LA FALENA
FERNANDO BATTAGLIA
Ben pochi teatri italiani, all'infuori di quelli di Trieste o delle città della costa istriana, hanno ospitato le opere di Antonio Smareglia, alcune delle quali, peraltro, suscitarono interesse ed ammirazione a Vienna e a Praga. Questa sostanziale indifferenza dei pubblici nostrani nei confronti del musicista istriano, uno degli artisti italiani più dotati ed originali che abbiano composto melodrammi tra l'ultimo ottocento e il primo novecento, non è facilmente spiegabile e rappresenta ancor oggi un caso che fa discutere.
Nato a Pola il 5 maggio 1854 - cioè nello stesso anno in cui nacque a Lucca Alfredo Catalani, anch'egli destinato ad essere un operista controcorrente - Smareglia iniziò, giovanissimo, lo studio della musica a Vienna, allora centro di riferimento culturale per la gente della sua terra, ma ben presto preferì spostarsi a Milano per iscriversi alla scuola di Franco Faccio, il grande direttore d'orchestra, amico fraterno di Arrigo Boito. Poco più che ventenne ebbe quindi occasione di frequentare gli ambienti della Scapigliatura, assorbendone in parte gli ideali trasgressivi, antiretorici ed antiromantici e stringendo amicizia con Luigi Illica, il futuro librettista principe di quella giovane scuola che sarebbe di lì a pochi anni sbocciata sotto la protezione della nuova Casa musicale fondata da Edoardo Sonzogno. In questi anni decisivi per la sua formazione, qualcosa comunque divise il giovane suddito austriaco di lingua italiana dall'ambiente milanese, con il quale stentò in definitiva ad identificarsi compiutamente, essendo rimasto nell'intelletto e nella coscienza critica profondamente segnato dalla prima esperienza viennese. Forse alla luce di questo dissidio non risolto deve essere interpretata la sorprendente decisione di non pervenire al diploma lasciando il Conservatorio nel 1877 e di completare, praticamente da autodidatta, la propria preparazione professionale.
Così poco più che in chiave sperimentale debbono essere intese le prime prove teatrali nate durante gli anni milanesi: Preziosa, su libretto di A. Zanardini tratto da The Spanish Student di Longfellow (Milano, Teatro Dal Verme 19 novembre 1879) e la più ambiziosa Bianca da Cervia, su libretto di F. Pozza sotto lo pseudonimo di Fulvio Fulgenzio (Milano, Teatro alla Scala 7 febbraio 1882) che, per rispondere alle aspettative del momento, sembrò guardare al modello del grandopéra, pur nella fondamentale indipendenza formale già dimostrata da Smareglia e chiaramente riscontrabile nella personalissima concezione della scrittura armonica e strumentale. La recensione apparsa nel Teatro illustrato con la firma di Veridicus, rilevò la buona accoglienza del pubblico, ma con felice intuito identificò altresì i pregi ed i limiti del nuovo operista: somma perizia tecnica, sorprendente abilità di strumentatore, ma scarsa fantasia melodica.
Il secondo soggiorno viennese, che si protrasse tra il 1888 ed il 1894, dopo l'allontanamento da Milano, gli consentì tuttavia di tentare nuove strade che accentuarono il suo distacco dal costume operistico italiano di quello scorcio di secolo e, con l'opportuno affinamento delle sue indubbie qualità, di farsi apprezzare in un ambiente raffinato e culturalmente evoluto come quello della capitale imperiale e di attirare l'attenzione perfino di un Brahms e di un Hanslick. Furono quelli gli anni in cui nacquero spartiti come Il Vassallo di Szigeth (Vienna, 1889) e Cornelius Schutt (Praga, 1893), entrambi su libretti di Luigi Illica, per l'occasione tradotti in tedesco: il secondo fu rielaborato molti anni dopo con il titolo I Pittori fiamminghi (Trieste, Teatro Verdi 1928). In epoca recente è stato nuovamente riproposto.
Rientrato nella sua Istria, l'ormai quarantenne compositore colse finalmente il suo più durevole successo di pubblico e di critica con Nozze istriane (Trieste, Teatro Verdi 1895), sempre su testo di Illica, una partitura agile e scorrevole ambientata nel borgo marinaro di Dignano e nella quale in una musica ricca di suggestioni ambientali ed animata da una fervida rievocazione di ritmi e melodie popolari istriane, si consuma il rude e violento dramma di Marussa, Lorenzo e Nicola. Il richiamo a Cavalleria rusticana è certamente d'obbligo, ma la penna scaltrita, la raffinatezza timbrica strumentale e vocale di Smareglia e il ripudio di ogni retorica espressiva assicurano al breve lavoro una sua nobile ed indipendente fisionomia nella storia dell'opera italiana. Un ritorno alle origini dunque venato forse da qualche nostalgia, ma con la mano arricchita dalle autorevoli esperienze culturali mitteleuropee. Anni dopo, nel 1909, un giovane musicista di Lugo, Francesco Balilla Pratella, si ricorderà di Nozze Istriane, cercando di ripeterne l'incantevole atmosfera sonora nella Sina 'd Vargoun con le voci e i suoni della sua Romagna.
Dall'incontro fra il musicista ed il giovanissimo poeta triestino Silvio Benco (1874-1949) nacque poi la trilogia che concluse la carriera operistica del nostro compositore: La Falena (Venezia, Teatro Rossini 1897), Oceàna (Milano, Teatro alla Scala 1903), L'abisso (ivi, 1911). Queste tre opere furono concepite nella comune, ricorrente nostalgia per i sogni della Scapigliatura, stregati dal fascino perverso della poetica baudeleriana, ma che la maturità e le pene dell'esistenza - Smareglia nel 1900 era divenuto cieco - avevano ripiegato in un simbolismo decadente e allucinato.
La prima delle tre opere, La Falena, è emblematica di questo atteggiamento creativo davvero singolare nel teatro musicale italiano fine secolo. La vicenda praticamente non esiste: il giovane Stellio, re di un ipotetico paese che si affaccia sulle rive dell'Atlantico in epoca remota, è attratto nel bosco dall'irresistibile fascino di una donna-falena ed abbandona la giovane fidanzata Albina. Il padre della sventurata fanciulla, Uberto, va, nelle tenebre della notte, alla ricerca del transfuga e tenta di richiamarlo alla ragione ma resta ucciso in un furioso corpo a corpo suscitato dai malefici della creatura misteriosa. Con il sorgere della nuova aurora la falena per incanto si dissolve e a Stellio con lo svanire del sogno resta l'incubo del rimorso, reso più acuto dalla morte della fidanzata tradita, che, spegnendosi, lo perdona. I tre atti sono percorsi dai brividi che si irradiano da questa cupa atmosfera onirica, nella quale sono tragicamente immerse le figure- simbolo del dramma. L'orchestra, sia nelle ampie pagine descrittive che aprono gli atti, come nel sostegno delle voci, traduce con gli ossessivi tremoli degli archi i trasalimenti, le angosce, gli incubi notturni, serbando tuttavia una luminosa trasparenza timbrica nell'esemplare impiego dei colori e degli impianti strumentali. Le voci solistiche e gli squarci corali completano il quadro sonoro, ma non indulgono mai, in funzione protagonistica, ad aperture cantabili che rallentino il fluire incessante di una sorta di melodia infinita. Il linguaggio armonico è concepito con autorevole abilità e le frequenti modulazioni, pre parate e condotte con molta naturalezza, convergono per lo più in tonalità difficili, con molte alterazioni sol bemolle, re bemolle, si maggiore, do diesis maggiore e simili - che contribuiscono a creare sonorità morbide e sfumate. Superficiale ed inopportuno, a mio avviso, è comunque da ritenere il tanto ripetuto accostamento a Wagner.
La Falena andò in scena per la prima volta il 4 settembre 1897 al Teatro Rossini, già San Benedetto, di Venezia con una compagnia vocale di alto livello, nella quale figuravano il mezzosoprano Alice Cucini nelle vesti della enigmatica protagonista, il soprano Emma Carelli (1877-1928), allora agli esordi, come Albina, ed il tenore Alfonso Garulli (1866-1915) come re Stellio. Completavano l'elenco artistico il baritono Vittorio Brombara ed il basso Leopoldo Cromberg; dirigeva il maestro Gialdino Gialdini. Due anni dopo, il 4 dicembre 1899, l'opera compariva al teatro Adriano di Roma e nello stesso anno al Teatro Comunale di Trieste, dove ritornò con altre quattro edizioni, nel 1911, 1930, 1947 e finalmente nel 1975; questa, che deve considerarsi l'ultima comparsa della Falena sulle scene, forma l'oggetto della presente riproduzione discografica, la prima in assoluto di un'opera di Antonio Smareglia.
FROM CD BOOKLET
LA FALENA
FERNANDO BATTAGLIA
Translation Candance Smith
Very few Italian theatres, aside from those in Trieste or the cities on the Istrian coast, have staged the operas of Antonio Smareglia, some of which aroused the interest and admiration of audiences in Vienna and Prague. This basic indifference on the part of the Italian public in regard to the Istrian musician, one of the most gifted and original Italian opera composers of the early twentieth century, is difficult to explain and is still a subject of discussion today.
Born in Pola on 5 May 1854 - the same year as Alfredo Catalani, another crosscurrent opera composer - Smareglia began quite early to study music in Vienna, considered by his countrymen to be the cultural center of Europe. Soon, however, he transferred to Milan to enrol in the school of Franco Fraccio, the great orchestral conductor and close friend of Arrigo Boito. Thus, in his early twenties, he had the opportunity to frequent the followers of the Scapigliatura (a literary and artistic movement in northern Italy, t.n.), and in part absorb their unconventional, antirhetorical and anti-romantic ideals. He also formed a tight friendship with Luigi Illica, the future librettist prince of that 'young school' which in a few years would blossom under the protection of the new musical publishing house founded by Edoardo Sonzogno. Still, in those formative years, something separated Smeraglia, a young Austrian citizen of Italian descent, from the Milanese circles, with which was unable to identify fully, having been deeply marked intellectually by his Viennese experience. It is in light of this conflict that one can perhaps interpret his surprising decision to leave the conservatory in 1877 before earning his diploma and to complete his professional training practically self-taught. Thus his first theatrical experiences during his Milanese years should be considered more as experiments: Preziosa, with a libretto by A. Zanardini based on Longfellow's The Spanish Student (first performed in Milan at the Teatro Dal Verme on 19 November 1879) and the more ambitious Bianca da Cervia, on a libretto by F. Pozza writing under the pseudonym of Fulvio Fulgenzio (Milan, Teatro alla Scala, 7 February 1882). This latter work, in response to the expectations of the time, seems to be modelled on the grand opéra, although it maintains the fundamental formal independence already demonstrated by Smareglia and clearly recognizable in his unique approach to harmony and instrumental writing. The review which appeared in the Teatro illustrato, signed by Veridicus, mentions the audience's warm reception, but also perceptively identifies the strengths and weaknesses of the young composer: great technical skill, a surprising talent for instrumentation, but limited melodic fantasy. In 1888 he abandoned Milan to return to Vienna, where he remained until 1894. Here he tried new avenues which accentuated his distance from the Italian operatic practices of the end of the century and, by developing his unquestionable qualities as a composer, he found himself accepted into the refined and cultural circles of the imperial capitol, even capturing the attention of such figures as Brahms and Hanslick. These were the years in which we wrote Il Vassallo di Szigeth (Vienna, 1889) and Cornelius Schutt (Prague, 1893), both on librettos by Luigi Illica and translated into German for the occasion. This second opera was reworked many years later under the title I pittori fiamminghi (Trieste, Teatro Verdi, 1928) and has been revived in recent times.
Returning to his native Istria, the composer, now forty years old, finally enjoyed his most lasting popular and critical success with Nozze istriane (Trieste, Teatro Verdi, 1895). Again, on a libretto by Illica and set in the seaside town of Dignano, its agile and flowing music richly evokes the colourful surroundings and animated by a fervent use of popular Istrian rhythms and melodies, recounts the crude and violent drama of Marussa, Lorenzo and Nicola. The comparison to Cavalleria rusticana is inevitable, but Smareglia's sharp touch, his refined mastery of timbre in both voices and instruments, and his total rejection of expressive excess assure this short work its noble and independent character în the history of Italian opera. It thus represents a return to the composer's origins, coloured perhaps with a bit of nostalgia, but with his musical art enriched by the significant cultural experiences gleaned in Central Europe. Years later, in 1909, a young musician from Lugo, Francesco Balilla Pratella, will recall Nozze istriane, and attempt to reevoke its enchanting musical atmosphere in Sina 'd Vargoun, using the voices and sounds of his native Romagna.
The encounter with the young poet from Trieste Silvio Benco (1874-1949) led to the trilogy with which the composer concluded his operatic career: La Falena (Venice, Teatro Rossini, 1897), Oceàna and L'abisso (both Milan, Teatro alla Scala, 1903 and 1911, respectively). These three operas had been conceived under the influence of the shared and recurring nostalgia for the dreams of the Scapigliatura, bewitched by the perverse charm of the poetry of Baudelaire, but which maturity and the pains of life (in 1900 Smeraglia became blind) had transformed into a decadent and spellbound symbolism. The first of the three operas, La Falena, is typical of this creative perspective which was so truly unique in the Italian musical theatre of the late nineteenth century. The plot is practically non-existent: Stellio, the young king of an imaginary country of long-ago which borders on the Atlantic, is captivated in the woods by the irresistible charm of a woman/moth and subsequently abandons his young fiancée Albina. The unfortunate girl's father, Uberto, goes in the dark of night in search of the unfaithful king and attempts to bring him to reason, but the older man is killed in violent hand-to-hand combat engendered by the witchcraft of the mysterious creature. With the new dawn, the moth magically vanishes, and in place of Stellio's dream there remains only the nightmare of remorse, rendered all the more bitter by the death of the betrayed fiancée who, with her dying breath, forgives him. Throughout the three acts, shivers radiate from this gloomy dream-like atmosphere in which the symbolic figures of the drama are tragically immersed. The orchestra, with the obsessive tremolos in the strings, conveys in the extensive descriptive music which opens each act and in the accompaniment to the voices the shock, the anxiety and the nocturnal nightmares, albeit retaining a luminous timbral transparency in the composer's exemplary use of colour and instrumentation. The solo voices and the choral passages complete the musical picture without ever indulging in cantabile showpieces which would interrupt the incessant flow of a sort of infinite melody. The harmonic language is conceived with masterful skill and the frequent modulations, prepared and carried out with great ease, converge for the most part at difficult keys - Gb, Db, B major, C major, and the like - which contribute to creating supple and subtle sonorities. Nonetheless, the often- made comparisons with Wagner are, in my opinion, superficial and inappropriate.
La Falena was first performed on 4 September 1897 at the Teatro Rossini (previously the Teatro San Benedetto) in Venice. The cast of fine singers included mezzosoprano Alice Cucini in the role of the enigmatic protagonist, soprano Emma Carelli (1877-1928), then at the beginning of her career, as Albina, and the tenor Alfonso Garulli (1866-1915) as King Stellio, as well as the baritone Vittorio Brombara and the bass Leopoldo Cromberg. The conductor was Gialdino Gialdini. Two years later the opera was staged at the Teatro Adriano in Rome (on 4 December 1899) and at the Teatro Comunale of Trieste, where it was reprised in 1911, 1930, 1947 and finally in 1975. This last production, which was the last time La Falena was staged, is the subject of this recording, the first ever made of an opera by Antonio Smareglia.
FROM CD BOOKLET
LA FALENA
MARIAROSA RIGOTTI LONGO
Fu James Joyce, con chiaroveggenza, a definire Antonio Smareglia con essenziali ma efficaci parole: «Uno dei pochissimi contemporanei dei quali si sarebbe parlato ancora tra cent'anni». Una visione a tempi lunghi, certo, che si è rivelata azzeccata considerando i numerosi e sempre nuovi motivi di interesse che la produzione del musicista istriano sta suscitando negli ultimi anni, sia in Italia sia nelle repubbliche vicine, favore, che, non da ultimo, ritrova in questa pubblicazione della casa Bongiovanni.
Ecco, allora, l'incontro con un'opera come La Falena che nell'edizione di questo cd si fregia della voce di Leyla Gencer e della direzione del maestro Gianandrea Gavazzeni. È un lavoro che affascina profondamente: sarà per quel collocarsi - come considerò il Valletta - sulla scia delle Villi e delle Loreley, quelle figure ammaliatrici di spiriti boschivi. La Falena rappresenta, dunque, quel 'topos' ricorrente del contrasto tra l'amore puro e l'oblio tra le braccia della donna demoniaca per la quale si sparge il sangue dell'innocente. Di grande presa emotiva, dunque, quest'opera, per cui, può essere motivo di curiosità conoscere alcuni anneddoti che la riguardano.
Intanto, va detto che si tratta dell'ultimo lavoro ad essere redatto integralmente di suo pugno da Smareglia prima di cadere nelle tenebre della cecità. Il maestro stesso confidò quali furono i motivi di ispirazione: «Ricordo che, mentre stavo pensando al finale del secondo atto della Falena, ed ero a letto febbricitante, udii il pianto straziante di Albina e il lamento della foresta in un brano sinfonico concertato in ogni dettaglio, che trascrissi appena alzatomi». Per l'atto successivo giocò l'ambiente natio: «Il preludio del terzo atto mi fu ispirato dai ricordi delle incantevoli albe sulle spiagge istriane».
Va detto che a fare conoscere a Roma, Milano, Torino e Firenze la poderosa partitura sinfonica rappresentata da 'Seduzione e lamento della Falena' fu un ammiratore di Antonio Smareglia, il maestro Vittorio Gui (direttore dell'orchestra al Politeama fiorentino) al quale è legato un significativo episodio di quella che fu definita la sua 'vibrante e magnifica esecuzione del pezzo a Torino: <A brano finito, tra le acclamazioni del pubblico, scattarono in piedi anche i componenti l'orchestra e si unirono nella interminabile ovazione diretta al grande compositore e al suo superbo interprete». Il maestro Vittorio Gui, appunto.
Falena fu scritta «dalla prima all'ultima nota a Trieste» dove Smareglia viveva in quel periodo con la famiglia (otto persone compresa la suocera): «Ogni mattina... metteva sulla carta, direttamente in partitura d'orchestra, quanto aveva ideato il giorno prima. Vedeva assai poco e le battute venivano giù a sghimbescio».
Un anneddoto ricordato da Giuseppe Radole, ma c'è anche una memoria di Silvio Benco che dovette riscrivere il libretto. Perché nella prima stesura, il maestro aveva affermato 'con i suoi modi più dolci': «Tutto va bene ma se lasciamo le cose come stanno, l'opera comincia e finisce in venti minuti». A quell'epoca Benco aveva solo vent'anni e più avanti nel tempo in 'Ricordi di Antonio Smareglia' scrisse come il maestro: «...non componeva mai al pianoforte; questo gli serviva soltanto per controllare qualche accordo; la sua creazione era direttamente orchestrale, e la concepiva per lo più stando seduto sul canapè, tutto assorto, tamburellando con le dita e ricordandosi tratto tratto di riaccendere il sigaro spento. Intorno a lui, nelle stanze vicine, c'era il rumore della casa, il grido dei figlioli: ma questo non turbava i suoi nervi superbi, validi alla più intensa concentrazione, alla più laboriosa costruzione interiore anche sotto il frastornante incrocio di strilli nelle stanze e di cicaleccio nella cucina. Egli componeva mentalmente - aggiunge il librettista - come in una zona di neutra serenità.....
Un altro episodio che riguarda la personalità del musicista si rifà alla seconda di Falena a Trieste, diretta da Ferrari e curata in ogni particolare. Smareglia incuteva rispetto a tutti ed era assiduo alle prove. Se ne stava in una poltrona di platea, immobile. Per questo poteva sembrare assopito. In realtà, ogni volta che uno strumento, anche poco importante e il più lontano, «produceva un suono falso» ecco Smareglia scattare in piedi «come spinto da una catapulta». Allora cercava a tentoni il parapetto che separa l'orchestra dal pubblico per fare delle osservazioni che trovavano sempre sorpresi, per la loro opportunità, sia il maestro che gli orchestrali...
It was James Joyce who foresightedly defined Antonio Smareglia as 'one of the very few contemporary composers who will still be spoken of in a hundred years. This prediction, though long-term, is being proven correct by the abundant and ever-increasing interest aroused in the last years by the music of this Istrian musician, both in Italy and in the neighbouring republics, an interest furthered by this recording by Bongiovanni. Here, then, is the opportunity to encounter an opera such as La Falena which, in this edition, is graced by the voice of Leyla Genger and the direction of Gianandrea Gavazzeni. It is a profoundly fascinating work, perhaps because - as Valletta has stated - it continues in the wake such bewitching woodland creatures as Villi and Loreley. La Falena thus re-presents the recurring theme which contrasts pure love on the one hand and oblivion in the arms of a demonic woman for whom innocent blood is shed on the other. This opera has such an emotional impact that the listener might been interested in knowing a few anecdotes regarding its history.
First of all, it must be said that this was the last work which Smareglia wrote entirely in his own hand before complete blindness set in. The composer himself revealed his source of inspiration: 'I recall that, while I was thinking about the finale of the second act of La Falena, and lay feverishly in bed, I heard the heartrending cry of Albina and the lament of the forest as a symphonic piece, worked out to the last detail, which I transcribed as soon as I was up. The following act drew on his native surroundings: "The prelude to the third act was inspired by memories of the enchanting sunrises on the Istrian beaches.' The person responsible for bringing the powerful symphonic score of La Seduzione e lamento della Falena to Rome, Milan, Turin and Florence was an admirer of Antonio Smareglia, Vittorio Gui, director of the orchestra at the Florentine Politeama. This particular episode is indicative of Gui's 'vibrant and magnificent performance' of the work in Turin: “At the end of the piece, together with the enthusiastic applause from the audience, the members of the orchestra leapt to their feet and joined the interminable ovation directed toward the great composer and his superb interpreter', Maestro Vittorio Gui. La Falena was composed 'from the first to the last note in Trieste, where Smareglia was living at the time with his family (eight people including his mother-in-law). "Each morning...he put on paper, directly in orche stral score, that which he had thought of the day before. He saw very little, and the measures appeared all awry.”
An anecdote recalled by Giuseppe Radole is confirmed in a note by Silvio Benco who had to rewrite the libretto, for after reading the first draft Smareglia claimed in his gentlest manner', 'Everything is fine, but if we leave things as they are, the opera from start to finish will last twenty minutes. At that time Benco was only twenty years old, and he later wrote in Ricordi di Antonio Smareglia that the musician:
“...never composed at the pianoforte; he used it only to check a few chords. His creation was directly orchestral, and he conceived it for the most part seated on the sofa, completely absorbed, drumming his fingers and remembering every so often to relight his extinguished cigar. All around him, in the rooms nearby, there was the noise of the house, the shouts of the children. But this did not disturb his splendid nerves, capable of the most intense concentration, of the most laborious inner construction even in the deafening interchange of shrieks in the rooms and chatter in the kitchen. He composed mentally, as if in an area of neutral serenity...” Another episode illustrating the personality of this musician refers to the second production of La Falena in Trieste, conducted by Ferrari and staged with great care. Smareglia inspired respect in everyone and was constantly at the rehearsals. He would sit, immobile, in a stall, and almost appear to be sleeping. In reality, every time an instrument - even the most unimportant or distant - would “produce a false sound”, Smareglia would leap to his feet “as if projected by a catapult”. He would then gropingly seek the railing which separated the orchestra from the audience and would make his comments, which for their pertinence, would invariably take both the conductor and the orchestra by surprise...”