As.Li.Co.
Regia: Lorenzo Arruga
Scene: Mauro Pagano
Costumes: Carlo Diappi
Corso di interpretazione: Leyla Gencer
Teatro Carcano, Milano
Photo © LELLI E MASOTTI, Milano
Dogi e broccati a Vicenza per il ritorno di Vivaldi
Vicenza - Le chiare e lunari architetture sembrano galleggiare su un mare scarlatto. Un tappeto di velluto rosso ricopre interamente il piano del palcoscenico, fin su, all' infinito. La distesa uniforme dona alle scenografie fisse un aspetto ancora più antico e prezioso; fissa una dimensione cromatica che evoca sontuosità barocche e broccati di dogi. Per il suo 400 compleanno il teatro Olimpico di Vicenza ha avuto un regalo adeguato. Nel lontano 1585 erano state le musiche di Andrea Gabrieli ad accompagnare solennemente il nascere della scena incantata dello Scamozzi messa a disposizione della rappresentazione di Edipo Re di Sofocle. Oggi è ancora musica veneziana a sottolineare l' augusto compleanno dello spazio teatrale. Ed è una prima moderna per il Giustino di Vivaldi che ha dischiuso, insieme, la terza edizione del Festival di Vicenza "Mozart in Italia e il teatro musicale veneto". Scarlatto e marmoreo lo sfondo. Scarlatti i costumi dei protagonisti (costumista superbo, Pasquale Grossi). Se nello spettacolo inaugurale della scorsa stagione - Il sogno di Scipione di Mozart, messo in scena da Pier Alli (ripresa il 9, 10 e 11 giugno venturi) - avevamo provato la vertigine della mimesi completa con l' ambiente attraverso l' ideale prolungamento scenico delle architetture nel clima dell' allestimento, nel Giustino viene realizzato un opposto processo di straniamento, divoluto parallelismo della rappresentazione. Non traspare nulla della gran machina barocca preannunciata dal libretto e che sicuramente avrà avuto gran parte del successo della prima romana del 1724, al teatro di Ferdinando Capranica. Veniamo condotti nel clima dell' opera vivaldiana attraverso poche ma sostanziose sottolineature gestuali, fasci luminosi sui costumi e pose sceniche di perentoria intuizione espressiva. Marise Flach, pudicamente presente in locandina come responsabile del coordinamento scenico, ha costruito uno spettacolo raffinatissimo, tutto affidato alla perfezione minuta di pose lungamente studiate e rese semplicemente intense. Grande intelligenza, e la fortuna di avere potuto lavorare a fondo con una compagnia giovane, disponibile e tutta femminile. Il Giustino riscoperto a Vicenza aveva infatti alcune caratteristiche rilevabili già sulla carta. La produzione è stata realizzata con il concorso di vari partners, in primo luogo dell' Aslico di Milano che ha regalato il promettente cast affidato alle cure visibili di Leyla Gencer (che dell' Aslico è direttore didattico artistico). Con le ragazze uscite dall' ultima selezione e qualche ricupero del concorso 1984, è stato completato il doppio cast che alla partitura del Giustino ha dedicato molti mesi di lavoro e che ha favorito l' insolita e gradevolissima proposta di un' opera barocca senza interpreti maschili. L' originale idea era stata favorita progettualmente da una sorta di legge del "contrappeso filologico". Poichè in osservanza alle disposizioni pontificie in fatto di rappresentazioni teatrali il Giustino a Roma era stato eseguito da una compagnia di soli uomini, s' è deciso di ricostruire un' analoga ma di segno contrario omogeneità sonora sfruttando le numerose interpreti a disposizione. L' esperimento ha rbadito con chiarezza come l' opera barocca non si proponga come storia di individui ma di sentimenti, non di soggetti ma di oggetti d' affetto: inutile tentare l' operazione romantica di sovrapposizione tra persnaggio e la "sua" emozione. Il Giustino, che Vivaldi scrisse sul testo di Nicola Beregan (già messo in musica da Legrenzi, Scarlatti e Albinoni), è opera con qualche numero in prestito e successivamente usato in altre occasioni. La revisione di Reinhard Strom che ha assemblato quella che doveva essere la partitura della prima rappresentazione, ci restituisce un' opera di maniera nelle arie, alcune tuttavia miracolose, servita però da recitativi di grande evidenza, e impreziosita di uno straordinario recitativo accompagnato tra Vitaliano e Arianna, nel secondo atto. Rispetto al libretto stampato l' edizione vicentina diretta da Alan Curtis ha praticato qualche taglio eliminando il personaggio di Andronico e un bel numero di arie, mantenendo però i "daccapo" regolari per le rimanenti. La storia del bifolco Giustino che diventa imperatore era comunque intatta nei momenti essenziali. La prestanza interpretativa delle giovani voci ha reso molto interessante l' esecuzione. Non sembravano certo debuttanti Susanna Anselmi (Anastasia) e Silvana Silbano (Giustino), voci ideali per ruoli "en travesti" e grinta da tenere d' occhio; non erano però da meno Alessandra Ruffini (Arianna), Silvana Manga (Leocasta) e Adelis Tabiadon (Vitaliano), nè Caterina Trogu (Amanzia), Claudia Bandera (Polidarte) e Marina Bottacin (Fortuna) che completavano, con bravura, la locandina.
Roberto Negri piano
Corso di interpretazione: Leyla Gencer
Il ' 700 di Mozart come un gioco degli equivoci
Vicenza - Dopo due atti e mezzo scampati al fortunale, La
finta giardiniera ha dovuto capitolare. La "furia crudel spietata"
che stava intonando con fervore Don Ramiro, s' è tramutata in un pandemonio
atmosferico che ha messo in ginocchio nel giro di qualche minuto pubblico e
orchestra, interrompendo a pochi numeri dal termine la rappresentazione
inaugurale del quarto Festival di Vicenza. Sotto il capace portico d' ingresso
di Palazzo Thiene Bonin Longare, svaniva progressivamente l' effetto mozartiano
che fino a quel momento aveva inchiodato gli spettatori nell' improvvisata
platea montata in un angolo del rigoglioso giardino, immersa anch' essa nella
scenografia vegetale reale offerta al "botanico" libretto di
Calzabigi e Coltellini per la seconda opera buffa mozartiana. Un effetto di
grande emozione, appena esplosa nel brillìo spregiudicato del miracoloso
concertato conclusivo del secondo atto; un acrobatico numero d' assieme con cui
il Mozart non ancora diciannovenne pretende un' attenzione non superficiale. Il
giovane autore, dopo un florilegio di arie dalla consistenza disomogenea,
sbaraglia il campo dei dubbiosi con un concertato architettato in settimino
sublime: nel buio della didascalia le sorti intricatissime dei multi-innamorati
appaiono come svelati dalla stupenda caratterizzazione musicale, e quando al
viluppo scenico e sentimentale si addiziona l' improvvisa farneticazione di due
di essi, l' impalcatura vocale accoglie la dimensione espressiva aggiunta senza
mostrare imbarazzi o rallentamenti di tensione. Mozart, con questo cimento
operistico del 1774 (cinque anni dopo la prima di Monaco riversato in tedesco e
carrozzato Singspiel), scompagina tutto il mondo del teatro musicale comico.
Sfida la logica narrativa con una vicenda dove gli intrighi sono portati alla
massima potenza; basta rileggere la librettistica definizione dei personaggi.
Roberto è "servo di Violante che si finge suo cugino sotto nome di Nardo,
in abito da giardiniere, amante di Serpetta da lei non corrisposto". Con
passaporti del genere è facile immaginare la deflagrazione di situazioni in cui
l' ambiguità è vitale; e c' è perfino una marchesa creduta uccisa per gelosia
che invece è la finta giardiniera del titolo. Mozart mette in musica un testo
epigonico rispetto ai moduli tradizionali dell' opera comica: fa però anche
quel passo in più rispetto ai colleghi, seppure dotatissimi, per cui i numeri
caricaturali sono innervati d' uno spiritaccio irresistibile anche quando
rimangono nelle regole d' una routine compositiva, mentre il graduale spostamento
di equilibri e nella proporzione delle arie verso il patetico e il drammatico
sentimentale rivela intenzioni drammaturgiche e musicali tutt' altro che
convenzionali. Col senno di poi è quasi inevitabile trovare anticipazioni della
rivoluzione espressiva collaudata nel trittico col Da Ponte, perchè ci sono e
non sono poche. La riflessione sulla Finta giardiniera ha materiale
sufficiente, senza dover ricorrere a paralleli col futuro. Il taglio delle
arie, già più articolato rispetto alla prassi non-seria, porta in primo piano
un Mozart che non si lascia condizionare dalla dizione "opera buffa",
e segue il sublime metro della propria ispirazione. Venuto il momento della
giustizia anche per la Finta giardiniera e nessuna istituzione aveva più
diritti del Festival vicentino a occuparsene, dopo le indimenticabili altre
realizzazioni di Mozart italiano nelle precedenti edizioni. Volgendo in
positivo un handicap preoccupante come l' inagibilità del Teatro Olimpico, l'
opera mozartiana era allestita in uno spazio originale. "Vago giardino con
spaziosa scalinata per cui si scende al palazzo del Podestà": la
prescrizione librettistica è stata rispettata filologicamente. Pasquale Grossi,
con quattro elementi di attrezzeria e una scalinata in secondo piano che collegava
la "scena" col piano nobile del Palazzo palladiano, ha offerto alle
piante la possibile d' essere scenografia naturale e efficace al gioco di
equivoci dell' opera. Il resto l' ha fatto Marise Flach, con una regia d'
irresistibile precisione e sapore comico, in cui le allusioni alla recitazione
settecentesca si sposavano con sottolineature più modernamente espressive. L'
immedesimazione dei giovani interpreti era totale, il tono teatrale complessivo
fresco e avvincente. Sotto la direzione rassicurante, non troppo brillante, di
Jan Latham-Koenig (suonava l' Orchestra Pedrollo di Vicenza) una compagnia che
fatta eccezione dei due tenori (l' intramontabile Ugo Bonelli e l' acerbo ma
promettente Luigi Petrone) era intieramente proveniente dalle fila dell' As.Li.Co.
e delle cure d' interpretazione vocale di Leyla Gencer. Con meriti individuali
evidenti, ma soprattutto con una consistente impostazione stilistica comune che
ha garantito l' esito musicalmente attraente della serata, hanno cantato il
maturo Paolo Gavanelli (Nardo), l' autorevole Alessandra Ruffini (Sandrina), la
determinata Claudia Nicole Bandera (Ramiro), le scatenate Caterina Trogu Rhrich
(Armilda) e Rosalba Colosimo (Serpetta).
WERTHER – JULES MASSENET
Scene and costumes: Pasquale Grossi
Corso di interpretazione: Leyla Gencer
E Vivaldi va in Texas
Roma - Italy in Houston, a cultural program si chiama la serie di manifestazioni che dal 12 al 31 ottobre offriranno un' immagine dell' Italia che fa spettacolo alla patria dell' immagine che fa spettacolo, al paese in cui anche la ricerca scientifica è spettacolo. Houston non è nè New York nè Los Angeles: si è però recentissimamente attrezzata in maniera modernissima di teatri e di musei. Il programma è stato presentato ieri dal ministro del Turismo e dello spettacolo, Franco Carraro, e dal direttore artistico delle manifestazioni, Italo Gomez, nella cornice stupenda di Palazzo Madama: Raffaello e Giulio Romano osservavano dunque dalle volte e dalle pietre le parole dei moderni mecenati pubblici. Un' astuzia organizzativa? Questa è l' immagine dell' Italia rinascimentale. Dentro quest' immagine vi offriamo l' immagine dell' Italia di oggi che va negli Stati Uniti, anzi nella nuova realtà americana del centro-sud: il Texas. L' efficacia dell' immagine è affidata, in partenza,a Le luminarie: un progetto di sculture luminose dentro il centro di Houston, ideato da Valerio Festi in collaborazione con la Regione Puglia. La musica ha naturalmente una grande parte: il momento di maggiore interesse è la rappresentazione del Giustino di Antonio Vivaldi nell' edizione critica curata da Reinhard Strohm, diretto da Alan Curtis e con la regia di Marise Flach. Leyla Gencer ha curato la preparazione vocale degli interpreti (non ci risultava, però, che fosse un' esperta di canto barocco). Principali interpreti del Giustino: Susanna Anselmi, Alessandra Ruffini, Gloria Banditelli. Scene e costumi di Pasquale Grossi rievocano l' Olimpico di Vicenza. L' edizione di questo Giustini è stata già ascoltata a Vicenza, a Parigi, a Venezia. Attorno alle rappresentazioni del Giustino (13 e 15) ci sono alcuni concerti: Napoli e Venezia (Stabat Mater di Pergolesi e Quattro Stagioni di Vivaldi con il Complesso Barocco Italiano diretto da Bruno Moretti), e tutta una serie di concerti da camera con giovani concertisti italiani. L' Ater-balletto copre la danza, coreografie di Amedeo Amodio, stella ospite Elisabetta Terabust. Ci sono anche le marionette: I nuovi di Podrecca e l' Opera dei Pupi Siciliani. Il teatro di "prosa" è rappresentato in realtà da commedie musicali: Pulcinella di Maurizio Scaparro con Massimo Ranieri, Del mondo in mezzo ai turbini (tradotto in inglese col titolo Whirlwinds), lo spettacolo ideato da Roberto Ruffagni sulla figura di Lorenzo Da Ponte e messo su da Franco Però con Marrimo Venturiello, Duilio Del Prete, Paolo Graziosi, Anna Melato, una serata con Lina Sastri. Riusciranno i nostri prodotti a sfidare i consumatissimi espertissimi prodotti analoghi americani? Serie di canti, danze popolari sarde e siciliane mostreranno il cotè folklorico del nostro folklorico paese. Un' ampia sezione è dedicata al cinema: ma non si è ancora deciso definitivamente quali debbano essere i nuovi film da proiettare. Si propongono, per ora: Intervista, di Fellini; Speriamo che sia femmina di Monicelli; Lunga vita alla signora di Olmi; e La famiglia di Scola. Una rassegna di 12 films di Rossellini costituisce un omaggio alla permanenza del regista a Houston. Un seminario su Rossellini completa l' immagine, come dire? cinema-Italia. Un concerto di musiche per film con Katyna Ranieri unisce le sponde sonore e quelle dell' immagine. Immagini sonore, immagini sullo schermo, immagini luminose: esistono anche le immagini fisse, e sono le mostre. Una sul Tiepolo, una su un progetto di Renzo Piano e una sull' Opera dei Pupi. E così gli americani di Houston sapranno tutto sull' Italia emergente di oggi? Ma che cosa sapranno gli italiani dell' americano di Houston?
LA CALISTO - FRANCESCO CAVALLI
L' erotismo e I doppi sensi ecco il barocco Veneziano
Vicebza - Lasciata la strada mozartiana, il Festival di Vicenza intensifica i rapporti con la palestra vocale dell' Aslico di Mialno alla scoperta dell' operismo sei-settecentesco di marca veneziana. Dopo l' avventura felicissima del vivaldiano Giustino, opera della maturità e già grondante di tipologie operistiche formalmente mature ecco la trepidante operazione filologica del teatro Olimpico a favore di La Calisto di Francesco Cavalli, per la prima volta eseguita in veste strumentale fedele, dopo la piratesca ma affascinante lezione (anche discografica) di Raymond Leppard, che ha comunque il merito di aver tenuta desta l' attenzione su questa partitura fino a oggi. Nata nel 1651 al Teatro San' Apollinare in Venezia La Calisto, su spigliato e estroso libretto dell' avvocato Giovanni Faustini , appartiene di diritto alla galleria dei titoli mitici della preistoria operistica barocca. L' ex allievo di Monteverdi, Pietro Francesco Caletti di Crema detto il Cavalli, fu l' autentico protagonista della rivoluzione musicale legata alla nascita del teatro pubblico impresariale. Musicista precoce, poi autore quindi impresario altrettanto precoce Cavalli non ebbe difficoltà a incanalare le qualità di dotato epigono monteverdiano, facendole scintillare a contatto col mondo nuovo che le stagioni operistiche della Venezia secentesca dovevano profilare. In La Calisto il quarantanovennee acclamato autore di melodrammi concentra la scienza sua e il gusto già sofisticato, seppure disordinatamente indirizzato, dell' audience operistica del secol d' oro. L' esperienza acquisita nei precedenti quattordici titoli viene rilanciata e ridistribuita su versanti variegatissimi. Basti l' osservazione relativa all' impaginazione librettistica che trasfigura progressivamente la delicata vicenda mitologica, rendendola contenitore inappagato di divagazioni erotiche e approcci sessuali. In proporzione mirabile la struttura musicale. Cavalli prende le mosse dal maestro o meglio dall' Incoronazione di Poppea, altro concentrato profetico d' inquietudini barocche; il languore montevediano, il ricorso a prototipi melodrammatici, l' incapacità di limitarsi allo squisito musicar le parole senza metterci una stilla d' emozione personale sono atteggiamenti rivissuti con personalissima adesione, ma già con consuetudine narrativa. Con maggiore dimestichezza nei confronti del repertorio, il senso rivoluzionario della comunicazione melodrammatica di La Calisto appare pienamente apprezzabile. In particolare da un' esecuzione come questa vicentina, appena viziata da un' impostazione registica intellettualistica di Gerardo Vignoli, ma eccellente e quasi propiziatoria di altre succulente preziosità dell' epoca nella componente musicale. Lezione filologica corretta di Bruno Moretti sulla base del manoscritto: esecuzione adeguatamente ricercata nelle sonorità e nello spirito gregario alle voci dello scintillante complesso strumentale I Suonatori della Gioiosa Marca. Dalla fucina didattica di Leyla Gencer il parco interpreti giovani disciplinato e disposto a credere al puro stile veneziano fino in fondo: dizione netta, porgere vocale elegante e sfuggente alle regole del belcanto ancora pionieristico. Nell' affidabile locandina (Claudia Nicole Bandera, Silvia Da Ros, Fernanda Frongia, Michele Pertusi, Caterina Trogu-Rohrich, Vincenzo Manno, Renzo Rovedi, Maria Rosa Orani e Francesco Piccoli) l' autorevolezza vocale di Alessandra Mantovani (Diana) e di Maria Pia Piscitelli, una Calisto di porcellana.
LINDA DI CHAMOUNIX – GAETANO DONIZETTI
LINDA DI CHAMOUNIX – GAETANO
DONIZETTI
CORRIERE
DELLA SERA
1988.11.16
Leyla Gencer left Artistic Directorship
from As.Li.Co. but continued for masterclasses till 1997.
CONFERENCE