Ma quanta freddezza per la bella Clotilde!
Bergamo - Pubblico molto scarso. Critici musicali in servizio permanente, presenzialisti della Donizetti Society in palpitazione per la visione in platea di Leyla Gencer, qualche appassionato di rarità e alcuni bergamaschi di buona volontà. La seconda proposta del programma Donizetti e il suo tempo ha lasciato freddini. Eppure l' occasione musicale era propizia. Rinasceva, per la seconda volta a Bergamo, dopo la resurrezione del centenario (anzi bicentenario della nascita) nel 1963, La Rosa Bianca e la Rosa Rossa ossia Il trionfo dell' amicizia di Giovanni Simone Mayr, il compositore austro-bergamasco alla cui bottega musicale lavorò e studiò il garzone Gaetano Donizetti. Al di là dei meriti come insegnante, Mayr fu il più eseguito autore pre-rossiniano, e il più attivo e intraprendente organizzatore musicale che Bergamo possa annoverare nella sua storia. Tale missione culturale esercitata localmente fece dimenticare il Mayr compositore, cui intese rimediare la riproposta di La Rosa Bianca e la Rosa Rossa, dramma per musica su testo di Felice Romani (al suo debutto librettistico) rappresentato al genovese Teatro Sant' Agostino il 27 febbraio 1813. La riflessione su questa partitura in due atti (ricostruita da Giampiero Tintori sulla scorta di una parte autografa e di numerosi manoscritti d' epoca) non può prescindere da alcuni dati statistici basilari. L' opera, secondo Tintori già battezzata a Venezia nel 1808 col titolo Il trionfo dell' amicizia, vide la luce negli stessi mesi di Tancredi e di Italiana in Algeri, cioè degli esiti culminanti del primo-Rossini nei generi serio e comico. La circostanza però vale soltanto per accentuare le distanze. Il ventenne Rossini ha già fatto terra bruciata intorno a sé. Mayr, con tutta la sua scienza, con la professionale abilità di scrittura, col gusto per le pagine di ampia pretesa ma di basso profilo melodico riscattato dal ricco bagaglio strumentale, rimane sempre al palo. E nello stesso tempo anticipa e sintetizza molteplici situazioni operistiche, seppure senza partecipare degli umori neoclassici. L' effetto istruttivo d' un opera ben saldata nel secondo atto, slanciata attraverso tre grandi scene protagonistiche in una progressione emotiva e di qualità inventiva notevolissima: poi, come accade nei drammi a lieto fine, tutta l' impalcatura drammatica viene incenerita nel conciso concertato risolutore si riconosce nelle verifiche di tenuta complessiva. Osserviamola da vicino. Il libretto non offre occasioni memorabili: la vicenda non banale è priva di mordente narrativo. Amici ma rivali sul campo e d' amore Enrico (il tradizionale mezzosoprano entravesti) e Vanoldo continuano a inseguirsi per tutta l' opera: nella prima parte l' uno è vittima della frode dell' altro, nella seconda il pentito Vanoldo offre la sua vita in sacrificio affinché l' amico fugga con l' amata Clotilde. La grazia regale e il tripudio finale coronano l' azione. Mayr descrive i fatti con mano limpida e distaccata: le situazioni sceniche si fanno numeri musicali con metodicità. Quì un' aria, lì un breve duetto, poi ancora un' aria preceduta da una professionale introduzione orchestrale e via dicendo: attraverso recitativi di disbrigo e uno concertato decisamente maiuscolo che concludo il primo atto. Ora si poteva capire benissimo è questa la lezione critica che possiamo ricavare sulla scorta delle decine di riscoperte contemporanee come l' opera dovesse impressionare. Con grandi interpreti, non c' era bisogno dell' assoluto belcantistico di Rossini né dell' incisività drammatica e del pathos che sarebbe divenuto cifra dell' allievo Donizetti. La Rosa Bianca e la Rosa Rossa vive d' un professionismo operistico ammirevole. Forse più da indagare sulla carta che non mettere in scena. E' infatti il rapporto tra musica e gesti a essere carente. E poi perché nella spartana operazione bergamasca ripreso l' allestimento ' 63 da Antonello Madau Diaz è mancato proprio l' anello principale: il direttore. Thomas Briccetti ha condotto al termine l' opera senza mostrare di averla mai amata o compresa. Tempi rilasciati, rigidità nell' articolare il discorso drammaturgico, incapacità di dare ai cantanti un' intenzione che andasse al di là del banale attacco. Alle solite. Una compagnia sulla carta discreta (Danilo Serraiocco, Silvia Mazzoni, Enrico Facini) o addirittura di primo piano (per il mordente e la partecipazione di Susanna Anselmi; per la voce preziosa e ancora sottoutilizzata dai Luca Canonici), con Anna Caterina Antonacci a fare da primadonna autorevole e capricciosamente tragica, ma che non ha potuto dare all' opera quanto meritava.
Alla validissiona e operosa “assacione amici del loggione del teatro alla scala” con i miei vivi complimenti e grazie per questo incontar con gli amici - Elettra (Idomeneo) 5 Dicembre 1990 Leyla Gencer
with friends Photo © Teatro alla Scala / LELLI E MASOTTI, Milano |
Giorgio Strehler and Nina Vinchi Grassi Photo Piccolo Teatro © FOTO CIMINAGHI, Milano |
with Şule Soysal, Turkish Ambassador to Austria at her residence |
with Yelda Kodallı and Ambassador Soysal, Sacher Hotel, Wien |
with Carlo Maria Badini and Riccardo Muti Photo © Teatro alla Scala / LELLI E MASOTTI, Milano |
with Cristina Muti Photo © Teatro alla Scala / LELLI E MASOTTI, Milano |
with Carmelo Bene, Cristina Muti, Fedele Confalonieri, Riccardo Muti, Marco Formentini Photo © Teatro alla Scala / LELLI E MASOTTI, Milano |
after the second concert at Muti's dressing room at ICEC Concert Hall, Istanbul |
after the first concert at Muti's dressing room at ICEC Concert Hall, Istanbul |
Gencer together with Muti, his son and Sir John Tooley, former General Director of Covent Garden, Istanbul after the concert |
Lunch with Franca Cella at Çırağan Palace Kempinski, İstanbul |
with the Director of Istanbul Music Festival at the Marmara Hotel Taksim, Istanbul |
Standing ovation for La Scala Philharmonic and Muti. Orchestra performed La forza del destino Overture for the honour of Leyla Gencer as an encore. ICEC Concert Hall, Istanbul |
Filarmonica, due concerti
Muti e La Scala al Festival di Istanbul
Istanbul – Diretti da Riccardo Muti, si terranno stasera e domani nella moderna sala del Convention Exibition Center di Istanbul due concerti della Filarmonica della Scala, in occasione del Festival internazionale di musica, teatro e jazz che si svolge nella città turca. E’ la prima volta che l’ orchestra milanese e il maestro Muti partecipano a questo festival, che sta assumendo una crescente importanza internazionale. Ai primi di settembre poi si svolgerà il Concorso di canto per voci liriche intitolato al soprano Leyla Gencer, la cui giuria sarà presieduta dal sovrintendente del Teatro alla Scala, Carlo Fontana.
Riccardo Muti e La Scala Conquistano Istanbul
Istanbul - Mezz' ora di applausi, il pubblico festante in piedi a tributare ovazioni, due bis. Per la Filarmonica della Scala e il maestro Riccardo Muti le due serate di Istanbul, i due concerti al Kirdar International Centre si sono concluse con due autentici trionfi.
Riccardo Muti ha portato la Filarmonica scaligera ospite del festival musicale di Istanbul con due programmi molto diversi ma entrambi graditi dai 1600 spettatori che hanno manifestato un consenso straordinario. Sabato sera Muti al termine del concerto ha voluto dedicare il bis richiesto a gran voce dal pubblico al soprano turco Leyla Gencer presente in sala nella prima fila della platea. Il maestro scaligero ha commentato con toni soddisfatti l' esibizione della sua orchestra: "Quest' orchestra ha ormai raggiunto livelli di eccellenza. Sono bravi, anzi bravissimi. Ad ogni concerto sento un miglioramento in tutte le parti dell' orchestra". Sabato sera Muti ha trascinato l' orchestra scaligera in un programma comprendente Beethoven (Ouverture dell' Egmont e la Quarta Sinfonia) e la suite Turandot di Busoni, per chiudere con i 'Pini di Roma' di Ottorino Respighi. Domenica sera l' orchestra scaligera ha invece eseguito brani di Mendelssohn, Schumann, Elgar e De Falla. L' orchestra ha toccato vertici di assoluto livello soprattuto nei 'Pini di Roma' , in Schumann e nel bis della sinfonia della 'Forza del destino' .
Miglior viatico non poteva dunque esserci per Muti e la Filarmonica scaligera in procinto di partire per Sarajevo per lo storico concerto organizzato, domenica prossima, dal Festival di Ravenna.
Interview
Torino - Dunque maestro Muti, dopo ben cinque anni di attesa, da quel 'Don Carlo' nel '92 in cui Pavarotti scheggiò una nota e si beccò i fischi, le agguerrite falangi dei fans verdiani ritrovano finalmente una prima, il 'Macbeth' , dedicata all' idoleggiato compositore bussetano... E' giusto questo il tono, il caricare la serata del 7 dicembre di una sorta di sacralità da evento storico, per vedere la faccia mediterranea e solare del direttore scaligero rabbuiarsi in un attimo di disappunto seguito da un largo sorriso ironico e sarcastico. Da anni intento a un lavoro di rivisitazione dell' opera, prodigo di ammonimenti a lasciar perdere i 'lustrini' della festa per concentrarsi invece sul 'rigore' e sul 'rispetto dell' autore' , Muti, si sa, non ama le prime: "Bisognerebbe abolirle", ripete spesso con il gusto della provocazione sottile, "cioè fare in modo che il teatro possa avere una programmazione vasta e continua, senza mai chiudere i battenti: ecco che allora la prima non sarebbe più la riapertura avvolta da un alone di ritualità, di passerella mondana.
Diventerebbe una normale serata di proposta culturale e artistica". E soprattutto se si entra in tema verdiano, il direttore musicale della Scala, cioè il musicista in attività che più d' ogni altro ha diretto Verdi, assume l' espressione cauta e severa, come di un artificiere alle prese con l' esplosivo da disinnescare. Dunque il 'Macbeth' , l' opera 'bussetana' di Verdi, quella dedicata al suo benefattore, Antonio Barezzi. E oggi c' è aria di festa, a Busseto: a mezzogiorno il sindaco Luigi Mazzetta consegnerà a Riccardo Muti la cittadinanza onoraria al maestro scaligero. Macbeth è il lavoro verdiano che lei, maestro Muti, ha diretto più d' ogni altro, in tutto il mondo. Che cosa l' appassiona di quest' opera, di questo incontro tra Verdi e Shakespeare? "Il primo 'Macbeth' fu a Firenze, nel '74, con la regia di Enriquez e una straordinaria Leyla Gencer. Poi nel '76 lo incisi su disco, con la Cossotto nel ruolo di Lady Macbeth: mi venne in mente lei leggendo e rileggendo le indicazioni di Verdi, il quale voleva effetti metallici, come una lama, nel colore vocale della protagonista. E la Cossotto, dovendo forzare nel registro sopranile, otteneva questo colore. Poi ci fu il 'Macbeth' al San Carlo nel 1983, con la regia di Manzù: un muro bianco, una lancia, un sasso.
Essenziale, conciso, proprio come Verdi continua ossessivamente a chiedere durante la stesura dell' opera a Piave e poi a Maffei: 'Poche parole, poche parole, poche parole' . Poi 'Macbeth' fu al Covent Garden, a Monaco di Baviera; infine a Filadelfia e, in forma di concerto, alla Carnegie Hall di New York". Adesso alla Scala. Che 'Macbeth' sarà? "Macbeth è un' opera a sé, singolare per audacia timbrica ma soprattutto per la vastissima richiesta di colori all' orchestra e alle voci. Le indicazioni di Verdi sono infinite. Chiede che la voce sia 'oscillante' , 'repressa' , 'parlante' ; addirittura 'muta' . E in certi momenti vuole un' orchestra 'senza suono' . Poi c' è la dinamica orchestrale, i segni di espressione, i valori, i timbri: esige dei pianissimo contrassegnati da quattro p e in un caso cinque. Verdi, nel 'Macbeth' , si preoccupa del libretto, dei costumi, degli effetti scenici; spiega perentorio ai cantanti come cantare e soprattutto come recitare, chiede passaggi 'patetici e terribili' , canti 'con la sordina' , brani 'più discorsi che cantati' . 'Servi meglio il poeta che non il maestro' ordina al baritono Varesi. Insomma 'Macbeth' è il capolavoro, per intuizione musicale, scenica e teatrale, di un autore che fino ad allora aveva seguito la convenzione". Qual è l' aspetto che più l' affascina? "La ricerca dell' uso della voce. In questo Verdi sprigiona una forza rivoluzionaria, per approdare a risultati di una straordinaria modernità". C' è molta attesa per vedere l' allestimento e la regia di Graham Vick. Sarà una proposta provocatoria? "Toccherà al pubblico giudicarci. Io l' ho trovata molto interessante. Certo, non ci sono le scene che abitualmente si usano per allestire l' opera dell' Ottocento; non sarà un 'Macbeth' romantico come quello di Strehler già allestito alla Scala, ma la regia di Vick non è provocatoria, direi anzi che è un regia di grande tradizione, come quella di Manzù nell' 83. Vick punta sul vuoto, sulla notte, e su una struttura cubica, simbolo del potere, del male. Trovo che sia molto in sintonia con la musica del 'Macbeth' , con gli effetti al limite dell' espressionismo ai quali Verdi arriva; con quel senso del fantastico e del 'maraviglioso' che tanto aveva attratto questo portentoso musicista raccontatore di destini e di caratteri umani". La ricerca sull' uso della voce pone grosse difficoltà ai cantanti, Bruson-Macbeth e Guleghina-Lady Macbeth soprattutto. "Ma anche alle streghe, che Verdi indicava come uno dei tre protagonisti cardine dell' opera. Abbiamo lavorato molto, prima al pianoforte e poi nelle prove, per scavare i caratteri e gli accenti chiesti da Verdi. Un lavoro faticosissimo ma anche entusiasmante. La profondità, l' intelligenza e le tante qualità di Bruson sono note a tutti gli appassionati dell' opera. La Guleghina, che già aveva cantato nel 'Macbeth' all' Arena, si è calata nel personaggio con intensità. Ma, guardi, non vorrei dire altro su questo 'Macbeth' : noi abbiamo lavorato con umiltà e dedizione, esclusivamente al servizio dell' autore. Non tocca a me giudicare il mio e nostro lavoro. Io ho la coscienza a posto, avendo cercato di dare un contributo nella rilettura di Verdi. E' questo il nostro compito di interpreti: rileggere, riapprofondire tutto il mondo verdiano, un prodigioso musicista che copre un secolo intero. E sapendo poi che non riusciremo mai ad attuare fino in fondo le indicazioni di Verdi". E' un autore troppo spesso interpretato con effetti e effettacci...
"Alt. Qui mi fermo, non cadrò nella trappola di dare giudizi, pagelle. Dico soltanto che il compito di reinterpretare Verdi tocca a tutti noi esecutori. Ed è un compito da brividi, perché ciascuno di noi ha la sua sensibilità, i suoi ricordi e anche i suoi vizi. Per questo, davanti alla grandezza di Verdi, io provocatoriamente dico che bisognerebbe fermarsi tutti, non eseguire Verdi per alcuni anni; e attraverso lo studio e l' approfondimento formare una nuova generazione di esecutori e interpreti di questo titano, di questo mago della musica teatrale che ha portato l' opera dall' Ottocento al Novecento".
Il debutto della Scala privata con Verdi e gli amici Americani
Milano - Alla Scala va in scena la 'prima' e come sempre il tam tam metropolitano annuncia proteste varie, davanti al teatro illuminato a festa - e per il secondo anno consecutivo adobbato con margherite e verbene offerte a quintali dai fiorai di Terlizzi - per il 7 dicembre. A gridare le loro ragioni, oltre agli animalisti capeggiati da Marina Ripa di Meana e muniti di uova finte da lanciare alle impellicciate, ci saranno persino alcuni vigili milanesi, in rotta con il Comune. I vigili, che avevano decretato lo sciopero, sono stati precettati dal prefetto su richiesta del sindaco. Sicché una parte di loro sarà in servizio davanti al teatro, e dovrà vigilare anche su un gruppo di colleghi contestatori. Al primo assaggio, il 'cubo' - la struttura scenica che caratterizza e contiene tutto il dipanarsi dell' opera - è piaciuto; la musica ancor di più. L' altra sera, venerdì, la prova generale, che il maestro Riccardo Muti ha deciso di aprire a un pubblico formato da amici e parenti di orchestrali e lavoratori scaligeri nonché dai critici musicali e da alcuni habitués del teatro, è stata contrassegnata da molti applausi.
E oggi il Macbeth di Verdi, rivisitato da Muti e dal regista inglese Graham Vick, interpretato dai cantanti Renato Bruson, Maria Guleghina, Roberto Alagna e Carlo Colombara, va in scena alle 18 (diretta radiofonica sul terzo programma Rai). E' la dodicesima 'prima' dell' era Muti (dopo Nabucco, Don Giovanni, Guglielmo Tell, Vespri siciliani, Idomeneo, Parsifal, Don Carlo, Vestale, Valkiria, Flauto magico, Armide) ed è contrassegnata da due particolarità. Il ritorno, a cinque anni dal Don Carlo con i fischi a Pavarotti, di un' opera verdiana nel ruolo di capofila del 7 dicembre; e, idealmente, la prima uscita pubblica della Scala nelle vesti di Fondazione privata: da un mese, infatti, Eni, Cariplo, Pirelli, Sea e Assolombarda sono entrate in società con il Comune e la Regione, i quali mantengono comunque la maggioranza (60 per cento). Un Sant' Ambrogio scaligero dai toni nuovi, dunque; l' inizio di una sfida di modernità che il teatro più famoso del mondo lancia a se stesso e a tutta Milano. Sicché il sovrintendente Carlo Fontana e il maestro Riccardo Muti hanno voluto contrassegnare questa prima con i connotati dell' evento culturale, rifuggendo la mondanità, la passerella, e nella scelta artistica e negli inviti. Pochissimi i politici invitati (con il sindaco Gabriele Albertini, il ministro del Lavoro, Tiziano Treu e il sottosegretario al Tesoro, Pietro Giarda, quest' ultimo milanese e scaligero di lungo corso; il vicepresidente del Senato, Domenico Contestabile); qualche giornalista e scrittore (Afeltra, Biagi, Montanelli, Tadini); il professor Umberto Veronesi; il commissario europeo Mario Monti; glorie artistiche della Scala: Renata Tebaldi, Giulietta Simionato, Leyla Gencer, Alessandra Ferri, Carla Fracci; il sovrintendente dell' Opera di Vienna, Holender, e il presidente del Festival di Salisburgo, Rabll Stadler. Chiusa la stagione delle prime pullulanti di nomenklatura politica già a partire dal '92, con il terremoto Mani Pulite, è via via scemata l' aura mondano-presenzialista che aleggiava sulla sera del 7 dicembre.
Certo, qualche nome da saziare gli appetiti di consumatori di notorietà, c' è, ma in dosi minime: John John Kennedy con moglie e l' attore Dennis Hopper. Così come sembra finita la corsa delle signore all' abito firmato e poi reclamizzato con annuncio degli uffici stampa. Ci saranno, invece, molti appassionati d' opera e amanti della Scala dal portafoglio capace. Cosa che non guasta, vista la necessità della neonata Fondazione di impinguare il capitale: dagli Stati Uniti arrivano molti facoltosi sostenitori della 'Foundation Usa Teatro alla Scala' . Ci sarà pure l' ambasciatore americano in Italia, Thomas Foglietta. E dopo lo spettacolo, alle dieci e mezzo, cena all' hotel Four Season per Muti, gli artisti e i 350 invitati, ospiti della Scala e della Fondazione Milano per la Scala presieduta da Daria Rocca. Altra cena, quella municipale, per i politici e le autorità, a Palazzo Marino.
Muti raccoglie il suo trionfo sotto l’ombra di quel cubo
Milano - E' stato prodigo d' applausi il pubblico della Scala. Il Macbeth che ieri ha inaugurato la stagione ne ha raccolti tantissimi, e fin dall' inizio. Già dal primo apparire sul podio di Riccardo Muti, salutato da battimani, sempre più calorosi a ogni sua entrata. Alla fine un quarto d' ora di applausi, lanci di fiori, "bravo".
Entusiasmo per il direttore, qualche "buuh" per il regista Graham Vick. Vistoso successo personale per il soprano russo Maria Guleghina, imperiosa Lady, premiata a scena aperta al "Vieni t' affretta", poi a "La luce langue" e infine dopo la Scena del sonnambulismo. Affettuosissima accoglienza al baritono Renato Bruson, al tenore Roberto Alagna, al basso Carlo Colombara e non ultimo al Coro, straordinario protagonista. Di certo, il pubblico delle "prime" alla Scala non ci era abituato. A una scelta di regia così radicale come quella compiuta dall' inglese Graham Vick. Di certo, il cubo gigantesco che domina l' opera è stato l' argomento che più d' ogni altro ha mostrato come uno spettacolo possa far discutere. Anche una platea come quella di Sant' Ambrogio, considerata più incline ad argomenti mondani che artistici. Meno ingessata e più calda di quanto siano le abitudini scaligere del 7 dicembre. E non c' è stato neppure il "controcanto" del loggione: niente strali ma pioggia di applausi e di "bravo". C' è un pensiero "sperimentale" dentro il Macbeth di Verdi. Anche l' idea di spettacolo non è convenzionale, più radicale di quanto non si fosse mai vista in questi dodici anni di Muti alla Scala. Si potrebbe dire che interpretazione musicale e regia compiono in modo netto una scelta di campo. Ma se quella offerta dal direttore d' orchestra, nei commenti del pubblico, ha trovato solo parole di consenso e di grande adesione, non così è stato per la regia di Vick.
A segnalare la sorpresa è stato per esempio Dennis Hopper, attore e regista americano. "E' la prima volta che vengo alla Scala - ha detto - e mi aspettavo una scena più tradizionale. Sono sconcertato. Ma la musica è talmente coinvolgente in ogni momento che ho provato l' impulso di essere anch' io in scena". Lo smentisce Leonardo Mondadori, che commenta con soddisfazione: "Finalmente una regia di gusto contemporaneo: Muti ha visto giusto". D' accordo con lui è anche Nina Vinchi, vedova di Paolo Grassi: "Una regia intelligente e nuova". Il soprano Leyla Gencer, grande Lady negli anni Settanta sotto la direzione di Muti, dice: "Stasera abbiamo vissuto qualcosa di unico. A qualcuno è parso strano il cubo? Non direi. Sarà che io ci sono abituata, è una forma familiare in tante opere in cui ho cantato". Invece il procuratore Francesco Saverio Borrelli è tutto per Muti e poco per Vick: "Sulla scena mi pare di vedere solo un ingombrante container e anche la simbologia dei colori è molto primitiva. Ma l' interpretazione musicale è straordinaria". Il cantante Claudio Baglioni, nell' insolita veste di commentatore per un settimanale, apprezza la Guleghina e l' eleganza di Bruson, si dice molto impressionato dal "ruolo protagonistico dell' orchestra diretta da Muti". Fedele Confalonieri non lesina complimenti, al direttore soprattutto, e a tutto lo spettacolo, regia compresa: "Che volete? Sarà perché il Cubo ha un che di televisivo. Che non guasta", scherza. Il primo atto è cominciato senza il consueto aprirsi del sipario. Le scene vengono "chiuse" da un telo azzurro che cala aperto su un solo lato. Durante lo spettacolo cambia solo di colore: blu, rosso, giallo, viola, verde. Colori decisi, scuri ma non solo.
Ottenuti utilizzando 450 metri di tubi al neon. Pesa 80 quintali, il Cubo, ma la sua pesantezza è quella stessa che schiaccia l' esistenza dei protagonisti. Un incubo. Nel secondo atto domina il giallo nella scena del brindisi che, assieme al coro dei sicari vede il Coro in prima linea. Atto terzo: le danze sono proposte nella loro integrità.
Movimenti a scatti, convulsi, primitivi. Tutto è viola. Quando arriva la scena
delle "apparizioni" è il momento delle immagini più scioccanti. Un
feto, per la verità abbastanza raccapricciante, viene proiettto sulla
superficie del cubo. Quarto e ultimo atto: la resa dei conti. Al Coro il
magnifico "Patria oppressa" e al soprano la scena più difficile,
quella del sonnambulismo, con il re bemolle finale da eseguire
"filato". Poi è la battaglia: per far "muovere" la foresta
di Birnam, così come vuole la profezia, Vick utilizza cappe double-face. Da
rivoltare, per far apparire il verde. E' la scena conclusiva. E il trionfo.
Photo © MAURIZIO DE NISI, Napoli |
1998.06.16
Si suonava spesso a casa nostra. Artisti amici non si sottraevano alla tentazione di Lorenzo al pianoforte, informalmente, col piacere di accennare un’aria e poi via …rapiti dentro lo spartito. Questa serata è un po’ diversa, preparata. Offriva due giovani promesse della Accademia di canto del Teatro alla Scala. Il baritono Nicola Mihailovic e il mezzosoprano Elena Cassian, in un breve programma di arie ed era l’occasione per ricambiare inviti ricevuti a un gruppo di amici della società milanese, personalità pubbliche, di cultura, ricerca, assidui per rapporti personali e perchè frequentatori o promotori in prima persona della musica a Milano. Sembrano tanti, anche se una parte di invitati previsti era impegnata altrove quella sera. Ho gioito con emozione nel riscoprire questo video a distanza, nel rivederli affollare con naturalezza la nostra casa, allegri, giovani, pronti all’attenzione. Ho anche stentato a riconoscere qualche volto nel video amatoria un po’ scuro. Per chi volesse accenno un filo di riconoscibilità dei presenti in ordine di (talora fulminea) apparizione nel video. Dall’inizio Pier Luigi Pizzi, Massimo Gasparon e Nandi Ostali, Ede Palmieri. Maresa Gabanna, Noretta Magnocavallo e Mira Caizzi sul divano. Nicoletta Geron e Cecilia Tito alla specchiera. Attorno a me che svolazzo in rosso Anna Crespi, Renato di Majo, Gianni Caizzi (di sfondo), Antonio Delitala e moglie, Alessandra Mottola, Giovanna e Achille Colombo Clerici, Lia del Corno, Vera Giulini, Felice Tibaldi Chiesa, Alberto Veronesi e (dopo) Anna Bellezza. Ede Palmieri, Renato Cacamo. Lorenzo Arruga introduce il concerto e i giovani Nicola Mihailovic (baritono) ed Elena Cassian (Mezzosoprano). In ascolto, accanto a me Gasparon, Dario del Corno, sull’altro lato Alberto Veronesi, Antonio Magnocavallo, Alessandra Mottola, Alfredo Leonardi, Luisa Longhi. Ancora Paola Fioruzzi Scavia con Luciano, Cita e Carlo Winkler, Fernanda Giulini, Leyla Gencer che ci ha raggiunti dopo teatro. Con Arruga al pianoforte i cantanti hanno eseguito arie (con recitativo) di Donizetti: “Don Pasquale” (Bella siccome un angelo), “La Favorita” (O mio Fernando); di Verdi: “Un ballo in maschera” (Eri tu ); di Rossini: ”L’Italiana in Algeri”(Pensa alla patria). Ripresa amatoriale di Renato Caccamo gentilmente concessa. Franca Cella resta a disposizione per quanti avessero a vantare diritti per la riproduzione dei filmati che avviene comunque senza fini di lucro e solo a titolo divulgativo.
LA REPUBBLICA
Le vedove scaligere villane e incompetenti
Villane e incompetenti, le inconsolabili "vedove" scaligere - alla Scala, l' ultima Lucrezia Borgia volta, nel 1970, fu cantata da Montserrat Caballè e Leyla Gencer - hanno dunque giustiziato al debutto il soprano americano Renée Fleming. Parte dello stesso pubblico che, gratificato di un paio di strilli acuti, qualche mese fa aveva perdonato a Editha Gruberova una prestazione al limite della decenza (in Linda di Chamounix), ha metodicamente contestato le scelte musicali e vocali della Fleming, rea di aver partecipato con coraggiosa determinazione (ma anche con voce intensa e ragguardevole pulizia belcantistica; un po' carente magari sul piano dell' incisività drammatica) alla visione tragica soffusa e inquietamente lirica posta da Gianluigi Gelmetti al centro della sua avvincente interpretazione di Lucrezia Borgia. Non era facile restituire al capolavoro donizettiano - ché di capolavoro di tratta; degno di stare, come accadeva stabilmente nell' ottocento, sullo stesso gradino di Lucia di Lammermoor - una fisionomia musicale corrispondente alla natura di partitura di singolare concezione drammatica e ricercata qualità compositiva. La figura ambivalente di Lucrezia, madre tenera e trepida, ma insieme donna capace dei gesti terribili divenuti leggenda, è pienamente assecondata da Donizetti che fornisce una tinta sinistra a tutta la vicenda. Il segno cupo diventava ossessione claustrofobica nel magnifico e dimostrativo spettacolo di Hugo De Ana, che ha ordinato movimenti singoli e collettivi col felice gusto della cerimonialità drammatica che gli appartiene, giocando a creare suggestioni nel contrasto con la monumentalità dell' impianto scenico foderato e corrusco di lastre di rame. Più acquarellata la pittura dell' orchestra, tenuta da Gelmetti sempre al di qua dei quarantottismi sonori, concertata per sfumature e disposta su tempi comodi, quasi elegiaci. Su misura per l' indole vocale dei protagonisti annunciati. In questo senso s' è fatta valere l' elegante perentorietà di Michele Pertusi, il giovanilistico ardore di Sonia Ganassi e la squisitezza pallente della Fleming. Il tenore ideale è rimasto in infermeria, volonterosamente rimpiazzato più che compensato da Marcello Giordani; le parti di contorno erano discrete, vitale il coro. Avrebbe potuto essere un omaggio finalmente degno dei debiti contratti dalla Scala e dalla sua storia con Donizetti: la prevenzione di parte del pubblico - quando mai s' è sentito sibilare disturbando, prima di una difficile cadenza? - e gli incidenti di percorso l' hanno impedito.
FRANCA CELLA YOUTUBE CHANNEL
Dal video “Momenti di un’artista”, Milano Amici della Scala 2/12/2011
Presentazione del libro di Zeynep Oral “Leyla Gencer/ Il canto e la passione” (Edizione italiana, Mursia 2011 a cura di Alessandra Chiappano) attraverso il dialogo tra le due biografe Franca Cella e Zeynep Oral autrice del libro.
Ho selezionato due momenti dal video originale ISKV (Istanbul Sanat Kültüre Vakfi / Istanbul Foundation for Culture and Arts):
Il Trovatore e Muti. Conversazione estemporanea del Maestro Riccardo Muti in camerino dopo la generale di “Fidelio” al Teatro alla Scala 5/12/1999, ripresa da Renato Caccamo. Il Maestro ricorda a Leyla Gencer quando la scoprì dal “Trovatore” RaiTV 1957.
Nel montaggio attuale ho inserito per affinità d’argomento con l’episodio Muti due citazioni di altri personaggi. Anche Pier Luigi Petrobelli, Direttore dell’Istituto Nazionale di Studi Verdiani, rievoca quel “Trovatore” e l’importanza della parola nel canto della Gencer (intervento durante un Incontro con L. Gencer intervistata da Angelo Foletto agli Amici della Scala, aprile 2000).
Anche il direttore Gianandrea Gavazzeni pensava alla Gencer per la sua Leonora ideale.
Citazioni da Gianandrea Gavazzeni, “Il sipario rosso” / Diario (1950-1976), Einaudi 1997: 3 luglio ’64, p. 566;
Il giro degli intervalli nella melodia vocale e nel recitativo, le modulazioni, i voli aurati, gli accenti sulle parole, il chiaroscuro lunare; tutto e imparagonabile ad altro presonaggio verdiano, tutto nasce sull’”imitazine” di se stessa, soltanto nel piu carico mistero del cuore e della fantasia. L’immortale amata: Leonore del “Trovatore”. Percio nessına che la interpreti ci appaga mai.
Il Museo Leyla Gencer a Istanbul. Progettato e realizzato da Pier Luigi Pizzi. Situato al secondo piano del Palazzo dove ha sede la Fondazione IKSV, inaugurato il 4 maggio 2010. Riproduce ambienti e clima di vita della casa di Viale Majno a Milano. La casa a Milano
Ho inherito, dopo il video originale ISKV, documentazione fotografica della casa di Leyla Gencer a Milano. Sono fotografie scattate da me, nell’ottobre 2008 appena prima di smontare e spedire in Turchia l’arredo completo dell’appartamento (secondo volontà della cantante), come ripasso di memoria per Pier Luigi Pizzi che lo avrebbe ricreato nel Museo Leyla Gencer a Istanbul.
Ho aggiunto qualche immagine della Inaugurazione del Museo, (4 maggio 2010), per fierezza d’aver partecipato al lavoro di preparazione e realizzazione con Pier Luigi Pizzi e Massimo Gasparon, con Melahat Behlil, con tutto lo staff direttivo e le maestranze di IKSV. La sensazione d’aver portato a termine una bella recita, questa volta per Leyla. La restituzione ideale del clima di vita impresso nella sua casa milanese, dal 1966 al 2008.
Per aggiornamenti su attività e trasformazioni del Museo Gencer a Istanbul, intatto come patrimonio della donazione e idealità di scopo, soggetto alla mutevolezza pratica delle cose umane, segnalo https://www.iskv.org Leyla Gencer House. About and Visitor Info.
Franca Cella ringrazia per le testimonianze e i contributi video e resta a disposizione per quanti avessero a vantare diritti per la riproduzione dei filmati che avviene comunque senza
RECORDING
00:42 Riccardo Muti
01:38 Diva capricciosa
02:03 Sulla lettera del Macbeth
02:45 L'Angnese di Spontini
04:26 Petrobelli
06:35 Casa ricreata a Istanbul
14:44 Sulla casa di Milano
15:54 Foto e statua di Alceste dono di G. De Lullo
07:10 Cyscino Belisario di Pizzi
18:24 Foto di De Lullo, Poulenc
20:02 Pier Luigi Pizzi nella casa di Milano 2008
1- IL TROVATORE
2011.12.02 / La Libera Mursia, Milano Presentazione del libro di Zeynep Oral “Leyla Gencer/ Il canto e la passione” (Edizione italiana, Mursia 2011 a cura di Alessandra Chiappano) attraverso il dialogo tra le due biografe Franca Cella e Zeynep Oral autrice del libro.
Presentation of Zeynep Oral's book “Leyla Gencer/ Il canto e la passion” (Italian edition, Mursia 2011 edited by Alessandra Chiappano) through the dialogue between the two biographers Franca Cella and Zeynep Oral, author of the book.
1999.12.05 / Teatro alla Scala, Milano Conversazione del maestro Riccardo Muti in camerino dopo la generale di Fidelio al Teatro alla Scala. Il maestro ricorda quando scopri Leyla dal Trovatore Rai TV 1957, ripresa di Renato Caccamo
Conversation with maestro Riccardo Muti in the dressing room after the general performance of Fidelio at the Teatro alla Scala. The maestro remembers when he discovered Leyla from Trovatore Rai TV 1957, filmed by Renato Caccamo
2000.04.13 / Amici della Scala, Milano Nel montaggio attuale ho inserito per affinita di argomento citazioni di altri personaggi. Anche Pier Luigi Petrobelli ricorda il Trovatore 1957 (da Amici della Scala)
In the current editing I have inserted quotes from other characters to match the topic. Pier Luigi Petrobelli also remembers Il Trovatore 1957 (from Amici della Scala)
1964.07.03 / Anche il direttore Gianandrea Gavazzeni pensava alla Gencer per la sua Leonora ideale. Conductor Gianandrea Gavazzeni also thought of Gencer for his ideal Leonora. Citazioni da Gianandrea Gavazzeni, “Il sipario rosso” / Diario (1950-1976), Einaudi 1997: 3 luglio ’64, p. 566;
Il giro degli intervalli nella melodia vocale e nel recitativo, le modulazioni, i voli aurati, gli accenti sulle parole, il chiaroscuro lunare; tutto e imparagonabile ad altro presonaggio verdiano, tutto nasce sull’”imitazine” di se stessa, soltanto nel piu carico mistero del cuore e della fantasia. L’immortale amata: Leonore del “Trovatore”. Percio nessına che la interpreti ci appaga mai.
The rotation of the intervals in the vocal melody and in the recitative, the modulations, the golden flights, the accents on the words, the lunar chiaroscuro; everything is incomparable to other Verdi characters, everything is born from the "imitation" of itself, only in the most charged mystery of the heart and imagination. The immortal beloved: Leonore from “Trovatore”. Therefore no one who plays her ever satisfies us.
1964.07.28 Anglo-American Hotel, Firenze / Citazione da lettera autografa a L. Gencer, 28 luglio’64
Cara Signora,
Grazie per sua lettera del 25 luglio (giorno in cui ho compiuto 55 anni!).
.... mi compiaccio che voglia riposare e curarsi bene. Se Lei mi facesse quella Leonora che nessuna riesce a farmi mi farebbe proprio il piu grande regalo.
2- MUSEO LEYLA GENCER A ISTANBUL
2010.05.04 Museo / İstanbul Franca Cella alla inaugurazione del Museo Leyla Gencer
Dopo il momento originale IKSV ho inserito documentazione fotografico della casa di Leyla Gencer a Milano modello ricreato da Pizzi nel museo a Istanbul. After the original IKSV moment I inserted photographic documentation of Leyla Gencer's house in Milan, model recreated by Pizzi in the museum in Istanbul.
La casa di Milano Viale Majno 17/A che Pier Luigi Pizzi ha ricreato al Museo di Istanbul
The house in Milan Viale Majno 17/A that Pier Luigi Pizzi recreated at the Istanbul Museum
Above video recording is from FRANCA CELLA YOUTUBE ARCHIVE