LA BATTAGLIA DI LEGNANO

Giuseppe Verdi (1813 - 1901)
Opera in three acts in Italian
Libretto: Salvatore Cammarano
Premièr at Teatro Argentina, Rome – 27 January 1849
10, 12, 17 May 1959 
Teatro Pergola, Firenze

XXII. MAGGIO MUSICALE DI FIORENTINO
OPENING PERFORMANCE

Conductor: Vittorio Gui
Chorus master: Andrea Morosini
Stage director: Franco Enriquez
Scene and costumes: Attilio Colonello

Maestro collaboratore al coro / Choir Accompanist: Rolando Maselli
Maestri collaboratori / Stage Accompanists: Maria Concetta Balducci, Gino Bianchi Rosa, Gianni Del Testa, Aldo Faldi, Erasmo Ghiglia, Pietro Margarito, Alberto Ventura
Direttore di scena / Stage Manager: Walter Boccaccini
Maestro suggeritore / Prompter: Luigi Morosini
Direttore dell'allestimento scenico /Production Manager: Piero Caliterna
Scenografi [realizzatori] / Set Designers [Realisation]: Giovanni Broggi, Bruno Mello, Giambattista Santoni
Collaboratore alla scenografia / Assistant Set Designerr: Giuseppe Santini
Capo macchinista / Chief Technician: Roberto Matteini
Vice capo macchinista / Assistant Stage Technician: Renato Ciulli
Capo elettricista / Chief Electrician: Aldo Santini
Costumi / Costumes: Cerratelli
Attrezzi / Props: Tani 
Calzature / Footwear: Sacchi 
Parrucche / Wigs: Filistrucchi

Frederick Barbarossa PAOLO WASHINGTON bass
First Consul of Milan AGUSTO FRATI bass
Second Consul of Milan UGO NOVELLI bass
The Mayor of Como MARIO FROSINI bass
Rolando Duke of Milan GIUSEPPE TADDEI baritone
Lida his wife LEYLA GENCER soprano [Role debut]
Arrigo a warrior from Verona GASTON LIMARILLI tenor
Marcovaldo a German prisoner GIORGIO GIORGETTI baritone
Imelda Lida’s servant OLGA CAROSSI mezzo-soprano
A Herald ALBERTO LOTTI tenor

Time: Twelfth Century
Place: Como and Milan

 Recording date

Note: The production's TV coverage made by Teatro Pergola. 

Photos © FOTO FIORENZA, Firenze

Drawings / Sketches © ATTILIO COLONELLO

AMOS DA CASSIOLI
4284. Inv. 4419
Siparietto (non realizzato) Riproduzione fotografica.
cm 10,4 x 14,7.
Da sinistra in basso le scritte a stampa:
"AMOS CASSIOLI
La battaglia di Legnano - Siparietto per "La battaglia di Legnano" di G. Verdi -
XXII MAGGIO MUSICALE FIORENTINO 1959".
Bozzetto mai inventariato. Ritrovato nella cartella dei bozzetti dello spettacolo
durante l'inventario 2013-2014. Nuova numerazione e inventariazione a
patrimonio. Attilio Colonnello, scenografo e costumista dell'opera verdiana, in un
incontro del 13 dicembre 2013 a verifica di questo lavoro inventariale, ha negato che questo
dipinto fosse pensato come siparietto per questa messinscena de La battaglia di Legnano.






SCENE & COSTUMES from the book I Disegni del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino Inventario – III (1953 – 1963) Moreno Bucci [2014]


4285. Inv. 389
Atto I, quadro primo
Matita, penna a inchiostro di china, tempera acquerellata e aerografo su cartoncino. 
cm 45,8 x 69,5.
In basso al centro l'annotazione autografa: "Verdi".
Mostre e bibliografia: La battaglia di Legnano 1959; XXII Maggio Musicale Fiorentino 1959, p. 5.

4286. Inv. 387
Atto I, quadro secondo (r.); Atto I, quadro secondo: studio per la realizzazione scenica (v.)
Penna a inchiostro di china, tempera e aerografo su cartoncino (r.); matita su cartoncino (v.).
cm 49,5 x 69,3.
Sul verso, a sinistra verso il centro, schizzo a matita per la realizzazione scenica del medesimo Atto.
Mostre e bibliografia: La battaglia di Legnano 1959.

4287. Inv. 421
Atto II (quattro studi) (r. e v.)
Matita, matita colorata e tempera su cartoncino (r.); matita su cartoncino (v.).
cm 48,5 x 68,3.
Firmato e datato in basso al centro: "Attilio Colonnello 1959". Sul verso, in basso al centro, tre schizzi a matita: uno per la realizzazione della scena e gli altri due per i capitelli e le volte delle architetture del medesimo Atto.
Mostre e bibliografia: La battaglia di Legnano 1959; XXII Maggio Musicale Fiorentino 1959, p. 2.
 
4288. Inv. 415
Atto III, quadro primo
Matita e tempera acquerellata su cartoncino.
cm 37 x 49,5.

4289. Inv. 417
Atto III, quadro secondo e particolari scenici (sei studi)
Matita, sanguigna, penna a inchiostro di china e china acquerellata su cartoncino.
cm 35 x 49,5.
A destra verso il centro l'annotazione autografa: "ATTO 3° - SCENA II".

4290. Inv. 416
Atto IV
Matita e tempera acquerellata su cartoncino.
cm 42,5 x 50,4.
In basso al centro piccola lacerazione del supporto cartaceo.

4291. Inv. 418
Atto IV: particolare scenico
Matita e tempera acquerellata su cartoncino.
cm 32,5 x 54,5.

4292. Inv. 1602
Costume Lida (r. e v.)
Matita, penna a inchiostro di china e tempera acquerellata su cartoncino grigio (r.); matita su cartoncino grigio (v.).
cm 48 × 32,8.
Da destra verso il centro la numerazione e le annotazioni autografe: "200 faille raso". Sul verso, al centro, schizzo a matita per il medesimo personaggio.
 
4293. Inv. 1618
Costume Lida (due studi)
Matita su carta.
cm 32,5 × 23,5.
Da sinistra in alto le annotazioni e la numerazione autografe: "Mantello organza DALMAzo [Dalmazzo] 160/95 Lida - atto I - mantello con cappuccio veloso - abito accollato - [...] nuovo velo - ricami oro perle". Da destra in basso le annotazioni d'epoca: "Sopra il vestito - verde di raso con rapporti - velluto - Lida - atto I°". In alto a destra campioni di stoffa.
 
4294. Inv. 1607
Costume Lida
Matita su carta.
cm 32 x 23,5.
Da destra in alto le annotazioni autografe: "Lida - finizioni nero e oro - Lida atto I - + mantello marrone raso verde". Da destra verso il centro le annotazioni d'epoca: "Velluto nero con pizzo piccolo oro - Lida - atto I°". In alto a sinistra campioni di stoffa.
 
4295. Inv. 1612
Costume Lida (due studi)
Matita e penna biro su carta.
cm 32 x 23,5.
Da sinistra in alto le annotazioni e la numerazione autografe: "ATTO III - Lida - raso - rosso - oro velluto blu - velluto nero ricamo oro e perle - raso + scuro del velluto con perle e un po' oro - velluto blu - chiffon 609 FISAK". Da destra in alto le annotazioni d'epoca: "Bordo vell[uto] nero con perle - vell[uto] cotone nero a fianchetta - oro La senza sotto - velluto nero con perle - tutta la parte superiore - raso blu più scuro del vell [uto] - Sig.na Leyla Genger [Gencer] - Lida - atto III°". In alto a sinistra campioni di stoffa.
 
4296. Inv. 1611
Costume Lida (r. e v.)
Matita su carta (r. e v.).
cm 32,5 × 23,5.
Da sinistra in alto le annotazioni autografe: "LIDA - ATTO IV - Bianchina - velluto - velluto - moiré - burlottini - vita + bassa ancora - moiré". Da sinistra in alto le annotazioni d'epoca: "Vell[uto] nero - vell[uto] nero - bianco - velluto nero". Sul verso, al centro, schizzo a matita per il medesimo personaggio.
 
4297. Inv. 1604
Costume Arrigo e particolari decorativi del costume (tre studi)
Matita e penna biro su carta.
cm 31,9 x 23,5.
Da sinistra in alto le annotazioni e le numerazioni autografe: "Borchia campione - Limarilli ARRIGO - I atto - cuoio - cuoio - velluto nero - peło - pelo - pilor - velluto marrone - cuoio - chiodi - 3 cuciture - 3 cuciture - 3 cuciture - 3 cuciture - cuoio - velluto marrone - a cannoni - camoscio - calzari Sacchi - Gambali cuoio". Da destra in basso le annotazioni d'epoca: "Fianchi velluto nero
Arrigo atto I" In alto a sinistra campione di stoffa.
 
4298. Inv. 1606
Costume Arrigo e particolare decorativo del costume
Matita e penna biro su carta.
cm 32 x 23,5.
Da destra in alto le annotazioni autografe: "ARRIGO - ATTO II - collo del vestito - velluto grigio topo - leone rosso - interno panno lanetta bianca avorio - al ginocchio". In basso a destra l'annotazione d'epoca: "Arrigo - atto II°". A sinistra verso il centro campioni di stoffa.
 
4299. Inv. 1600
Costume Arrigo e particolare della testa (r.); Dama e Arrigo: particolare delle calzature (tre studi) (v.)
Matita, penna a inchiostro di china e tempera acquerellata su cartoncino grigio (r.); matita su cartoncino grigio (v.).
cm 48 x 32,7.
Sul verso, al centro, tre schizzi a matita per il figurino di una Dama e per il particolare delle calzature di Arrigo.
 
4300. Inv. 1605
Costume Arrigo: particolare decorativo del costume
Matita su carta.
cm 32 x 23,5.
 
4301. Inv. 7139
Costume Arrigo e particolare della calzatura (r.); Lida: particolare decorativo del corpetto e della gonna (due studi) (v.)
Matita e penna biro su carta (r.); matita su carta (v.).
cm 32,5 x 23,5.
Da destra in alto le annotazioni autografe: "ARRIGO - ATTO III° - SCENA Ia - MANTELLO COME I BRESCIANI con tessuto nero interno rosso - atto III° SCENA II - ATTO IV° - maglia - maglia - bianchine - velluto nero NERO - chiodi - borchie - velluto nero - fianchi velluto nero - velluto nero e borchie - grigio - PANTALONI MAGLIA FERRO - risvolto maglia ferro - nero". In basso a destra l'annotazione d'epoca: "Arrigo atto III°". In alto a sinistra campione di stoffa. Sul verso, al centro, due schizzi a matita per il particola re decorativo del corpetto e della gonna di Lida (cfr. inventario figurini N. 1612). Ex inventario figurini N. 1619/bis.
 
4302. Inv. 1615
Costume Rolando
Matita, matita colorata e penna biro su carta.
cm 32,5 x 23,5.
Dal centro in alto le annotazioni autografe: "Velluto rosso cupo - rosso velluto - donne - laminato - [[donne]] - nero - [[donne]] - borchie -costolone rilevato in tinta laminata - costolone rilevato ma in nero – laminato - nero – interno manicone velluto giallino chiaro tipo raso donne - Rolando - Taddei - lana - giallo - nero faille- velluto rosso laminato - laminato - stivali alti e scuri". In basso a destra l'annotazione d'epoca: "Rolando".
 
4303. Inv. 1610
Costume Federico Barbarossa
Matita, matita colorata e penna biro su carta.
cm 32,5 x 23,5.
Da sinistra verso il centro le annotazioni autografe: "SCARPE SACCHI - MOLTO ALTE NUOVE calza a maglia marrone grigio topo - nero". Da destra in alto le annotazioni d'epoca: "Barbarossa - mantello - tunica chiara - Wasing tong [Washington]". In alto a sinistra campione di stoffa.
 
4304. Inv. 1614
Costume Marcovaldo e particolari del costume (quattro studi)
Matita e penna biro su carta.
cm 32,5 x 23,5.
Da destra in alto le annotazioni e la misura autografe: "MARCOVALDO - ROLANDO - borchie 4° misura - collo e cintura nere nero- fianchi e retro nero velluto pilor - manica pilor nero - grigio pilor velluto - maniche velluto nero fodera laminato argento rovescio - con fascia nera per III atto scena I - maglia nera - velluto nero - borchie". Da destra in alto le annotazioni d'epoca: "Borchie - Marcovaldo - atto III°- Rolando".
 
4305. Inv. 1603
Costume Il Podestà di Como e particolari del copricapo e dello scudo
Matita su carta.
cm 32,5 x 23,4.
Da destra in alto le annotazioni autografe: "Nero velluto - PODESTÀ DI COMO – FROSINI - nero interno rosso - nero in campo rosso - rosso in campo bianco". Da sinistra verso il centro le annotazioni d'epoca: "Da rovescio - a pazienza - davanti a mantello dietro - riferirsi al rosso e crema dei magistrati - Podestà". A sinistra verso il centro campione di stoffa.

4306. Inv. 1613
Costume Imelda
Matita su carta.
cm 32 x 23,5.
Da destra in alto le annotazioni autografe: “IMELDA - CAROSSI - organza marrone - velluto rosso ruggine - organza marrone – nero - laminato metallico - laminato ferro - velluto rosso - nero- nera con oro - cristallo - mordorì [mordoré] al rovescio". Da sinistra in alto le annotazioni e la numerazione d'epoca: "Cristallo - perle grosse - 1 solo - Imelda - Sig.na Olga Carossi". In alto a sinistra campioni di stoffa..
 
4307. Inv. 1608
Costume Magistrati e particolari della testa e del mantello
Matita su carta.
cm 32 x 23,5.
Dal centro in alto le annotazioni e la numerazione autografe: "NERO - fez crema - 28 magistrati - rosso - fodere bianche". In basso a sinistra la numerazione e l'annotazione d'epoca: "28 magistrati". A sinistra verso il centro campioni di stoffa.
 
4308. Inv. 1609
Costume Vescovi e particolare della mitra
Matita su carta.
cm 32,5 × 23,5.
Dal centro in alto le annotazioni e la numerazione autografe: "Bianco - metallica lamé - rosso - 6 vescovi - bianco e fodere rosse - guanti con gemme- tiara - pietre - rosso - lilla - oro - bianco". Da destra in alto le annotazioni e la numerazione d'epoca: "Bianchi - [...] - mitria moiré bianco - molte pietre - bianca - 6 vescovi".
 
4309. Inv. 1601
Costume Popolo Milanese (due studi) (r.); Danzatore (due studi) (v.)
Matita, penna a inchiostro di china e tempera acquerellata su cartoncino grigio (r.); matita e penna a inchiostro di china su cartoncino grigio (v.).
cm 48 x 33.
Firmato e datato in basso a sinistra: "Attilio Colonnello 1959". Da sinistra in alto le annotazioni autografe: "Atto I- coro uomini - varietà colori e motivi decorativi - "battaglia di Legnano' Verdi - coro". Sul verso, al centro, due schizzi a matita e penna a inchiostro di china per il figurino di un Danzatore sicuramente non appartenente a questa tragedia lirica. Sul verso, da
destra in alto, le annotazioni autografe: "Bottoni metallo oro lucidi tipo militare ma piccoli anche dietro - camicia a poids [pois] - colletto: sempre bianco - jabot: sempre bianco - cravatta: sempre nera - raso opaco nero o faille nero".

4310. Inv. 1617
Costume Guerrieri di Brescia e particolare del colletto (r.); Guerrieri di Brescia: particolare del mantello (due studi) (v.)
Matita su carta (r. e v.).
cm 32 x 23,5.
Da sinistra in alto le numerazioni e le annotazioni autografe: "13 bresciani - vercellini - bassi + 3 comp[arse] - di dietro - sacco - NORMALE - velluto nero - teletta - fianchi pilor nero - sacco naturale molle - con mantello e teschio - vedi retro 13 coristi - + 3 comparse". Da sinistra in alto le numerazioni e le annotazioni d'epoca: "Pelo capra - teletta - burlotto nero - laminato da rovescio - velluto nero con passati oro - sacco morbido - NATURALE - Bresciani". Sul verso, al centro, due schizzi a matita per il particola- re del mantello dei medesimi personaggi. Sul verso, in basso a destra, l'annotazione d'epoca: "Nero con fodera verde". Sul verso, a destra verso il centro, campioni di stoffa.
 
4311. Inv. 1619
Costume Militi di Vercelli e particolari del costume (quattro studi)
Matita su carta.
cm 32,5 x 23,5.
Da sinistra in alto le annotazioni e le numerazioni autografe: "Pelle - cuoio - juta [sic] testa di negro 10 bresciani vercellini 3 - vercellini - Guerrieri- tutto nero sacco the scuro "testa di negro" - borchie grandi - pilor nera - manica stoffa - nera - velluto nero - pieghe pilor nero - cuciture evidenti - vestiti già fatti". Da destra in alto le annotazioni e le numerazioni d'epoca: "BASSI - TENORI - SECONDI - più mantello - IUTA TESTA DI NEGRO - 10 Vercellini - + 3 Comparse".

4312. Inv. 1616
Costume Militi di Vercelli e particolare del colletto
Matita e penna biro su carta.
cm 32 x 23,5.
Da destra in alto le numerazioni e le annotazioni autografe: "13 Bresciani - sacco - bassi 10 vercellini - 3 cuciture - vell[uto] nero - nero
burlotto - gonnella sacco". Da destra in alto le annotazioni e la numerazione d'epoca: "Naturale - teletta velluto nero - teletta - vell[uto nero- naturale morbido - Borchie brunite".








With Maestro Gui and Stage Director Franco Enriquez























SIGHTSEEING IN FIRENZE
1959 MAY

CORRIERE DELLA SERA                                                
1959.03.17                                                                                         

OPERA MAGAZINE                                        
1959 May

LA STAMPA                                               
1959.05.12

CUMHURİYET DAILY NEWSPAPER                                             
1959.05.28

THE TIMES                                               
1959.05.20

UNKNOWN NEWSPAPER                                            
1959.05.30

KIM MAGAZINE                                              
1959.06.05

MUSICAL AMERICA                              
1959 July

OPERA MAGAZINE                                    
1959 August

MUSICAL COURIER                                           
1959 September

OPERA NEWS                                            
1959.10.03

KOBBE'S COMPLETE OPERA BOOK                                    
1976
                                                         
COMPLETE RECORDING                        
1959.05.10

Parte I / Act I: Egli vive / He is alive
Parte Il / Act II: Barbarossa / Barbarossa
Parte III / Act III: L'infamia / Infamy
Parte IV / Act IV: Morire per la Patria / To die for the Fatherland

Recording Excerpts [1957.11.16]                      

Overture Act I

Viva Italia! un sacro patto Act I Scene I

O magnanima e prima Act I Scene I
La pia materna mano Act I Scene I
Ecco Rolando!... Act I Scene II
Ah! m'abbraccia... d'esultanza Act I Scene II
Giulive trombe! Act I Scene II
Plaude all'arrivo Milan dei forti Act I Scene IV
Voi lo diceste, amiche Act I Scene IV
Quante volte come un dono Act I Scene IV
Che, Signor! Tu qui? Tu stesso? Act I Scene V
A frenarti, o cor, nel petto Act I Scene VI
Sposa... Act I Scene VII
È ver?... Sei d'altri?... Ed essere Act I Scene VIII
T'amai, t'amai qual angelo Act I Scene VIII
Udiste? La grande, la forte Milano Act II Scene I
Novella oste di barbari minaccia Act II Scene III
Ben vi scorgo nel sembiante Act II Scene III
Favellaste acerbi detti! Act II Scene III
A che smarriti e pallidi Act II Scene IV
Le mie possenti armate Act II Scene IV
Fra queste dense tenebre Act III Scene I
Campioni della morte, un altro labbro Act III Scene II
Giuriam d'Italia por fine ai danni Act III Scene II

Lida, Lida?... Ove corri? Act III Scene III

Ma Dio mi volle ad ogni costo rea! Act III Scene III

Questo foglio stornar potria cotanta Act III Scene III

T'arresta. Act III Scene IV

Digli ch'è sangue italico Act III Scene IV

Sperda ogni tristo augurio Act III Scene IV

Rolando Tu m'appellasti... Act III Scene V

Se al nuovo dì pugnando Act III Scene V

A me lo giura. Act III Scene V

Ahi! scellerate alme d'inferno, Act III Scene VI

Regna la notte ancor, né s'ode intorno Act III Scene VII

Arrigo? Act III Scene VIII

Ah! d'un consorte, o perfidi Act III Scene X

Vendetta d'un momento Act III Scene X

Le trombe i prodi appellano... Act III Scene X

Deus meus Act IV Scene I

Vittoria!, vittoria risponda Act IV Scene II

Qui... qui presso il trofeo di quell'eroe Act IV Scene III

Ti parli a pro del misero Act IV Scene III

FROM CD BOOKLET

LA BATTAGLIA DI LEGNANO
AMOR DI PATRIA E PRIVATE PASSIONI
ALESSANDRO MORMILLE

Il 10 maggio 1959 fu una delle tante date da ricordare nella storia del Maggio Musicale Fiorentino. Nel dopoguerra La battaglia di Legnano di Verdi ritornava finalmente sulle scene italiane con il significativo precedente dell’esecuzione in forma di concerto che nel 1951, alla Rai di Roma, celebrò il cinquantenario della morte di Verdi, cui seguì, due anni più tardi l’allestimento fiorentino, l’altrettanto mitica edizione scaligera che festeggiò il centenario dell’Unità d’Italia, con una compagnia di canto da capogiro che comprendeva i nomi di Franco Corelli, Antonietta Stella, Ettore Bastianini e sul podio Gianandrea Gavazzeni.
La produzione che inaugurò il Maggio Musicale non ebbe meno importanza se si pensa che in sala, al Teatro della Pergola (il Comunale era chiuso per radicali lavori di ristrutturazione), ci fu l’allora Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, presente a suggello istituzionale di uno dei tanti eventi culturali di riscoperta di cui il Maggio si fece promotore nei suoi anni d’oro. Franco Enriquez firmò la regia, mentre il giovane Attilio Colonnello, scene e costumi; questi ultimi di sfarzoso effetto, per uno spettacolo che si ricorda di grande impatto visivo, seppure le cronache del tempo riportano che mancò l’entusiasmo di altre inaugurazioni, così come la presenza di inviati a Firenze fu inferiore alle attese.
Il merito della riuscita di un titolo all’epoca così desueto si deve all’instancabile ed esperta attività di promozione culturale oltre che esecutiva svolta da Vittorio Gui a Firenze, dapprima come fondatore e direttore artistico dal Maggio Musicale e poi, a partire dagli anni Cinquanta, come appassionato scopritore di titoli del repertorio rossiniano e verdiano dimenticati che grazie a lui tornarono sulle scene in esecuzioni pioniere di future e più radicate presenze sui palcoscenici italiani ed esteri.
La sua direzione d’orchestra, nello specifico di questa Battaglia di Legnano, accende la miccia di una verdianità impegnata nel rendere giustizia a quelle che sono le due anime distinte, anche se fra di loro ben intrecciate, di un’opera cronologicamente situata nel periodo che volge al termine dei cosiddetti “anni di galera” e che pone Verdi dinanzi a quella che Andrea Della Corte definì la “grande conquista verdiana dell’espressione intensa, la quale segnerà la fine dell’arido recitativo e la nuova drammaticità e plasticità delle cantilene”. Gui comprende come il segreto per valorizzare al meglio una partitura come La battaglia di Legnano sia cercare un equilibrio sonoro adatto a cogliere l’espressione corale dei giuramenti e delle cerimonie civiche, religiose e militari celebrate dalla Lega Lombarda in reazione all’invasione germanica di Federico Barbarossa come risvolto dell’orgoglio nazionale, ma anche come ideale collante per superare il dramma privato dei personaggi, evidente nella vicenda passionale di adulterio quasi borghese propria a molto melodramma del primo Verdi. Ed è interessante notare come il rumoroso sfondo patriottico, a cui la direzione di Gui infonde bagliori verdiani mai esteriormente esibiti, bensì attraversati da una sinistra tinta che attenua la veemente vibrazione di dinamiche e ritmiche (questo avviene anche nell’impeto gagliardo donato alla Sinfonia, con la marziale fanfara della Lega Lombarda ricorrente in diversi punti dell’opera), lasci giusto spazio al nobile recitativo che s’innerva nella parola declamata, arricchendola di un drammatico sentire che va ben oltre le intenzioni risorgimentali di un’opera dove le vicende intime trovano soluzioni collettive nell’amor di patria, attingendo ad esso per purificare errori e miserie del vivere, così da mettere in azione la singolare bidimensionalità drammaturgica della Battaglia di Legnano.
La conferma di come la concertazione di Gui risolvesse mirabilmente le ragioni drammatico-espressive di un’opera a quell’epoca quasi ignota, ma già pronta ad essere riscoperta ed apprezzata per i suoi valori più autentici, venne avvalorata dalla compagnia di cantanti scelta per l’occasione. Vittorio Gui volle per la parte di Lida un soprano già affermato come Leyla Gencer, la cui versatilità nelle scelte del repertorio, unita alla predisposizione ad incarnare la figura del cosiddetto soprano drammatico di agilità, l’aiutò a risolvere tutte le difficoltà di una parte che poi riprese con analogo successo su altri palcoscenici italiani: nello stesso anno alla Fenice di Venezia e poi al Teatro Verdi di Trieste, nel 1963. Qui al massimo delle sue possibilità, la Gencer offre un saggio di come la sua voce possa attingere alle risorse della tecnica per delineare una Lida pateticamente assorta in un lirismo di forte suggestione espressiva. Nell’aria di sortita, “Quante volte come un dono”, dove il pianto per la perdita dei propri cari uccisi in guerra si traduce in una pagina in cui la melodia traccia con commosso abbandono il dolore del suo animo, la Gencer sfoggia un canto patetico giocato sulla dinamica ricercatissima di piani e pianissimi che nel registro acuto, attraverso note flautate di astrale precisione, caricano il momento di un incanto dove la finezza non è pura esibizione di virtuosismo, ma distillato sonoro di mestizia ripiegata ed insieme fiera. È facile cogliere questa sensazione anche nella successiva cabaletta, “A frenarti, o cor, nel petto”, quando la speranza rinasce nel suo cuore alla notizia che l’amato Arrigo è in vita, non morto sul campo di battaglia come si credeva. Anche nei passi percorsi da fremiti di sincera drammaticità, come il duetto con Arrigo che chiude il primo atto, o nel terzetto del terzo, la propensione al patetismo non è mai fine a se stessa perché si colora all’occorrenza di ampiezza e slancio, come avviene nei momenti di virtuosismo più arditi. In particolare, per ammirare la personalità del suo canto, basta sentire come vengono affrontate certe frasi del duetto con Imelda del terzo atto, quello in cui, attraverso un libero declamato, prega la fida ancella di consegnare uno scritto ad Arrigo per sollecitare il loro incontro in nome dell’antico amore. In mezzo al convulso turbamento in cui versa Lida, assalita da cupi presentimenti, vi sono frasi, come “Questo foglio stornar potria cotanta sciagura” e “Che non ti scerna occhio mortal d’Arrigo varcar la soglia!”, che la Gencer intona sì con puro lirismo, non dimenticando però di alternare alla febbrile speranza del ritorno dell’amato quel necessario supporto d’incisiva e agitata concitazione drammatica che è caratteristica imprescindibile di questo personaggio, come di molte altre parti da soprano del primo Verdi.
Un altro punto fermo di questa edizione fu certo Giuseppe Taddei, alle prese con un ruolo, quello di Rolando, amico sincero di Arrigo e marito tradito dalla moglie Lida, che segue nel canto l’evoluzione dei sentimenti del personaggio. Vi è l’ira dell’uomo che scopre l’infedeltà della consorte per mano dell’amico ritrovato e scatena il suo furore nella cabaletta del terzo atto, “Ahi! scellerate alme d’inferno”. Nella scena successiva declama concitatamente su note ripetute i suoi propositi di vendetta in “Ah! d’un consorte, o perfidi, scempio faceste orrendo!…”, poi sfida con ira funesta Arrigo e, nel terzetto che segue, medita con accenti più subdoli di chiudere il rivale nella torre (“No. Vendetta d’un momento sarebbe il trucidarti…”), macchiando il colpevole dell’infamia della quale lo stesso atto porta il titolo.
Ma non è in questi passaggi dove si ammira il meglio del fondamentale apporto che Taddei offriva, negli anni successivi al secondo conflitto mondiale, ad una vocalità verdiana che sembrava aver dimenticato la lezione ottocentesca e guardava a modelli vocali contaminati dalla scuola verista, con tutte le conseguenze del caso in termini di perdita di flessibilità e a favore di un cantar tutto spiegato. Taddei, all’opposto, scelse la strada più impegnativa, quella di preservare una tradizione belcantistica che voleva un canto a fior di labbro, plasmato su fraseggi pastosi e sulla nobiltà di una linea impostata sul legato e sulla malinconia degli accenti. Tutto questo venne utilizzato per caratterizzare un Rolando giocato non tanto sui furori del marito tradito e ferito nell’onore ma, come deve essere, sull’eleganza di un canto che ha momenti di rara suggestione nel dar voce all’alto significato morale degli affetti familiari. Culmine di quanto detto si ha al centro del terzo atto, quando Rolando, in procinto di partire per la guerra, consegna alle cure educative della moglie Lida il loro figlioletto nel caso abbia da morire sul campo di battaglia. L’inflessione affettuosa con cui intona “O figlio!…”, l’abbandono fiducioso nel rivolgersi alla moglie dicendo “Tu resti insegnatrice di virtude a lui” e il fiero patetismo utilizzato in “Digli ch’è sangue italico”, incitando così la madre ad insegnargli il rispetto di Dio e dell’amor di patria, fanno parte del generale tono sentimentalistico che diviene in bocca a Taddei un capolavoro di canto sul fiato morbido come la carezza di un guanto di seta, riflesso del valore protettivo ed insieme formativo attribuito alle virtù apprese in ambito domestico. Qualità confermate nella successiva aria “Se al nuovo dì pugnando”, accompagnata in orchestra da Gui con aristocratico contegno, quando Rolando affida sposa e figlio all’amico Arrigo prima di unirsi ai combattenti della Lega dei Comuni lombardi, ancora ignaro del tradimento che di lì a poco scoprirà; lo fa attraverso una linea nobile e soffice, che nella progressiva salita all’acuto della frase “esser tu dèi per loro l’angelo tutelar!” vede Taddei abile nell’addolcire i suoni con delicatezza intima, accorata e commossa, sempre attenta al senso della parola, come era consuetudine fare da parte di un cantante che conosceva ogni segreto della parola scenica verdiana, già applicata ad un’opera giovanile come questa.
A differenza di Taddei, Gastone Limarilli, alle prese con la parte di Arrigo, che Verdi pensò per il prediletto Gaetano Fraschini, interprete ma anche creatore di diversi ruoli delle sue opere, fra cui Riccardo in Un ballo in maschera, presta quello che è il suo argento tenorile lucente, timbrato e svettante ad un ruolo che, ad apertura d’opera, richiede espressioni tenere e delicate per l’aria “La pia materna mano”. Qui Limarilli sfoggia la spontanea generosità di una voce che alle finezze antepone lo squillo sempre sincero di un canto sfogato, non stentoreo ma d’incisiva nettezza, che nella scena finale della morte di Arrigo trova accenti giusti nella frase simbolo dell’opera, “Chi muore per la patria alma sì rea non ha!”, alla quale dona slancio e vigore, non dimenticando di abbozzare una mezzavoce che trova giusto rilievo in “Siccome è puro un Angelo il cor di Lida è puro…”, con cui rinfranca l’amico Rolando della purezza della sua consorte prima di riscattare se stesso e le sue colpe nel nome dell’amor di patria. Un cantare che nelle ardite impennate acute trova la dimensione migliore del suo carattere vocale.
All’involo corale e patriottico dell’opera contribuiscono gli interventi degli altri interpreti dell’opera, schierati contro il nemico, l’Imperatore tedesco Federico Barbarossa, qui un austero Paolo Washington. Al termine dell’ascolto si ha la conferma di come la funzione del Maggio Musicale Fiorentino sia stata fondamentale nell’aver contribuito a scrivere capitoli storici nel percorso della riscoperta e della prassi esecutiva verdiana, come hanno dimostrato molti altri spettacoli seguiti a questo, che fu fra i primi ma già significativi esempi del cammino di rinascita del Verdi moderno, non ancora filologico eppure già pronto alla rivalutazione di opere fino a quel momento dimenticate o considerate minori. 

FROM CD BOOKLET
LA BATTAGLIA DI LEGNANO
LOVE OF COUNTRY AND PRIVATE PASSIONS
ALESSANDRO MORMILLE [Translation by James Douglas]

The 10th of May 1959 was one of the many dates to remember in the history of the Maggio Musicale Fiorentino. Verdi's La battaglia di Legnano finally returned to the post-war stage with a significant precedent in the concert performance of 1951, at the RAI in Rome, commemorating the fiftieth anniversary of Verdi's death, and followed two years after the Florence production by an equally prestigious La Scala production celebrating the centenary of the Unification of Italy, with a stellar cast including Franco Corelli, Antonietta Stella, and Ettore Bastianini, with Gianandrea Gavazzeni at the podium.
The production which inaugurated the Maggio Musicale was of no less significance considering that present in the Teatro della Pergola (the Comunale was closed for extensive renovation) was the then President of the Republic Giovanni Gronchi, giving the institutional seal of approval to one of the many cultural events that put the Maggio in its heyday at the forefront of the revival. Franco Enriquez was the director, while the young Attilio Colonello was responsible for the set and costume design; the latter to sumptuous effect, providing a spectacle memorable for its visual impact, even though contemporary records indicate that the enthusiasm of other inaugurations was lacking, and the invited guests present were fewer than expected.
Credit for the success of a work which at the time had fallen out of favour is due to the indefatigable and expert endeavours in promoting culture as well as bringing it to fruition undertaken by Vittorio Gui in Florence, firstly as founder and artistic director of the Maggio Musicale and then, from the 1950s onwards, as an impassioned discoverer of forgotten works from the repertoire of Rossini and Verdi, which thanks to him would return to the scene in pioneering future productions with a more consistent presence on stages in Italy and abroad. His conducting, specifically of this Battaglia di Legnano, initiated an approach to Verdi committed to doing justice to what are the two distinct, though thoroughly intertwined, essential features of an opera chronologically placed within the period that brings to an end Verdi's so-called "prison years" but also puts him at the beginning of what Andrea Della Corte defined as "Verdi's great achievement in intense expressionism,
which will mark the end of arid recitative and the emergence of a new drama and plasticity in cantilenas." Gui understands that the key to best appreciating a score like La battaglia di Legnano is in seeking a balance of sound poised to capture the choral expression of the taking of oaths and the civic, religious and military ceremonies celebrated by the Lombard League in reaction to the Germanic invasion of Federico Barbarossa as a consequence of an outpouring of national pride, but also as an ideal way of connecting with the private dramas of the characters, evident in the almost bourgeois adulterous affair familiar from the many melodramas of early Verdi. And it is interesting to note how the noisy patriotic background with which Gui infuses typical Verdian flashes that are never revealed externally, but rather through a sinister shading that attenuates the vehement vibration of dynamics and rhythms (this also happens in the powerful impetus given to the Sinfonia, with the martial fanfare of the Lombard League recurring in different parts of the opera) leaves the right amount of space for the noble recitativo energised by the words declaimed and enriching them with a dramatic tone that goes well beyond the intentions inspired by the Risorgimento of an opera in which intimate matters find collective solutions in patriotic love, drawing on that emotion to mollify the errors and misery of life, thus propelling La Battaglia di Legnano's singular two-dimensional dramaturgy.
Confirmation of how Gui's strategy miraculously resolves the dramatic-expressive issues of a work at the time almost ignored, but ready to be rediscovered and appreciated for its many authentic values, is corroborated by the company of singers chosen for the occasion. Vittorio Gui wanted for the part of Lida an already established soprano, Leyla Gencer, whose versatility in choice of repertoire combined with her willingness to take on the role of the so-called virtuoso dramatic soprano, helped her to resolve all the difficulties of a role that she later reprised with equal success in other Italian theatres: in the same year at the Fenice in Venice and then at the Teatro Verdi in Trieste in 1963. Here at the height of her powers, Gencer offers a study in how her voice can draw on technical resources to shape a Lida pathetically immersed in powerfully expressive and evocative lyricism. In her parting aria "Quante volte come un dono", in which her mourning for the loss of her loved ones killed in war becomes a melody that traces with moving unselfconsciousness her heartfelt grief, Gencer displays singing of much poignancy playing on the highly refined dynamic between piano and pianissimo which in the acute register, with flute-like notes of perfect precision, charge the moment with a spell in which the finesse is not pure virtuosic exhibitionism, but a sonic distillation of a melancholy at once reserved and proud. It is easy to get the same sensation in the cabaletta that follows, "A frenarti, o cor, nel petto", when hope returns to her heart with the news that her beloved Arrigo is alive and not killed on the battlefield as she had believed. Also, in the passages infused with the trembling of authentic drama, as in the duet with Arrigo that closes Act I, or in the trio in Act III, the propensity for sentiment is never an end in itself because it is embellished by the necessity for breadth and passion, as happens in the moments of more daring virtuosity. In particular, to admire the character of her singing, just listen to how certain phrases of the duet with Imelda in Act III are handled: where, by means of free declamation she begs the trusty maidservant to deliver a note to Arrigo to plead for a meeting to rekindle their old love. In the midst of the convulsive turmoil that Lida, assailed by dark presentiments, finds herself, there are phrases such as "Questo foglio stornar potria cotanta sciagura" and "Che non ti scerna occhio mortal d'Arrigo varcar la soglia!", which Gencer delivers with pure lyricism, never forgetting to alternate with the fervent hope for the return of her beloved, the necessary support of incisive and agitated dramatic excitement which is an inescapable characteristic of this character, as with many other soprano parts in early Verdi.
Another undoubted highlight of this production was Giuseppe Taddei in the role of Rolando, closest friend of Arrigo and betrayed husband of Lida, in who’s singing the development of the character's feelings are brought out. There is the anger of a man who is told of his wife's infidelity by his rediscovered best friend and unleashes his fury in the Act III cabaletta, "Ahi! scellerate alme d'inferno". In the next scene he declaims excitedly on repeated notes his intentions for revenge in "Ah! d'un consorte, o perfidi, scempio faceste orrendo!...", then challenges Arrigo with menacing rage and, in the trio that follows, considers in more devious tones locking up his rival in the tower ("No. Vendetta d'un momento sarebbe il trucidarti..."), staining the culprit with the infamy that the Act bears as its title. But it is not in these passages that one can admire the fundamental contribution that Taddei brought, in the years after the Second World War, to a Verdi voice that seemed to have forgotten the lessons of the nineteenth century and was no longer looking to vocal models contaminated by the school of verismo, with all the consequences in terms of loss of flexibility in favour of over elucidated singing. Taddei, on the contrary, chose a more demanding approach, that of preserving a bel canto tradition which required singing in a whisper, shaped by mellow phrasing and on the nobility of a legato and melancholic vocal line. All of this was used to characterise a Rolando acting not so much on the violence of the betrayed husband and his wounded honour but, as it must be, on the elegance of singing which has moments of rare evocativeness in giving voice to the high moral significance of family affections. The culmination of all this is reached in the middle of Act III, when Rolando, on the verge of departing for war, entrusts to his wife's care the upbringing of their son in the event that he dies on the battlefield. The affectionate inflection of his "O figlio!...", the trusting relinquishment in saying to his wife "Tu resti insegnatrice di virtude a lui" and the proud sentiment employed in "Digli ch'è sangue italico", thus urging his mother to teach him respect for God and love of country, form part of the general sentimental tone that in Taddei's mouth becomes a masterpiece of delicate articulation, like the caress of a silk glove, reflecting the protective and formative value attributed to the virtues acquired in domesticity. This is a quality confirmed in the following aria "Se al nuovo di pugnando", accompanied by the orchestra under Gui with aristocratic restraint, when Rolando entrusts wife and son to his friend Arrigo before joining the soldiers of the Lombard League, still unaware of the betrayal that he will soon discover; he does so with a light and noble tone, which in the progressive rise to the high note of the phrase "esser tu dèi per loro l'angelo tutelar!" finds Taddei skilful in sweetening the sounds with intimate delicacy, heartfelt and moving, always attentive to the meaning of the words, as it was customary to do on the part of a singer who knew every secret of Verdi's dramatic language, already applied to an early opera such as this one.
Unlike Taddei, Gastone Limarilli, in the role of Arrigo, which Verdi conceived for his favourite Gaetano Fraschini, performer but also creator of several roles in his operas, among which Riccardo in Un ballo in maschera, lends his glossy tenor voice, with its exceptional silvery timbre to a role which, at the start of the opera, requires tender and delicate expression for the aria "La pia materna mano". Here Limarilli displays the spontaneous generosity of a voice that to finesse prefers the ever-sincere ring of an outpouring of song, not stentorian but of incisive clarity, which in the final scene with the death of Arrigo finds just the right tone in the opera's key phrase "Chi muore per la patria alma sì rea non ha!", which he sings with passion and vigour, not forgetting to give a hint of a mezza voce that is exactly appropriate in "Siccome è puro un Angelo il cor di Lida è puro...", with which he reassures his friend Rolando of the goodness of his wife before redeeming himself and his faults in the name of love of country. It is the kind of singing that in its ardent high surges finds the best side of his vocal talent.
The opera's choral and patriotic slant is enhanced by the other performers, arrayed against the enemy, the German Emperor Federico Barbarossa, here an austere Paolo Washington. After listening, you are assured of how fundamental the Maggio Musicale Fiorentino was in contributing to the writing of historic chapters in the course of the rediscovery and practical execution of the works of Verdi, as the many other performances after this one testify. It was amongst the first but already significant examples paving the way for the rebirth of modern Verdi, still not philological, yet ready for the re-evaluation of operas until that moment forgotten or considered minor works.


FROM LP BOOKLET
LA BATTAGLIA DI LEGNANO
ALBERTO PALOSCIA

La Battaglia di Legnano (1849) belongs to that group of Verdi operas that come  between the original and experimental Macbeth - truly unique among Verdi’s youthful works in its striving for a specific dramatic tint and for the psychological depth of its character portrayals, which foreshadow the remarkable achievement of the Popular Trilogy - and the development of an authentic musical dramaturgy, based on profound insight into character and the persuasive force of the parola scenic, which is first fully achieved in RigolettoLa Battaglia, Verdi’s last opera inspired by historical / patriotic themes, in which he exploits. without much conviction, what remains of the Risorgimento fever, thus represents a period of transition, suspended between the sketchy and fragmentary musico-dramatic conceptions (not without moments of fiery inspiration here and there) of the so-called galley years operas - in other words the operas immediately preceding La battaglia di LegnanoI Masnadieri (London, 1847), Jerusalem (Paris; 1847; a French edition of I Lombardi alla prima crociata) and II Corsaro (Trieste, 1848) - and the artistic evolution revealed in the operas of the Trilogy, already to some extent adumbrated in the musical subtleties and psychological inwardness of a number of episodes in Luisa Miller (Naples 1849) and Stiffelio (Trieste, 1850); two works which came immediately after La battaglia di Legnano, and which share with it a number of innovative features. 
But what led Verdi, after his almost visceral identification with the Romanticism of Schiller (Masnadieri) and Byron (Corsaro), which found expression in passionate and violent contrasts rather than in an increased subtlety and refinement of musical language, to return to the traditional formulas of the patriotic operas? Above all the choice was made in the light of external circumstances: the series of revolutionary political upheavals in 1848, first in Paris then in Milan. Verdi heard of the Five Days revolt while in Paris, and, in a state of exaltation, and in spite of having recently expressed his intention to give up composition in a letter to Piave which has since become famous (ln 1848 only one kind of music should be appreciated by the Italian people: that of the cannon), he threw himself enthusiastically into task of writing La battaglia di Legnano. The opera had in fact been commissioned by the San Carlo Theatre of Naples in a contract signed in 1847, before Verdi went to London for I Masnadieri. During the negotiations it was decided that the librettist should be Salvatore Cammarano, who had written the libretto for Donizetti’s Lucia di Lammemoor, and was an important figure in the Neapolitan operatic world. He had already worked with Verdi on Alzira, and would later provide the libretto for the second masterpiece of the Trilogy, II Trovatore. But nothing specific had been established as to the subject of the opera. It was in fact Cammarano who suggested a patriotic theme to Verdi, who was then following with great enthusiasm the latest revolutionary uprisings in Italy. After considering various alternatives, including the composer’s proposal of basing the libretto on such well-known novels as Guerrazzi’s L’assedio di Firenze and D’Azeglio’s Ettore Fieramosca, they finally chose a French play, Le bataille de Toulouse by Joseph Méry (who, together with Camille du Locle, was to be the future librettist of Don Carlos), which, adapted to the Italian situation, became La battaglia di Legnano. ln the words of Guglielmo Barblan: “lt was a question of putting on stage the historic victory of the Milanese over Barbarossa, an event which was implicitly linked to the ideals and hopes of that radiant Milanese spring of 1848 and to the revolutionary spirit which had possessed the Italian nation - so ill- treated at the congress of Vienna”. In fact, the expert timing of Verdi and Cammarano paid off. Economic problems had caused acquit negotiations with the San Carlo to break down, but the opera promptly received its first triumphal performance on the 27th January 1849 at the Argentina Theatre in Rome, just thirteen days before the proclamation of the Roman Republic by Mazzini, Saffi and Armellini. lf one is to believe contemporary accounts, each performance was greeted with delirious enthusiasm by the audience, and every evening the last act had to be repeated by public acclaim. Nor should one forget the extraordinary episode of the spectator who, carried away with enthusiasm, precipitated himself from his box, imitating Arrigo, who at the end of the third act of the opera, flings himself from the tower where he has been kept prisoner by his rival Rolando, in order to join his squadron and take part in the battle. The patriotic ardour expressed through Verdi's genius had lost none of its old power to inflame and transport his followers. The success of La battaglia di Legnano with the public was by no means merely ephemeral. Indeed, it has been confirmed during the rare revivals of has the opera during the present century. 
However, La Battaglia, unlike Luisa Miller, has never managed to enter the repertory. Nor is has it ever succeeded in entirely convincing critics and Verdi scholars. ls it thus an opera manqué? No. lt would be better described as an opera full of original ideas which only half work, or rather as a ‘two-faced’ opera, in which the individual components (and we shall see immediately what they are) are not moulded into an artistically convincing whole. 
We have already stressed more than once Verdi’s desire, in La battaglia di Legnano, to return to the Risorgimento style of his earliest successes with the Italian public. But we also suggested that he undertook this return to his origins without much conviction, indeed in a somewhat inconsistent manner. Nabucco and I Lombardi alla prima crociata, dominated by the collective drama, the choral epic in which characters and their emotions are swallowed up, seemed by then to belong to quite another era. Verdi’s expressive powers had gained in richness and scope. 
The dominance of human passion in Ernani is example enough, with its larger-than-life characters at war with their own primitive instincts. One could equally cite the subtle analysis of the hidden fears of Macbeth and his wife in Verdi's first Shakespearian opera. The characters, in other words, became the protagonists, the dynamic centre of Verdi’s dramas. La battaglia di Legnano necessarily represented a step backwards on this path towards a greater refinement of style and method, and the result was inevitably something of a hybrid, above all because Cammarano’s plot is based on the contrast between the choral, epic elements and the intimate human drama, almost domestic in tone, of the three protagonists: Lida, Arrigo and Rolando. For the first time in a Verdi opera intimate human relationship are fully explored, and in this sense, it looks forward to the inner conflicts of the protestant pastor Stiffelio, the unfortunate Luisa Miller and above all to the all-consuming emotions of Rigoletto, Azucena and Violetta, who are first deviated by the strength of their passions, only to acquire a deeper humanity through suffering at the end. But it is precisely the lack of a true link between the intimate drama and the great historical and choral frescoes, that explains the partial failure of this opera, that makes it artistically so uneven. 
The patriotic element is limited to the great choral scenes - characterized, as Claudio Casini remarked, by a popular homophony, still strongly reminiscent of Nabucco and I Lombardi - to the marches, the dance-rhythms which occasionally punctuate the big ensembles. Verdi, in fact, seems interested only in the private passions, the intimate conflicts of the protagonists, with all the psychological tangles implicit in the tri-angle Lida - Arrigo - Rolando. The drama of the woman divided between the love she still feels for her ex-betrothed, believed dead, and her duties as a wife, tormented by the idea of an adultery that has never taken place. Then there is her jealous and resentful husband who thinks he has been betrayed, and the persecuted hero, who is inevitably sacrificed in the cathartic finale, which has something of the flavour of the domestic tragedy of Un ballo in maschera. It is in his depiction of this private dimension that Verdi is at his most original and inspired; in conveying the shadowy drama of Linda which, the almost excessive violence of her cabalettas apart, seems to adumbrate the intimate sorrow of later Verdian heroines such as Leonora, Violetta, Amelia and Elisabetta di Valois; in the fluency and flexibility of the recitatives, which are perfectly adherent to the meaning of the words and vividly convey the contrasting emotions of the characters, surpassing in this respect the formal conventionalism which emerges in the arias themselves. No less significant is Verdi's cunning exploitation of the scena as a dramatic unit, which in several instances (witness the emotional duet between Lida and Arrigo at the end of the first act, where the contrast between the tenor’s scorn and the imploring, passionate accents of the soprano has been compared by Barblan to the formal contrasts, the unitary coherence and inward incisiveness of a Sonata movement; not to mention the fiery trio that brings the third act to a close at a climax of theatrical tension) breaks up the dramatic movement (something which is underlined by the dry, cutting orchestral accompaniment), indicating not only an evolution away from the closed forms and the old strophic models. but also, the “Verdian tendency to move towards dramatic continuity through the dialectics of dialogue” (Barblan) - that tendency which lies behind the key moments in the Trilogy operas. 
As we have already suggested, there are a number of moments in which Verdi's inspiration betrays a certain staleness, above all in the conventional and excessively sentimental arias of Rolando and the stilted quality of the entire second act, where the unexpected appearance of Barbarossa is not evidenced by Verdi with the incisiveness which we might expect. But, as Claudio Casini justly states in his study of the composer, “[...] the professional armoury of a Verdi who by now knew all the tricks of the trade is at times invaded by sudden bursts of passion and drama which we would search for in vain in Giovanna d'Arco or Alzira or even amid the chilly complexities of Macbeth”. The marvels hidden in this opera include the robustly elegant symphonic structure of the overture, based on a number of themes which turn up during the opera. It is notable for its refined colouristic effects, which demonstrate the progress Verdi had made in the field of orchestration. Above all there is the concise fourth act, full of poetry and beauty, which opens with a dramatic use of counterpoint in the agitated dialogue between Lida and her confidant Imelda over a background of liturgical chants coming from the church and the four-voiced chorus of the crowd of citizens, creating an effect comparable to that of the Miserere in Trovatore. Then there is the catharsis of the final scene, in which, as Barblan points out: “the solemnity of death spreads its veil over men and events with that sense of redemption whose mechanisms Verdi seemed to understand so well; with the simplicity of an ancient myth... With this simple, moving epicedium Verdi gave life to a prophetic moment in which patriotic fervour is enriched with the new elements of a broader human spirituality”. 

The fortunes of La battaglia di Legnano in this century have depended greatly, as is the case with other minor works by Verdi, on that desire to rediscover forgotten works which has been one of the principal features of the Maggio Musicale Fiorentino from the beginning. In fact. after a revival at the Teatro Regio in Parma in 1951, Florence's Teatro Comunale (which owing to restoration work had for some years been temporarily housed in the Teatro della Pergola) presented it as the inaugural opera of the XXII Maggio Musicale in 1959. With a truly splendid cast, guided by a director of the calibre of Franco Enriquez and a thoroughbred Verdian conductor, Vittorio Gui, who had already been involved in other important Verdi revivals in years of particular splendour for the festival (from Nabucco in 1933 to a memorable Macbeth in 1951). This recording gives us the full measure of Vittorio Gui’s emotional, at ties impetuous reading of Verdi, already evident in the tense, urgent overture. At the same time, he by no means ignores the stately massiveness of the choral episodes or the almost Bellini-like lyrical effusions that punctuate the action. 

The cast includes some of the most prestigious Verdian singers of the 1960's. Arrigo is Gastone Limarilli, one of the last true Italian dramatic tenors, who made a name for himself both for his boldly ringing voice and for the exuberant temperament displayed in a wide repertory which included Verismo works (his performances as Canio in Pagliacci and Johnson in La fanciulia del West were renowned). However, his fame was also linked to important revivals of forgotten Verdi operas. After La battaglia di Legnano came Attila, also in Florence (1962) and Stiffelio (Parma). Another glorious voice, that of Giuseppe Taddei, one of the finest baritones of the post-war period, takes the part of Rolando. Still active after a career of more than thirty years, Taddei' is best known for his interpretation of brilliant, comic characters (Mozart’s Figaro and Leporello, Rossini’s Figaro and Don Magnifico; Don Pasquale, Dulcamara, Falstaff and Gianni Schicchi). This recording immortalizes one of Taddei’s most significant performances in a dramatic Verdi role. ln fact such performances were by no means rare. The Genoese baritone frequently sang operas such as Ernani, Macbeth, Rigoletto, Traviata and OtelIo. Here too he gives proof of his notable vocal versatility, his nobility and eloquence of expression. Dulcis in fundo: Leyla Gencer’s Lida. Here we have Gencer in the first part of her career, some years before the inspired and impassioned performances that made her, in Callas’s wake, a leading figure in the Donizetti Renaissance and the rediscovery of Belcanto operas in the 1960’s. However, her melancholy phrasing, her perfect command of the mezze-voci, the gentle nocturnal inflections of an extraordinarily subtle and refined vocalism, combined, where necessary, with a remarkable force-fulness of accent, all contribute to make hers an unforgettable performance.

FROM LP BOOKLET
LA BATTAGLIA DI LEGNANO
ALBERTO PALOSCIA

La battaglia di Legnano (1849) appartiene al gruppo delle opere verdiane comprese fra la singolare esperienza “sperimentale” del Macbeth — davvero un unicum nella produzione giovanile del maestro di Busseto, per la ricerca di quella “tinta” drammatica e per quello scavo psicologico dei personaggi che anticipa i grandi traguardi della Trilogia popolare — e il perseguimento di un’autentica drammaturgia musicale, fondata sulla penetrazione interiore del personaggio e sulla forza a dir poco accentratrice della “parola scenica”, quale si realizzerà compiutamente in Rigoletto. La Battaglia, ultimo contributo verdiano al melodramma di ispirazione storico-patriottica, in cui si bruciano senza troppa convinzione i residui della grande febbre risorgimentale, rappresenta dunque un momento di transizione, sospeso fra la drammaturgia sommaria e frettolosa, anche se caratterizzata qua e là da vampate geniali d'ispirazione, delle opere dei cosiddetti “Anni di galera” — tali possono essere considerati i titoli immediatamente precedenti l'esperienza della Battaglia di Legnano, come I Masnadieri (Londra, 1847), Jérusalem (Parigi, 1847; rifacimento in lingua francese de I lombardi alla prima crociata) e Il Corsaro (Trieste, 1848) — e l'evoluzione artistica delle opere della Trilogia, già in parte annunciata nelle sottigliezze di scrittura e nell’introspezione psicologica che caratterizzano certe pagine della Luisa Miller (Napoli, 1849) e dello Stiffelio (Trieste, 1850); ovvero le due creazioni immediatamente successive alla gestazione della Battaglia con le quali essa condivide, come vedremo fra poco, non pochi aspetti innovatori.
Ma quali furono i motivi che spinsero Verdi, dopo l’adesione viscerale e incontrollata, fondata più su contrasti passionali violenti e quasi brutali che non su una ricerca stilistica sfumata e approfondita, al romanticismo di Schiller (Masnadieri) e di Byron (Corsaro), a tornare a impossessarsi del vecchio modello dell’opera patriottica? Questo ritorno è condizionato in realtà da motivazioni storiche oggettive: i nuovi moti rivoluzionari del'48, scoppiati prima a Parigi e poi a Milano.
Dell'eroica riscossa delle “Cinque giornate” Verdi aveva udito l'eco durante il suo soggiorno parigino; e quasi in uno stato d'esaltazione, poco dopo aver comunicato al Piave in una famosa lettera il suo proposito - di non comporre musica (“Non c'è né ci deve essere che una musica grata agli orecchi degli Italiani del 1848. La musica del cannone”), il compositore si getta a corpo morto nella nuova impresa della Battaglia di Legnano. L'opera nacque da un contratto che Verdi aveva stipulato con il San Carlo di Napoli nel '47 prima ancora di trasferirsi a Londra per i Masnadieri. Le trattative avevano previsto soltanto che il libretto sarebbe stato affidato a Salvatore Cammarano — il librettista della Lucia di Lammermoor donizettiana nonché esponente autorevole dell'ambiente operistico napoletano, con cui Verdi aveva già collaborato per Alzira e con l'apporto del quale sarebbe nato, oltre alla Luisa Miller, il secondo capolavoro della Trilogia: Il trovatore — ma nulla era stato specificato riguardo al soggetto. Fu proprio Cammarano a suggerire a Verdi, infervorato dai nuovi sviluppi dei moti rivoluzionari in Italia, l'idea di un soggetto patriottico; dopo varie ipotesi, come quelle azzardate dal compositore su opere tratte da noti romanzi quali L'assedio di Firenze di Guerrazzi e Ettore Fieramosca di D'Azeglio, la scelta cadde su un dramma francese, Le bataille de Toulouse di Joseph Méry (il futuro librettista, accanto a Camille du Locle, del Don Carlos) che divenne, aggiornato alla realta italiana, La battaglia di Legnano. Come ha scritto Guglielmo Barblan, “si trattava di portare sulla scena il fatto storico dell'antica vittoria milanese sul Barbarossa, quasi a ideale e augurale collegamento con la recentissima radiosa primavera della Milano 1848 e con lo spirito di rivolta che animava l’Italia tanto ferita dal Congresso di Vienna”. E difatti Cammarano e Verdi l'avevano vista giusta: l'opera, caduta dopo varie peripezie di carattere economico la trattativa col San Carlo, andò in scena al Teatro Argentina di Roma il 27 gennaio 1849, appena tredici giorni prima della clamorosa proclamazione della Repubblica Romana di Mazzini, Saffi e Armellini, con esito trionfale. A quel che si legge nelle cronache dell’epoca, le accoglienze del pubblico toccarono in ogni rappresentazione punte a dir poco deliranti; nel corso di tutte le serate l’ultimo atto venne replicato a furor di popolo, né mancò l'episodio singolare dello spettatore che trascinato dall’entusiasmo si gettò dal proprio palco, proprio come avviene nel finale del terzo atto dell’opera, quando Arrigo, rinchiuso in una torre dal rivale Rolando, salta nel vuoto per raggiungere il suo drappello e partecipare alla battaglia. L'antica fiamma patriottica del genio verdiano continuava quindi a colpire e a trascinare i suoi adepti. Il successo di pubblico per la Battaglia di Legnano non è mai stato effimero, rinnovandosi anche per le rare riprese che l'opera ha avuto nel nostro secolo. Ma la Battaglia, a differenza della Luisa Miller, non è mai riuscita ad entrare in repertorio. E non è mai riuscita a convincere del tutto i critici e gli studiosi dell’opera di Verdi. Un'opera mancata? No, piuttosto un'opera ricca d'intuizioni originali ma riuscita solo a metà; o meglio ancora un’opera bifronte, a due facce, in cui le due componenti che la ispirano (e vedremo immediatamente quali componenti) non riescono a compenetrarsi l'una con l’altra, ad amalgamarsi in un risultato artistico pienamente convincente.
Abbiamo già sottolineato più d'una volta come Verdi abbia voluto restaurare con la Battaglia la formula dell’opera risorgimentale che aveva sancito la sua affermazione clamorosa nel teatro d'opera italiano; ma abbiamo anche detto che tale “ritorno alle origini” si realizza senza troppa convinzione, anzi con qualche squilibrio. Nabucco e I lombardi alla prima crociata, con il predominio assoluto che vi viene ad assumere il dramma collettivo, l'epopea corale, da cui i personaggi e le loro passioni individuali vengono assorbiti e fagocitati, appartenevano ormai ad un altro pianeta. L'itinerario poetico verdiano si era arricchito di nuove sollecitazioni; basti pensare alla foga passionale dell’Ernani, con i suoi personaggi sbalzati a tutto tondo e contrapposti dai propri istinti elementari, o alle sottigliezze analitiche con cui Verdi aveva scavato le angosce più recondite dei coniugi Macbeth nella prima opera shakespeariana. Il personaggio, insomma, stava assumendo un ruolo protagonistico, accentratore e catalizzatore all'interno dell'economia drammaturgica dell'opera verdiana. Con la Battaglia di Legnano si tratta quindi di fare un passo indietro rispetto all'evoluzione e all’affinamento dello stile e dei mezzi compositivi. Il risultato dell'operazione è quindi piuttosto ibrido. Proprio perché il canovaccio offerto da Cammarano contrappone all'impianto epico-corale la vicenda privata, di sapore quasi borghese, dei tre protagonisti, Lida, Arrigo e Rolando. Ecco dunque affacciarsi per la prima volta compiutamente nella produzione verdiana la poetica dell’intimismo; la stessa che troveremo nei drammi e nei conflitti interiori del pastore protestante Stiffelio e della sventurata Luisa Miller e che sarà esaltata finalmente nei grandi personaggi della Trilogia: Rigoletto, Azucena e Violetta, che snaturati da folli passioni riconquistano nel dolore la propria umanità. Ma è proprio la mancata fusione di questa componente intimistica con il grande affresco storico e corale il difetto di base dell’opera, quello che rende così discontinua la sua fisionomia e il suo esito artistico complessivo.
Confinata la componente patriottica nelle grandi pagine corali — una coralità, come ha notato Claudio Casini, popolarescamente omofona, ancora intrisa di reminiscenze del Nabucco e dei Lombardi — nelle marcette, nei ritmi di ballabile non privi di echi donizettiani che qua e là scandiscono le grandi scene d'insieme, Verdi sembra attratto quasi esclusivamente dalle passioni private, dagli intimi conflitti dei protagonisti, dalle implicazioni psicologiche che accompagnano le peripezie del “triangolo” Lida-Arrigo-Rolando: il dramma della donna, travagliata dal l'amore per l’ex-fidanzato creduto morto e dai doveri dell’amor coniugale, le ossessioni dell’adulterio mai consumato, la gelosia e il risentimento dello sposo che si crede tra dito, con tanto di sacrificio dell'eroe perse guitato e di catarsi finale, fanno già presen tire e quasi assaporare la tragedia borghese del Ballo in maschera. E proprio in questa sfera intimistica e privata che l’autore ci dà gli spunti più originali, se non addirittura geniali: dalla caratterizzazione umbratile e intensamente drammatica del personaggio di Lida, che quando non si abbandona a fintroppo estroversi ed esagitati cabalettismi sembra presagire il pianto intimo, la solitudine dolente e introversa delle future grandi eroine del melodramma verdiano, come Leonora, Violetta, Amelia ed Elisabetta di Valois; ai grandi momenti rappresentati dai recitativi, che con la loro plasticità e fluidità espressiva aderiscono perfettamente alla parola e ai sentimenti contrastanti dei personaggi, soppiantando i convenzionali formalismi che affiorano soprattutto nelle arie; al senso infallibile della scena, che in non pochi momenti (vedi il palpitante duetto Lida-Arrigo nel finale primo, dove la con trapposizione fra lo sdegno del tenore e gli accenti imploranti e appassionati del soprano è stata paragonata dal Barblan all'organizzazione formale, all'impegno unitario” e all'“interiore incisività” di un tempo di Sonata, e l'incandescente terzetto che conclude il terzo atto con incredibile parossismo drammatico) dà vita a una scansione drammatica rotta e frantumata (sottolineata dalla partecipazione sempre asciutta e tagliente dell'orchestra), che denota non solo il superamento delle forme.chiuse e dei vecchi modelli strofici, ma anche l’“orientamento verdiano verso una continuità drammatica realizzata nella dialettica del dialogo” (Barblan) — quell’orientamento che costituirà il pernio dei momenti-chiave delle opere della Trilogia.
Non mancano, come si è già detto, i momenti in cui l'ispirazione accusa qualche momento di ristagno; questo avviene soprattutto nel convenzionale e un po’ dolciastro sentimentalismo dalle arie di Rolando o nel manierismo che caratterizza l’intero secondo atto, dove l’inattesa apparizione del Barbarossa non viene sottolineata da Verdi con. quella scultorea potenza di accenti che da lui cisaremmo aspettata. Ma come ha sottolineato giustamente Claudio Casini nella sua monografia verdiana, ‘{...] nell’armamentario di un Verdi ormai rotto’a tutti i trucchi del mestiere, scoppiano improvvise frasi appassionate e drammatiche che invano si cercherebbero in Giovanna d’Arco o in. Alzira, perfino nei freddi meandri del Macbeth". Valgano ancora come esempi delle numerose meraviglie celate da quest'opera la robusta e levigatissima costruzione sinfonica dell’Ouverture, imperniata su alcuni motivi conduttori che ritorneranno nel corso dell’opera e caratterizzata da preziose e avvolgenti combinazioni timbriche che rivelano anche i progressi raggiunti da Verdi nell'ambito della strumentazione; e soprattutto il conciso, poetico, bellissimo quarto atto; con il contrappunto drammatico dell’esordio, dove le convulse domande di Lida alla confidente Imelda si sovrappongono alle cantilene liturgiche provenienti dalla chiesa e al corale a quattro voci intonato dalla folla dei fedeli con un effetto che fa pensare addirittura al Miserere del Trovatore, e il clima di sublimazione della scena finale, dove, sottolinea ancora il Barblan, “la solennità della morte stende il suo velo sugli eventi e sugli uomini con il senso di redenzione di cui Verdi conosceva l'impulso segreto, nella sincera semplicità come di un mito arcaico [...] Con tale commosso e semplice epicedio Verdi dettò una pagina antica e profetica nella quale la religiosità della patria s’illumina dei nuovi accenti di una più vasta religiosità umana”.
La fortuna della Battaglia di Legnano nel nostro secolo, come quella di altre opere minori di Verdi, deve molto al gusto della riscoperta e alle operazioni di repéchage, che hanno caratterizzato da sempre gli intenti di un grande festival come il Maggio Musicale Fiorentino. Dopo una ripresa allestita dal Teatro Regio di Parma nel 1951, ecco che nel '59 toccò al Teatro Comunale di Firenze, trasferitosi da qualche anno al Teatro della Pergola a causa dei lavori di ristrutturazione, riproporre La battaglia di Legnano quale opera inaugurale del XXII Maggio Musicale Fiorentino. E con una locandina davvero sontuosa, guidata da un direttore come Vittorio Gui, un verdiano purosangue che aveva già legato il suo nome a importanti ripescaggi verdiani nel l'ambito dei “Maggi” più gloriosi (dal Nabuc- co del '33 al memorabile Macbeth del ’51), e Leyla Gencer da un regista come Franco Enriquez. Questa registrazione ci restituisce appieno il Verdi palpitante, a tratti quasi garibaldino, di Vittorio Gui: lo conferma il taglio asciutto, nervoso, incalzante della Sinfonia. Ma la lettura di Gui non ignora la marmorea compostezza delle parti corali, come le tenerezze liriche di sapore ‘belliniano che qua e là affiorano nella partitura.
Il cast annovera alcune delle voci verdiane più prestigiose degli Anni Sessanta. Arrigo è Gastone Limarilli, una delle ultime voci italiane di tenore drammatico, che si impose sia per lo squillo e la baldanza vocale che per l'esuberante temperamento in un repertorio molto vasto, che si spingeva fino all’opera della Giovane Scuola (celebri le sue intepretazioni di Canio nei Pagliacci e di Johnson nella Fanciulla del West); ma la notorietà di Limarilli fu incrementata anche dalla sua partecipazione alle più importanti riesumazioni di opere verdiane dimenticate: dopo la Battaglia di Legnano, Attila ancora a Firenze (1962), e Stiffelio a Parma. Ancora una voce gloriosa per il personaggio di Rolando: quella di Giuseppe Taddei, ovvero uno dei più grandi baritoni del dopoguerra. Sulla breccia ormai da oltre un trentennio, Taddei ha legato la sua fama soprattutto alle interpretazioni di opere buffe e di personaggi giocosi e brillanti (dal Figaro e dal Leporello mozartiani al Figaro e al Don Magnifico rossiniani, fino a Don Pasquale, Dulcamara, Falstaff e Gianni Schicchi); questa registrazione documenta una delle apparizioni più rilevanti di Taddei in un ruolo di grande impegno drammatico verdiano — apparizioni che non furono poi troppo rare, se si pensa alla consuetudine che il baritono genovese ha sempre avuto con opere quali Ernani, Macbeth, Rigoletto, Traviata e Otello. E anche in questo caso Taddei conferma la duttiilità dei suoi mezzi vocali, come l’eloquenza e la nobiltà dell’accento. Dulcis in fundo la Lida di Leyla Gencer. Una Gencer prima maniera, ancora lontana dalle folgoranti accensioni che di lì a poco l'avrebbero proiettata, sull'onda del boom callassiano, nel vortice della Donizetti-Renaissance e della restaurazione belcantistica degli Anni Sessanta: ma già capace, con il suo fraseggio accorato e dolente, con il magistrale dominio delle mezze voci, con le inflessioni suadenti e “lunari” di una vocalità quanto mai morbida e sfumata e con la forza perentoria con cui scolpisce ogni accento, di consegnare alla storia dell’interpretazione verdiana un personaggio indimenticabile.

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LA BATTAGLIA DI LEGNANO
UN PEU d'HISTOIRE
ALBERTO PALOSCIA

Après l’Italie napoléonienne commence la Restauration qui vit l’échec des révolutions dites romantiques. Pour Metternich, l’Italie n’existe plus du point de vue politique, elle n’est qu’une simple « expression géographique ». Partout l’emprise de l’Autriche se fait sentir, elle gouverne ou s’infiltre dans le gouvernement de presque tout le territoire, sont exceptés la Sardaigne, les Etats du pape et le royaume de Naples. Ce gouvernement extrêmement autoritaire mécontente une minorité libérale, constituée de bourgeois, de prêtres cultivés et d’anciens officiers, tous plus ou moins liés a la maçonnerie et à la charbonnerie. Ils souhaitent vivement que soit restauré le Risorgimento ou Nation Italienne, mais leurs tentatives ne sont pas orchestrées de façon cohérente, leurs aspirations sont romantiques et leurs méthodes pour les concrétiser ne sont pas pragmatiques donc, par conséquent, vouées à l’échec face à l’organisation autrichienne. Les séditions, les conspirations, les complots sont vite découverts et rapidement écrasés sans entamer le pouvoir le moins du monde.
En 1821 des embryons de révolutions sont vites jugulés en Piémont et à Naples, la police réprime durement toute agitation et de nombreux patriotes sont jetés en prison. Sous l’influence de la Révolution française de 1830, les patriotes tentent une nouvelle action, manquant toujours de plan d’ensemble, qui elle aussi échoue. De 1831 à 1846, un homme, Joseph Mazzini, va essayer de soulever les masses et d’organiser, aidé par des amis, un soulèvement, mais il n'y parviendra pas, car le peuple ne croit pas à sa république déiste, démocratique et unitaire. Les révolutions romantiques s’'éteignent dans la crise de 1848.
A cette époque tous les peuples d’Europe bougent, et avec eux les patriotes italiens, c'est le Quarantotto. Ce mouvement regroupe tous ceux qui entendent protester contre l’injustice sociale, l’autoritarisme politique et aussi ceux qui espèrent l’unification de l’Italie. C’est un mouvement auquel le peuple semble participer volontiers, dès 1846 le pape Pie IX prend, quoique timidement, la tété du mouvement de régénération. Devant cette agitation populaire, les souverains accordent quelques libertés qui devront être accrues sous la pression de l’influence de la révolution française de 1848 et des émeutes de Vienne. Partout les provinces se soulèvent, des gouvernements provisoires s’érigent, des constitutions sont promulguées. Le 24 mars Charles-Albert, roi de Sardaigne, prend la tête des troupes et une guerre d’indépendance commence. Les patriotes refusent l’aide de la France : L’Italia farad se. Mais Charles-Albert poursuit des buts expansionnistes, le pape prend peur et redevient conservatiste; il se réfugie a Gaète, laissant Rome aux Mazziniens, qui le 9 février 1849 proclament la république romaine; de son cité le roi de Sicile rappelle ses troupes; à la fin d’avril la situation stagne. En juillet l’Autriche, qui a solutionné ses troubles intérieurs, commence la reconquête de l’Italie. Alors le patriotisme resurgit et se cristallise mémé en un désir d’instaurer une république démocratique. La résistance reprend avec plus de force mais sans obtenir de résultats. La réaction triomphe, des armistices sont imposés un peu partout, seul le Piémont gardera une situation privilégiée et en cela deviendra l’espoir des patriotes, alors que les modérés viennent au pouvoir avec Cavour et que le royaume d’Italie se forme.

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LA BATTAGLIA DI LEGNANO
LA COMPOSITION DEL LA BATTAGLIA DI LEGNANO ET LA 1° PRESENTATION

Verdi la compose à Paris alors que la réaction poursuit de sa répression les ouvriers qui s’étaient soulevés. C’est a ce moment-là qu’il met en musique un poème rimé de Goffredo Manelli pour en faire « Suona la tromba », hymne qu'il destine aux patriotes luttant en Lombardie contre la répression autrichienne. Comme nous l’avons vu le pape Pie IX s’était démarqué des patriotes sous effet de la peur et les républicains, a titre de représailles et d’avertissement, avaient assassiné son administrateur Pellegrino Rossi. Après ce coup le pape s’enfuit sous un déguisement et se réfugie à Gaète. Les républicains profitant de l’absence du pape essaient de faire voter la république de Rome mais le pape demande aux catholiques de s’abstenir, les Romains sont divisés et une grande agitation règne dans la ville où Verdi revient pour mettre en scène lui-même son opéra, qui traite d’une bataille entre Lombards et Autrichiens datant de 1176. Verdi arrive au début du mois de janvier, la première représentation a lieu le 27; le peuple qui n’avait pas eu de mal a faire une transposition d’époques pour remettre cette bataille dans l’actualité envahit le théâtre lors de la répétition générale et s’enflamme pour un opéra qui les rallie tous a la mémé cause et le lendemain tous les billets sont achetés, le théâtre est plein, on s’arrache les livrets. Le public fait un triomphe au musicien, dès que commence le chœur des hommes dont la première phrase est « Vive l’Italie ! Un pacte sacré unit tous vos fils » l’auditoire devient frénétique et crie « Vive Verdi ! Vive l’Italie ! »
Le 9 février la république est proclamée à Rome. Tout le monde s’accorde à trouver là une correspondance entre la représentation de la Battaglia di Legnano et cette proclamation, Carlo Gatti dans sa précieuse biographie de Verdi écrit mémé : « Mazzini, Saffi et Armellini forment le triumvirat de la République. Mameli en est le soldat. Verdi en est le tribun musical, car, en un certain sens, la Battaglia di Legnano est l’couvre d’un tribun. »
Mais après la proclamation de la république de Rome, Verdi doit partir et il le regrette profondément. La Battaglia di Legnano est acclamée tous les soirs, le public est tellement enthousiaste que le quatrième acte est toujours bissé.
Puis la république romaine tombe, l’opéra devient suspect et les différentes censures italiennes exigent, pour qu'il puisse être représenté hors de Rome, que des modifications importantes soient faites dans le livret ; Frédéric Barberousse doit être remplacé par le duc d’Albe et Legnano est changé pour Harlem, le théâtre du combat n’est plus l’Italie mais les Flandres de la conquête espagnole, et le titre est alors : la Battaglia di Arlem. Méme en 1857, c’est-à-dire huit ans plus tard, Verdi devra encore altérer le livret pour que l’opéra soit accepté par la Scala, l’opéra devient alors Lida, d’après le nom de la protagoniste.