Press [1985 - 1994]


1 9 8 6
 
LA STAMPA         
1986.01.13

COURIER-POST
1986.03.14

BAY AREA REPORTER [Vol.16 - No.21]
1986.05.22

1 9 8 7

THE HONOLULU            
1987.01.03

LA REPUBBLICA

1987.03.07
ANGELO FULETTO

Grande successo per Muti e per sua protagonista

Chiedeva un nuovo ascolto, Riccardo Muti. Il pubblico scaligero s' è adeguato di buon grado, visto che la proposta di Alceste aveva come unità di misura l' eccellenza. Soltanto uno sparuto gruppetto di "vedovelli" e di loggionisti (o claque?) di un livello che si pensava felicemente estinto, non ha resistito a tentazioni nostalgiche e non potendosela prendere con Gluck, s' è scagliato contro alcuni cantanti con incivile e ingiustificato accanimento. L' attesissima prima di Alceste è così rimasta un trionfo soltanto annunciato; il resto degli spettatori è rimasto talmente sorpreso da non aver nemmeno la forza di reagire alle provocazioni. Cronaca nera a parte, la serata gluckiana alla Scala, giovedì, s' è imposta per una sbalorditiva tenuta esecutiva e teatrale. Come i responsabili dello spettacolo avevano anticipato, Alceste, nella primigenia versione viennese del 1767 (quella secondo il libretto italiano di De Calzabigi), è stata finalmente svelata nella splendente totalità. Nessun taglio, nemmeno nei numeri limitati all' orchestra e destinati alle (spartane) danze. Eppure mai una musica dimostrativa e granitica è parsa così naturale e fluida. Muti crede a Alceste, quasi sorvolando su tutto ciò che di provocatorio questa preziosa partitura si porta incancellabilmente dietro. Scontata la fedeltà assoluta alla lettera e condivisa l' impostazione "riformata" d' autore, il direttore ha interpretato Alceste utilizzando come straordinario denominatore comune la concisione linguistica. Per quasi tre ore di musica, l' orchestra scaligera, pur tenuta entro sfumature dinamiche elettrice e cangianti, non ha mai oltrepassato la soglia del forte dando una prova di concentrazione esecutiva superlativa, da mettere sullo stesso piano di quella del coro preparato da Giulio Bertola. Muti sembrava voler dimostrare una volta per tutte come le novità gluckiane, al di là delle osservate premesse teoriche, fossero compresse soprattutto nell' originalissima scrittura strumentale, unica a autorizzare il drenaggio radicale realizzato sul piano della vocalità barocca e della dispersione teatrale "meravigliosa" legata a quel modo di concepire l' opera musicale. Una dimostrazione schiacciante. Un punto di partenza ineludibile, d' ora in poi, per ripensare criticamente e esecutivamente il significato filosofico e spettacolare di questo autore, a duecento anni dalla morte ancora soffocato dalle adozioni estetiche di vario segno. Il Gluck di Orfeo ed Euridice e di Alceste è musica; è strepitoso dominio dei mezzi orchestrali, armonici, timbrici e sentimentali dell' epoca. Inutile cercare lontano: la partitura, ricondotta alla squisita analisi stilistica e espressiva, offre tutte le giustificazioni. Basta lavorarla in profondità come ha fatto Muti, portando l' orchestra a una temperatura emozionante per docilità di fraseggi e facoltà di colorare anche i passaggi meno sagaci di recitativo accompagnato con intenzioni vertiginose. C' è un passo del primo atto, durante l' ultimo duetto tra Evandro e Alceste, che ha fornito la chiave di comprensione dell' intera lettura gluckiana di Muti. Già compresa nella decisione fatale ma ancora confusa Alceste interviene con parole smarrite due volte: per due volte il recitativo s' innanza con una semplicissima sottolineatura degli archi mentre la didascalia librettistica annota "come fuori di sè" e "con maestà e risolutezza": per due attimi che parevano incontenibili l' orchestra di Muti ha creato in un' arcana tensione la definizione musicale e umana più lampante della protagonista. Certo, non sono poi mancate le altre grandi occasioni, in particolare nelle monumentali "scene" con coro dell' atto seguente: ma l' eroina di Euripide con pochissime misure era indelebilmente tratteggiata. Tutto è avvenuto al calor bianco d' una traduzione direttoriale che travalicava il puro dato sonoro, portando l' attenzione degli spettatori a uno stato di partecipazione quasi ipnotica, a tratti faticosa da sopportare, come nella superba scena conclusiva del secondo atto. E qui entrava in gioco l' ammirevole statura interpretativa di Rosalind Plowright, un' Alceste misurata, quasi impassibile di fronte all' inevitabile scelta dettata alla missione coniugale, ma calata nel canto con accenti di commozione autentica e impeccabile definizione vocale. Chi all' inizio non poteva togliersi dalla memoria i precedenti scaligeri (Maria Callas nel 1954 e Leyla Gencer nel 1972), è stato costretto a piegarsi alla toccante definizione della Plowright, che ha saputo trarre vantaggio dalla condotta interpretativa tendenzialmente distaccata, offrendosi tenerissima e quasi indifesa di fronte al rituale impietoso delle parti più geniali della tragedia. Tragedia di configurazione individuale: gli altri personaggi agiscono comunque da comprimari; da testimoni, come il coro. Anche se Gluck non risparmia difficoltà vocali e aperture musicali sublimi, tutte ben risolte. William Matteuzzi (Evandro) e Giuseppe Morino (Admeto) hanno gareggiato tenorilmente scavando con una dizione eccellente e prestanza adeguata. Di spicco l' Ismene di Anne Sofie von Otter; Alberto Noli e Ernesto Gavazzi hanno figurato benissimo, con Aldo Bramante, Giancarlo Boldrini e i due bambini Giuseppe Imperato e Giuseppe Cogliani. Alla restituzione memorabile di questo Alceste ha contribuito esemplarmente il lavoro scenico di Pier Luigi Pizzi. Lineare, neoclassica nell' architettura e nella lattiginosa definizione luminosa, la scena unica ma flessibile ha rivelato spaziature misteriose e allusive. La costruzione circolare, labirintica nel movimento delle pareti, trasfigurava la pura definizione ambientale per fotografare gli smemorati sentimentali della protagonista con una nettezza d' immagine e di suggestione complementare alla fluidità inappagata dell' articolazione musicale. Posizioni, gestualità e movimenti di massa calibratissimi accrescevano la sensazione d' un racconto teatrale colmo di pathos e soffuso di poesia.


MANCHETE       
1987.10.03

1 9 8 8


CORRIERE DELLA SERA             
1988.01.27

LA STAMPA            
1988.01.27

THE SAN FRANCISCO EXAMINER    
1988.02.10

FONO FORUM         
1988 October

LA VANGUARDIA         
1988.11.27

1 9 8 9

 
THE LISBON TRAVIATA     
1989
A PLAY BY TERRENCE McNALLY

LA STAMPA             
1989.05.30

OPERNWELT          
1989 June

1 9 9 0


MUSICA MAGAZINE            
1990 February

LA STAMPA             
1990.03.10

CLASSIC CD          
1990 May
MICHAEL TANNER

Recording Thievery

 
The most disturbing and surprising fact in the music business today is: Very important, famous singers never work in the recording industry. Two of the most striking examples are: Astrid Varnay and Leyla Gencer.
 
It’s even more astonishing that the record labels turned their backs on Gencer. Yes, Callas overshadowed Gencer, that’s true. But Gencer’s repertoire was much vaster than Callas’ and she sang more roles. Gencer sang Mozart operas and modern pieces; a repertoire that Callas always avoided. And Gencer was so popular that she had more pirate recordings than any artist in the world. Because she sang operas that nobody else sang and she also had a striking voice. She can only be compared to Callas with her uniqueness and her interpretative skills which are sensitive and intense.
 
As they should have done with Varnay, the main goal of the record labels is to record the operas with the best performer, not to record again and again with singers who shouldn’t even set their foot on the studio!
 
How could this collaboration and thievery be explained? Some record label owners claim that the mentioned artists are very hard to work with, they never spare time and clear their schedules for recording etc. It might as well be true. But however, I think that the quality of the music, artists and the voices don’t have much efficiency in the recording industry but it’s the publicists, agencies and impresarios who decide and impose which recordings and who we shall listen to.

1 9 9 1


RADIOCORRIERE.TV             
1991.01.27

LA STAMPA         
1991.11.17

LA STAMPA          
1991.11.19

1 9 9 2


LES STARS de l'OPERA           
1992

MY FRIEND PAVAROTTI        
1992

THE GREAT OPERA SINGERS             
1992

1 9 9 3


RADIOCORRIERE.TV             
1993.03.07

THE GUARDIAN           
1993.10.28

L'UNITA        
1993.12.06

1 9 9 4


FROM THE BOOK "THE BEL CANTO OPERAS" BY CHARLES OSBORNE      
1994 

CASTA DIVA    
1994 January

COURIER-POST            
1994.01.30

LYRICA             
1994 March

DAGENS NYHETER      
1994.11.10
 
Olle Persson får Birgitpriset
 
MUSIK: Tidskriften Musikdramatik har utsett årets Birgitpristagare, barytonen Olle Persson. Närmast kan han höras i Kurt Weills "Berliner Requeim" som spelas i Motala (9/11), Linköping (10/11) och Norrköping (11/11) i Östgöta blåsarsymfonikernas regi. I senaste numret av Musikdramatik skriver även Richard Wagners sonsonson om en resa till koncentrationslägren Theresienstadt och Terezin i Tjeckien, inte så långt belägna från Richard Wagners festspelsstad Bayreuth, och det blev ett mycket smärtsamt möte för Gottfried Wagner. Dessutom finns återblickar på årets sommarfestivaler, ett porträtt av sångerskan Leyla Gencer med mera.