala
with a revival of Pizzetti's successful “Assassinio nella Cattedrale”. All the
artists returned to their original roles with the exception of Leyla Gencer,
who was replaced by Gianna Maritati.
LA STAMPA
2000.08.10
OPERA NEWS
ASSASSINIO NELLA CATTEDRALE
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Leyla Gencer's First Chorister is the voice (shiny and powerful) first heard;
her soaring commentary returns frequently, sometimes accompanied by the less ...
...
nella Cattedrale had its premiere at La Scala on March 1, 1958, with bass
Nicola Rossi-Lemeni in the role of Thomas Becket and soprano Leyla Gencer as the ...
...
In her topmost notes she may not quite equal the late Leyla Gencer, who created the role, or Virginia Zeani, who quickly took it up; but Marrocu is one of few
...