IL TROVATORE    

Giuseppe Verdi (1813 - 1901) 
Opera in four acts in Italian
Libretto: Salvatore Cammarano from Spanish drama of the same tittle by Atonio Garcia Gutiérrez
Premièr at Teatro Apollo, Rome – 19 January 1853
29 May 1957                          
Auditorium RAI, Milano

Orchestra e Coro della RAI, Milano
Conductor: Fernando Previtali
Chorus master: Roberto Benaglio
Stage director: Claudio Fino
Scene and costumes: Enrico Tovaglieri

Count di Luna ETTORE BASTIANINI baritone
Ferrando di Luna’s captain of the guard PLINIO CLABASSI bass
Manrico a chieftain under the Prince of Biscay and reputed son of Azucena MARIO DEL MONACO tenor
Duchess Leonora lady-in-waiting to the Princess of Aragon LEYLA GENCER soprano
Ruiz a soldier in Manrico’s service ATHOS CESARINI tenor
An Old Gypsy SERGIO LILIANI baritone
Inez confident of Leonora LAURA RONDI soprano
Azucena a Biscayan gypsy woman FEDORA BARBIERI mezzo-soprano
Un messo WALTER ARTIOLI tenor

Time: Fifteenth Century
Place: Biscay and Aragon

Recording date 

Note: The production broadcast by RAI-TV Italiana

CONTRACT FOR TV SHOOTING AND RECORDING

1956.06.28

RADIOCORRIERE.TV

1957 May 26 - June 01

DEL MONACO ALLA TV NEL "TROVATORE,,
 
Una buona compagnia di can. to della quale fa parte il celebre tenore Del Monaco interpreterà per la Televisione Tronatore: un avvenimento, dopo i grandi e pieni successi che quest'opera di Verdi ha avuto in centoquat. tro anni.
Il Trovatore. rappresentato per la prima volta il 19 genna io 1853, Roma, precedette di due mesi scarsi La Traviata; e col Rigoletto appartiene alla trilogia dei romanzi lirici di Verdi. Comprende meno ele menti autobiografici della Traviata, ma è ancora più soggettivo e personale, più furiosamente originale. Opera di una novità tellurica, d'una selvag gia verginità di idee e di sentimenti.
Soffri più delle altre di quel la che fu l'eclissi dell'arte di Verdi; ed ora che l'arte di Verdi ha riconquistato o va ricon quistando i ceti colti e gli intellettuali, è ammirata più delle altre, con maggiore entusiasmo e con una specie di sgomento, Col Tronstore. Verdi ripeté il colpo dell'Ernani; e ne ingrandi l'effetto. L'Ernani era stato come l'ampliamento del manifesto romantico di Victor Hugo: il Trovatore, nel cui fuoco bruciò subito il dramma di Garcia Gutierrez da cui Salvatore Cammarano aveva tratto. il libretto, fu oltre al resto il proclama del puro romanticismo musicale italiano.
Sarebbe superfluo raccontare di nuovo la storia di questo melodramma. Il fratello del conte di Lana scomparve da bambino: lo dicono arso vivo Verdi non era mai stato e non fu più libero come in quest'opera nella quale egli si scatenò manifestando la più segreta e gelosa parte del suo genio da una strega per vendicare la propria madre, la quale era stata mandata al rogo dal conte vecchio. Non è vero. La strega. Azucena, buttò sul fuoco. per errore, il proprio figliuolo: e poi si tenne l'altro bambino. Manrico, il Trovatore, è appun to fratello del conte di Luna; ma ignora la sua origine e del conte è rivale. poiché ambedue amano Leonora. Leonora ama Manrico.
I soldati del conte arrestano Azucena. Manrico si arma per liberarla. Cade anch'egli prigioniero del conte. Li aspetta il rogo: il Trovatore è proprio l'opera delle pire.
Leonors, dopo aver bevuto un veleno, si offre al conte a patto che egli rimetta in libertà Manrico. Siamo alla catastrofe: mentre Leonora si spe gne e le fiamme avvolgono il Trovatore. Azucena grida al conte che l'uomo ucciso dal fuoco era suo fratello.
Il conte di Luna è scortato da familiari e da armigeri: il Trovatore ha i suoi partigiani: Azucena vive tra gli zingari. Le religiose di un convento pregano invano per far tornare un po' di pace in un mondo cosi orgoglioso e feroce dove il canto stesso è spesso sfide, minaccia, soddisfazione della vendetta.
Verdi non era mai stato e non fu più libero come nel Trovatore, Nel Trovatore egli si scatenò, manifestando la più segreta e più gelosa parte del suo genio. Senza rispetto umano, senza ritegno, con impeto irresistibile. Non si curò di uscire dalle vecchie convenzioni del teatro d'opera: le devastà. Le mise a ferro e fuoco. Rischio perfino di compromettere l'avvenire della sua arte.
Sia detto come tra parentesi: ma non si capisce ancora bene perché, mentre nelle opere dei tanti compositori stranieri che venivano opposti a Verdi. l'elemento intensamente e sinceramente paesano, aborigeno, era considerato un grande pregio. nel Trovatore doveva essere per forza un difetto e un vizio. Forse perché per apprezzarlo anche e soprattutto nel Trovatore si sarebbe dovuto riconoscere che proprio Verdi, balzando fuori dalla tradizione aristocratica del melodramma italiane, era stato il primo a scrivere melodrammi irreduci bilmente nazionali ma di valore universale? E perché non avrebbe mai permesso a nes sun rielaboratore di mettere le sue sottili mani bianche su par titure come quelle del Trovatore?
I famosi ritmi di danza sono rimasti cosi quelli che volle lui; e si dica la stessa cosa degli accompagnamenti scoperti e clamorosi, dei contrasti vocali di gusto popolaresco e, aggiangiamo pure, plebeo; delle cabalette, di certe cadenze troppo facilmente fiorite, di certe sgargianti aperture corali. I Trovatore. per fortuna, non è stato mai riverniciato.
I personaggi sbucano come dalla foresta e vi aggrediscono: certo, vi fermano. Non solo Manrico, con le sue armi ei suoi canti, il conte di Luna. suo rivale sul campo e nella musica, la fatale Azucena, gli zingari, gli armati, gli aguzzini: ma anche quella Leonora che è non tanto una candida vittima quanto una fiera amazzone. Tutti questi personaggi hanno qualche cosa di eroicamente brigantesco che ricorda appunto l'Ernani ed anticipa la Carmen di vent'anni buoni. Sono usciti dalle antiche selve italiche; non hanno né un pas so né gesti né voce civilizzati: quando suonano, chiamano la gente a raccolta; quando cantano, fanno fremere ed esultare.
Il canto di Leonora, nono stante pezzi scritti apposta per i singoli virtuosi, s'intreecin cosi spesso e così genero samente col canto di Manrico e col canto del conte di Luna, che sarebbe dannoso o comun que un peccato considerarlo a parte. Accompagnata dal liuto, la voce del Trovatore viene subito ad esprimere la medesima apprensione e il medesi mo slancio estatico. Più che a contraddire. la voce del conte baritone s'innalza a ribadire e a intensificare i motivi del dramma.
Le maggiori frasi del Trovatore trascendono i personaggi, sono come scale di luce in un cielo tempestoso. Chi non le ricorda? Chi non le ha sempre dentro di sé? Tacea la notte placids Come d'aurato sogno. D'amor su l'ali rosee Sei tu dal ciel disceso?. Ab si, ben mio. Il balen del suo sorriso. Riposa o madre... Ai nostri monti ritorneremo » e tante altre. L'intero Trovatore è solcato da lampi, come il cielo di una notte d'agosto.
Il contrasto principale è quel lo dell'amore pieno di speranza della morte pronta ad inghiottire tutto e tutti. Alle giovanili forze seree si contrappongono forze sotterranee, cavernose. I vulcani eruttano continuamente fumo, fuoco e lava sotto uno splendido cielo. Azunon ha cena, personaggio nulla da invidiare alle figure dei miti cupi di Wagner, riassume nel suo animo tormentato la misteriosa violenza interna di una terra, l'Italia, di cui gli stranieri hanno sempre compreso ed ammirato solo l'amena superficie. Azucena è tragicamente femmina. Figlia amorosa e devota, ha voluto vendicare la madre. Madre, ha sacrificato alla sua furia, senza saperlo, il figliolette. Donna, ha adottato il bambino che odiava ed ha imparato ad amarlo nonostante tutto. La sua vita è un rogo. Quella pira è il suo incubo.
La prima volta che la vediamo, la vediamo seduta vicino al fuoco, La prima volta che canta, le escono di bocca come lingue di fuoco: Stride la vampa Il dramma è legato con crudeli ritorte a questa rozza canzone che si divincola invano, geme, urla, delira: non implora e non prega, mormora scongiuri, ignora la speranza, la carità, la fede: e pure ha una strug gente nostalgia della pace originaria, anela come Verdi alla pace soavemente ristabilita del cristianesime. Avete mai pensato a che cosa potesse signi ficare per Verdi la parola Trovatore.

L'UNITA
1957.05.29

RADIOCORRIERE.TV
1959 January 18 - 24 

Ritorno di un capolavoro
"IL TROVATORE,, di Verdi
 
L'oscuro dramma di Garcia Gutierrez - che Verdi trasfigurò in una vicenda profondamente umana, in cui i personaggi si muoveno in una atmosfera da tregenda, spinti da turibendi sentimenti ritorna questa sera alla TV nell'interpretazione di Marie Del Monaco, Lella Gencer Fedora Barbieri. Il vecchie melodramma che, nonostante le molte scorie e le manchevelesse, conserva intatta, a più di un secolo dalla nascita, la sua potenza d'urto nel cuore delle folle, fu rappresentata per la prima volta al Teatre Apollo di Roma il 19 gennaio 1853, presente l'autore. Nelle foto da sinistra: Mario Del Monaco (Manrice): Plinio Clabassi (Ferrando): Leila Gencer (Leonora); Ettore Bastianini (Il conte Luna)

RADIOCORRIERE.TV
1960 July 31 - August 05

Un'altra trasmissione lirica alla radio
“Il Trovatore„ di Verdi
 
con Fedora Barbieri, Mario Del Monaco e Leyla Gencer
 
Rispetto alla Traviata e al Rigoletto il Trovatore, che forma con le prime due opere la celebre trilogia popolare verdiana composta fra il 1851 e il 1853, si presenta drammaticamente meno unitaria. Nella Traviata e nel Rigoletto il personaggio protagonista sovrasta talmente l'azione, da ricondurre ogni motivo di questa, ogni suo aspetto, anche quelli apparentemente determinati da opportunità sceniche o decorative le scene di danza ad esempio), all'interesse centrale incarnatonella propria figura Pure nel Trovatore si erge potente mente il personaggio della zingara Azucena, combattuto fra la volontà di vendetta e l'amore materno, in compatibili fra di essi giacche la soddisfazione di un sentimento implica il sacrificio dell'altro; ma la figura di Azucena, nell'economia del dram ma, non si colloca in posizione cen trale. Ciò è dovuto naturalmente al libretto, che risente prima di tutto della farraginosità del dramma originario El Trobador del poeta spagnolo Garela Gutierrez, da cui Cammarano lo trasse, eppoi dal fatto di sgraziato che per l'improvvisa morte del Cammarano esso dovette essere terminato da un altro, il napoletano Leone Emanuele Bardare.
Se un tale libretto ostacolo l'unità drammatica dell'opera, esso d'altra parte, paradossalmente, stimolo l'im pulso al contrasto e al chiaroscuro espressivi, che costituiscono gli a spetti più personali dello stile verdiano.
Dopo il successo del Rigoletto, rappresentato alla Fenice di Venezia nel marzo del 1851, Verdi si era posto immediatamente al lavoro per le due nuove opere che aveva in mente: la Travista e il Trovatore. Al principio Verdi aveva portato innanzi il lavoro di composizione della Traviata e del Trovatore, contemporaneamen te, a Busseto, dove egli si era recato subito dopo l'andata in scena del Rigoletto, e dove era rimasto sino alla fine del 1851. Poi, tenuto conto della disponibilità dei cantanti che avrebbero interpretato le nuove ope re, aveva dato la precedenza al Trovatore, che venne rappresentato al teatro Apollo di Roma il 19 gen naio 1853, con un successo enorme.
In forza della musica l'opera si impose immediatamente, rinnovando il suo successo in tutti i principall teatri italiani e stranieri, al punto da conquistare una popolarità anche maggiore di quella del Rigoletto. La potenza della musica di Verdi tale infatti da risolvere nel proprio organismo perfetto e nella verità della propria espressione ogni in congruenza del libretto. Come scris se, al suo solito modo pittoresco, Bruno Barilli di Verdi e del Trovatore, ribolle, entro schemi rozzi, ma larghi e solidi, il suo tempera mento facinoroso e straordinario, sussulta la sua natura copiosa, scop piano i suoi canti capovolti, ripresi e innalzati clamorosamente. Chi abituato per una certa dimestichezza a fiecare le dita fra gli ingranaggi dei componimenti musicali, fa un salto indietro e rimane trasecolato al prorompere della sua foga folgo rante e irreparabile.. [Piers Sanit]

RADIOCORRIERE.TV
1961 September 24 - 31

Trasmissioni culturali del "Terzo"
La parabola del Cicisbeo
 
terzo: ore 21.30
 
Il Seicento era stato un secolo di leggi ferree, contro le quali non c'era altro rimedio che la violenza. Ed è per questo che il teatro spagnolo di quel secolo è tanto pieno di rapine a mano armata, sequestri di persona, rapimenti. Don Giovanni, el burlador de Sevilla, ammazza volentieri i commendatori che lo disturbano nelle sue imprese galanti, mentre gli innamorati di Calderon e di Lope soccombono sotto il peso della ragion di stato o fanno i conti con la rigidezza dell'onor coniugale. Nei tetri palazzi si annidano ombre alla Rembrandt; nei cortili è un continuo bivacco di soldati mercenari, che fanno e disfanno bagagli, smontano e rimontano armi. Ma venne il Settecento, a far luce e a trasformare quelle caserme in villini civettuoli, erigendo nei parchi fontane d'acqua cedrata, fra amorini di marmo e aiuòle fiorite. E pose fine alla guerra crudele, combattuta sinceramente ma con esito funesto dalle anime sensibili contro la società insensibile, inaugurando una serie di felici compromessi che resero a tutti meno aspra la vita. Il preziosismo teorico dei padri divenne la galanteria pratica. dei figli, cioè norma comune, registrata in un codice. Il minuetto ordinò le file di una nuova società, che muoveva i suoi passi leggeri e s'inchinava con grazia, eleggendo l'ipocrisia a maestro di cerimonie. Fu a questo punto che comparve il cicisbeo. I domestici lo annunziarono e i mariti gli corsero incontro, sorridenti e grati: era il personaggio innocuo, elegante, servizievole, che l'Illumini smo metteva a disposizione della famiglia, per smussare le punte della vita quotidiana. Il cicisbeo sollevava il marito da una quantità di piccole, fastidiose incombenze; impediva alla moglie di annoiarsi; faceva da parafulmine alle sue crisi di nervi, ai suoi isterismi. Soprattutto, era il cuscinetto destinato ad attutire l'urto fra due caratteri contrastanti, e, quello ancora più grave, tra questi due. caratteri e il resto del mondo. Era un mediatore morale e sentimentale, ma non un vero personaggio, perché una dama faceva consistere il merito principale nell'amare teneramente il cicisbeo senza goderne e nel darsi al marito con avversione. Stendhal, scendendo a Milano, osserva la nuova moda con un certo stupore, e Lady Mary Montague parla di strani animali, la cui specie. non credevo esistesse sulla terra, se io stessa veduti non li avessi co' miei propri occhi.. Mi hanno assicurato, aggiunge, che il Senato stesso della città di Genova incoraggiò questa professione per procacciare un'occupazione ai giovani che, prima, pour passer le temps, si scannavano a vicenda. (Sempre lo stesso buon concetto che hanno di noi gli inglesi). Sembrerebbe che questa signora, come Stendhal, non avesse mai notato, fuori d'Italia, l'esistenza di un cicisbeo. Dunque un prodotto nostrano? Ma i Valentini, gli alcovisti, gli uomini di camera, e tante altre figure che, dal Medioevo in poi, in Francia, Inghilterra e nella stessa Germania sembrano preludere al nostro eroe? Comunque, da un certo momento in poi, l'usanza attecchisce in tut ta Europa. E per tutto il Settecento, prospera rigogliosa, nonostante le satire, le pasquinate, le invettive dei moralisti per esempio il gesuita Do menico Maria Antinori, i quall non credono affatto che sia una moda innocente. Dama e cicisbeo danzano a mano a mano con familiarità più che da congiunti! Qui si contraggono simpatie di amori scambievoli che si chiaman platonici: che, in riguardo di molti, potrebbero definirsi plutonici, cioè amori d'Inferno!. Si sa, i moralisti non sono storicisti. Considerano gli effetti, senza guardare alle cause. Il che li induce a pensare che un costume debba durare in eterno, quando invece ha da fare soltanto il suo corso e assolvere, o bene o male, il suo compito. Che magari è quello, come nel caso del cicisbeo, di affrettare la fine di una società corrotta, già in stato di avanzata putrefazione. [Gastone Da Venezia]

"Il Trovatore"

con Mario Del Monaco

Il capolavoro verdiano ritorna questa sera alla radio (ore 21, programma nazionale) nella spe ciale edizione registrata dalla RAI con l'Orchestra e il Coro di Milano, sotto la direzione di Fernando Previtali, e con un cast» eccezionale di cantanti: Mario Del Monaco (Manrico); Fedora Barbieri (Azucena); Leyla Gencer (Leonora); Ettore Bastianini (il Conte di Lu na); Plinio Clabassi (Fernando); e Laura Londi nella parte di Ines.



LA STAMPA
1963.12.17

Si commemora Giuseppe Verdi

con un «Trovatore» d'eccezione
Protagonista è Mario Del Monaco - Il celebre tenore ha registrato l'opera
prima dell'incidente che lo terrà lontano dalle scene per qualche tempo
 
Una speciale edizione televisiva de II Trovatore andrà in onda questa sera sul Secondo Canale, nel quadro delle celebrazioni per il 150° anniversario della nascita di Giuseppe Verdi. E' soprattutto da notare il cast dei oantanti che interpreteranno il celebre melodramma verdiano: Mario Del Monaco (attualmente in clinica per un incidente: ma l'opera era aiti stata registrata), Leyla Gencer, Federa Barbieri, Ettore Bastianini, Plinio Clabassi, Laura Londi e altri. L'opera è stata concertata dal maestro Fernando Previtali che dirigerà l'Orchestra e il Coro (istruito dal maestro Benaglia) di Milano della Radiotelevisione. La regìa è stata curata da Claudio Fino.
Ricordiamo brevemente la vicenda: un paggio narra come alcuni anni prima una zingara facesse il malocchio a uno dei figli del conte di Luna, per cui fu bruciata viva. La zingara aveva una figlia che rapì il bimbo nella propria culla, col proposito di vendicarsi, e il giorno dopo, infatti, venne trovato lo scheletro di un bambino fra i resti di un rogo.
L'attuale conte di Luna, fratello del bimbo rapito e bruciato vivo, ama la giovane Eleonora, ma costei è innamorata idei Trovatore Manrico, che vive con la zingara, tua madre. Eleonora, credendo che Manrico foste morto in guerra, entra in un convento, ma il Trovatore la rapisce. Gli sbirri del conte di Luna arrestano la zingara, in aiuto della quale accorre il figlio Manrico, e anche costui viene arrestato. Eleonora chiede al conte la libertà di Manrico, promettendogli il suo amore, ma prima inferisce un veleno per non essere sua, e, quando entra nel carcere dov'è il Trovatore per comunicare a costui la liberazione, cade morta al suolo. Intanto il conte, fuori di sé, fa decapitare Manrico, mentre la zingara gli rivela che l'ucciso e il suo stesso fratello, poiché essa aveva gettato sul rogo, tanti anni prima, per tragico equivoco, il proprio figlio, adottando poi Manrico come tale. 

AVANTI
1963.12.18

CORRIERE DELLA SERA
1963.12.18

LA STAMPA
1963.12.18

LOS ANGELES EXAMINER
1986.09.14

OPERA NEWS

IL TROVATORE
Links to OPERA NEWS ARCHIVES related with Gencer’s performances

What to Read and Hear > Opera News > The Met Opera Guild

... may get a kick out of the post-synched black-and-white Italian video from the 1950s
under Fernando Previtali (Bel Canto, VHS; Leyla Gencer, Barbieri, Mario Del ...

Il Trovatore > Opera News > The Met Opera Guild

... investment plus a spectacular high C. Ettore Bastianini (di Luna) doesn't quite
match his astounding form in the 1957 RAI film opposite Leyla Gencer, but his

Video > Opera News > The Met Opera Guild

... Leyla Gencer, his Leonora, was not the spinto soprano dictated by tradition.
(Forget Milanov, forget Callas.) Never mind. She knew ... 

COMPLETE RECORDING                        

1957.05.29

Recording Excerpts [1957.05.29]
Tacea la notte placida Act I "Il Duello" Scena II  
Tace la notte! Immersa... Deserta sulla terra... Anima mia! Act I "Il duello" Trio & Finale  
D'Amor sull'ali rosee Act IV "Il supplizio" Scene I     
Udiste? Come albeggi Act IV "Il supplizio" Scene II
Finale Act IV "Il supplizio" Scene IV

VIDEO CLIP                    

D'Amor sull'ali rosee Act IV "Il supplizio" Scene I 
1957.05.29 Sound Recording by RAI
1976 Television Svizzera Italiana TSI Directed by Lorenzo Arruga 
Costumes by Pier Luigi Pizzi 
© Agatarco's Productions 

Recording Excerpts [1957.11.16]                      

All'erta, all'erta! Il Conte n'è d'uopo attender vigilando Parte Prima “Il Duello” Scene I
Abbietta zingara, fosca vegliarda! Parte Prima “Il Duello” Scene I
E il padre? Parte Prima “Il Duello” Scene I
Che più t'arresti? Parte Prima “Il Duello” Scene II
Tacea la notte placida Parte Prima “Il Duello” Scene II
Quanto narrasti di turbamento..., Di tale amor Parte Prima “Il Duello” Scene II
Tace la notte! Parte Prima “Il Duello” Scene III
Infida!... - Qual voce! Parte Prima “Il Duello” Scene IV
Vedi! Le fosche notturne spoglie Parte Seconda “La Gitana” Scene I
Stride la vampa! Parte Seconda “La Gitana” Scene I
Soli or siamo; deh, narra questa storia funesta Parte Seconda “La Gitana” Scene I
Non son tuo figlio? Parte Seconda “La Gitana” Scene I
Mal reggendo all'aspro assalto Parte Seconda “La Gitana” Scene I
L'usato messo Ruiz invia Parte Seconda “La Gitana” Scene I
Tutto è deserto, Il balen del suo sorriso Parte Seconda “La Gitana” Scene III
Qual suono!... Oh ciel! Parte Seconda “La Gitana” Scene III
Perché piangete? Parte Seconda “La Gitana” Scene IV
E deggio... e posso crederlo? Parte Seconda “La Gitana” Scene IV
Or co' dadi, ma fra poco giocherem ben altro gioco Parte Terza “Il figlio della Zingara” Scene I
In braccio al mio rival! Parte Terza “Il figlio della Zingara” Scene II
Giorni poveri vivea! Parte Terza “Il figlio della Zingara” Scene IV
Quale d'armi fragor poc'anzi intesi? Parte Terza “Il figlio della Zingara” Scene V
Ah! Sì, ben mio, coll'essere Parte Terza “Il figlio della Zingara” Final Scene
Di quella pira l'orrendo foco Parte Terza “Il figlio della Zingara” Final Scene
Siam giunti, ecco la torre Parte Quarte “Il supplizio” Scene I
D'amor sull'ali roseé Parte Quarte “Il supplizio” Scene I
Miserere d'un'alma già vicina Parte Quarte “Il supplizio” Scene I
Udiste? Come albeggi la scure al figlio, ed alla madre il rogo! Parte Quarte “Il supplizio” Scene II
Conte..., Né cessi? Parte Quarte “Il supplizio” Scene II
Madre?... Non dormi? Parte Quarte “Il supplizio” Scene III
Se m'ami ancor, se voce di figlio Parte Quarte “Il supplizio” Scene III
Ciel!... non m'inganna quel fioco lume? Parte Quarte “Il supplizio” Scene IV
Ti scosta... - Non respingermi Parte Quarte “Il supplizio” Scene IV

TELEREGGIO
2018.09.21
Excerpts of Il Trovatore from the TV Programme of "Gianni's Living Room"
Dalla transmissione di Telereggio "Il salotto Gianni" alcuni momenti del Trovatore Rai 1957


FROM LP BOOKLET
IL TROVATORE
L'OPERA [ITALIAN]
BY LORENZO ARRUGA

Questo che stat eper sacoltare il Trovatore di Giuseppe Verdi. Se non avete pianto mai sul Trovatore, mi dispiace per voi: quando accadrà, il vostro rapporto con il teatro d’opera diventerà un’altra cosa. Se invece siete già dei nostri, sapete come vanno le cose: anche questo non potrà essere del tutto il vostro Trovatore. Ognuno infatti cerca dentro quest’opera elementare e misteriosa un’immagine che non sa, e che rassomiglia alla sua. Nessuna esecuzione la potrà mai dare. E la ragione di fondo è che, proprio quando l’interprete raggiunge l’esatta definizione di ciò che aveva lungamente cercato, fa scattare in chi ascolta l’esperienza d’una cosa così vera, che la vertigine della storia, il trasalimento dell’anima, l’esaltazione del teatro in musica in questa partitura fanno sentire che il cammino è appena cominciato.

C’é anche una ragione di storia e di struttura. La vicenda, da quando Pirandello l’ha fatta raccontare a Mommina in Questa sera si recita a soggetto, non ha più ragione d’esser considerata oscura né confusa: sono sorti e storie complesse di persone e di fatti che vengono a rivelarsi proprio mentre entrano violentemente a conflitto; e Verdi chiede di far sentire quanto vengano di lontano, proprio nel momento in cui si bruciano. La drammaturgia musicale dà credito alle “forme chiuse”, con i recitativi declamati, le arie distese, i concertati solenni, i cori di carattere e d’ambiente e di narrazione; ma i recitativi devono gravitare verso le arie, le arie devono essere dette come parole confessate, i concertati e i cori vissuti come momenti della gente che sta dentro all’azione e insieme sente il fatale convegno di chi canta e chi ascolta nel rito teatrale. L’orchestra, spoglia, essenziale, violenta, vuole la tinta integra verdiana, dove tutto si rifrange e nulla deve disfarsi, dove l’evidenza dev'essere immediata, ma pudica, e la bellezza essere data perchè necessaria al vero. E infine, difficoltà decisiva, questa partitura, datata 1853, è posta esattamente e come nessun’altra nel punto in cui il belcanto si rinsalda nella vocalità romantica, alta, eroica, ardimentosa, senza perdere la vaporosa, fantastica, sensuale leggerezza della grande tradizione del primo Ottocento.
C’é chi preferisce ascoltare il Trovatore in qualche stagioncina di provincia, approssimativo, rustico; si prega meglio nelle chiese di campagna. ‘Ma chi ama cercare non soltanto un ripasso mentale di quanto già si sa su quest’opera, ma anche un’avventura, un’attenzione alle rivelazioni e ai contributi interpretativi, deve muovere da una situazione concreta verso il Trovatore ideale, quello infinito, per così dire. In questo caso, la situazione concreta è l’esecuzione della RAI del 1957.
Ecco. Fernado Previtali la governa: saldo, attento, con la forza ed i limiti di chi ripassa la lezione tramandata. Piccoli adattamenti della tradizione; e il taglio consueto ma imperdonabile della cabaletta di Leonora “Tu vedrai che amore in terra”, pur disponendo dell’interprete che se la sarebbe divorata in un baleno. Mario Del Monaco è Manrico, Ettore Bastianini è il Conte di Luna, Fedora Barbieri Azucena; tre nomi dei più grandi. Ancora la rivoluzione del canto non era affermata; Maria Callas isolata vinceva riscoprendo Anna Bolena ed il segreto del soprano drammatico d’agilità, ma si era al tempo delle intuizioni, non delle scoperte diventate metodo critico. Così, i tre grandi cantanti si buttano sulle loro parti con forza, con impeto emozionante: eroi tutti d’un pezzo, credibili; pare che Manrico ed il Conte debbano sempre per davvero venire a duello; i due famosi contrasti, nel terzetto Fernando Previtali la governa: saldo, dell’atto primo e nella scena al convento sono: trascinanti; Azucena è vigorosa, incessante, generosa. E poi, tre grandi voci. Hanno la virtù della fiducia senza dubbi, senza chiaroscuri: chi mai avvertirà che i due sono fratelli, chi mai sentirà la presaga stanchezza nelle cantilene di lei? L’impatto eloquente prevale: come notava Roland Barthes scrivendo dell’arte vocale borghese, le intenzioni sono sempre sopraindicate, se si deve dire ‘‘orrore” bisogna che si drammatizzino anche le erre, in modo che proprio a nessuno sfugga che si tratta di orrori particolarmente terribili. Mario Del Monaco canta a gola spiegata, se ne avvertono i muscoli tesi, il gesto tenorile. Ettore Bastianini si aggiusta con le agilità, cerca di evitare le mezze tinte: fa affidamento alla bellezza impressionante del colore di voce, alla dignità malinconica e severa del personaggio, alla presenza umana. Fedora Barbieri si inventa continuamente una gioia di cantare e di stupire e di soffrire, da madre e zingara che ha temprato all’aria i polmoni di vagabonda.
Leyla Gencer pare arrivata in questo mondo da tutt'altra regione. Forse ha letto bene quello che ha scritto Gavazzeni sul Trovatore come Passione secondo Verdi; forse l’origine turca e la scuola della Arangi Lombardi l’hanno portata a cercare il brivido della parola edil respiro della musica prima e dopo il problema dell’emissione della voce; forse l’esempio della Callas le ha rivelato come la tragicità del melodramma si esprima non per enfasi ma per fedeltà allo spartito e allo stile del canto, fatto di scura sostanza drammatica e di sospese vertiginose aeree fioriture. Questo Trovatore è il documento d’un momento in cui in una compagnia di canto due modi ineramente diversi di concepire la tecnica e la partecipazione convivevano. Leyla attraversa lo spazio del Trovatore radiofonico come fosse in teatro; per lei la parola cantata deve spaziare fra le torri, i giardini, gli antri della prigione, e il cavo buio dove sta il pubblico, platea, palchi, loggione. Quando incontra parole un poco arcaiche, letterarie, vi indugia come ad un incontro polemicamente felice, quasi che la realtà fosse da ricercare nella poesia e non nella funzionalità delle cose: quando s’imbatte in un “mio”, in un “tua”, s'impossessa, si dona, la Leonora lunare prende carne e sangue. A volte ha sobbalzi al limite della. rottura: “‘Ch’ei m’oda, che la vittima fugga”; a volte un trillo lieve la smemora lontano. Quando canta “Di te, di te scordarmi!’’, la tenerezza, lo strazio, lasciano trapelare anche un’ombra d’offesa. Perbacco, è o non è Leonora, che non dimentica? Aveva o non aveva dettto già all’inizio con quella confessione incredula: “nol vidi più”? E s’era capito che non avrebbe mai scordato. Non c’è parola, frase, di questa Leonora, che contraddica il suo amore e il suo destino, la coerenza integra del suo personaggio. Malinconica dall’inizio per la ‘‘civil guerra”, quando s'incontra con il luogo ove gemono di stato i prigionieri non ha più dolore né sorpresa: deve correre al compimento dell’antico destino, che è morire per salvare. Leonora, ovvero Leyla, la vertigine del melodramma.

FROM LP BOOKLET
IL TROVATORE
OPERA [ENGLISH]
BY LORENZO ARRUGA

The opera you are about to hear is Giuseppe Verdi’s Il Trovatore. If you have never cried over Trovatore; it’s a pity: when it does happen, your relationship «with opera theatre will be transformed. If, on the other hand, you already belong to our club, you know what it’s all about. Even so, this will still not be “your” Trovatore. Each one of us, in fact, seeks some unknown image in this basic and mysterious opera that in some way resembles us. But no performance will ever give this to us. And the primary reason for this is that just when the protagonist has achieved the exact definition of what he or she has for so long been seeking, suddenly the listener experiences something so real, that the frenzy of the story, the shock of the spirit, the exaltation of theatre-in-music in the score, makes one feel as though one’s search has only just begun.
There is also an historical and structural reason for this. Ever since Pirandello explained the plot to us through Mommina in his Questa sera si recita a soggetto, it should no longer be considered either obscure or confusing. Here are a series of complex events and stories about persons and facts which are revealed precisely when they become violently conflicting; and Verdi also expects us to sense the distance from which these events have come to us, precisely at the moment in which they conflagrate. The musical dramaturgy justifies the use of ‘closed forms” with declamatory recitatives, soaring arias, solemn concertati, and a chorus which serves as background, as a collective personality, as a narrator of events; but the recitatives must gravitate towards the arias, the arias must be expressed as though they were a sort of “confession’”, the concertati and the choruses lived as though each individual member is a participant of the action and who contemporaneously ‘feels’’ the fatal meeting of both performer and witness of the theatrical rite. The orchestra - naked, essential, violent demands complete Verdian colour, in which everything refracts and nothing unravels, in which all evidence must be obvious but modest, and in which beauty is an essential part of the truth. Finally, and most difficult, this score dated 1853, is placed precisely and unlike any other, at the exact point where belcanto is consolidated with Romantic vocal art: noble, heroic, bold, but still retaining the vaporous, fantastic, sensual lightness of the great Ottocento tradition.
Some prefer hearing Trovatore during the brief season of some small provincial theatre, where it is in rough copy, rustic; they say one can pray better in a country church. But there are those who prefer not only to mentally review what they already feel and know about this opera, but who are also in search of an adventure, attention to certain new revelations and contributions of the interpreters, and so must move from a more or less concrete situation towards that of an “ideal’’ Trovatore, one that is infinite, so to speak. In this case the “concrete situation” is the RAI performance of 1957 contained in this album.
At the helm is Fernando Previtali: firm, alert, with the force and limitations of one who is passing on to us a lesson carefully learned; small adaptations of tradition, and the usual but unforgiveable cutting of Leonora’s cabaletta “Tu vedrai che amore in terra’’ despite the presence of an interpreter who could have tossed it off with ease. Mario Del Monaco is Manrico, Ettore Bastianini is the Conte di Luna, Fedora Barbieri is Azucena: three of the great names in opera. This was in the era before the so-called vocal revolution: a solitary Maria Callas was surging ahead discovering Anna Bolena and the secrets of the “soprano drammatico d’agilità”’, but it was also the era of intuition, not of discoveries which were eventually to become methods of criticism. Thus, these three great singers throw themselves into their parts with force, with emotional impetus: all heroes of a piece, credible. It seems that Manrico and the Count really must always duel with each other; the two famous contrasts in the trio of Act I and in the convent, scene are overwhelming; Azucena is powerful, incessant, generous. And not least of all, three great voices, each with the merit of being completely secure, without chiaroscuro effects: but - who then will inform us that the two heroes are brothers; who will ever guess Azucena’s fatigue from her cantilena? An eloquent impact prevails as Roland Barthese has pointed out in writing about the art of bourgeois singing, the intentions are always carefully indicated: if one has to sing “orrore” (horror) even the ‘1°’ must be dramatized so that nobody will fail to understand that it is really a horrible situation. Mario Del Monaco sings with an open throat; one can actually feel the tension in his throat muscles, his tenor’s “grand gestures.” Ettore Bastianini is outstanding for his agility, and seeks to avoid any shading of tones, entrusting his personage to the impressive beauty of his vocal colour, to its human aspects. Fedora Barbieri continuously re-creates the joy of singing, of surprise and of suffering, a mother, and a gypsy whose vagabond lungs have been tempered by the open outdoors.
Leyla Gencer seems to have arrived in this particular world from an entirely different planet. Perhaps she had read what Gavazzeni once wrote about Trovatore being the Passion according to Verdi; perhaps her Turkish origin and studies with Arangi Lombardi have guided her in seeking out the excitement of each word and have taught her to place primary importance on phrasing before and after the problem of producing vocal sound; perhaps the example of Callas had revealed to her how tragedy in opera is expressed not so much through emphasis but rather, through fidelity to the score and to the vocal style, and that it consists of secure dramatic substance and of vertiginous, suspended aerial fioriture. This Trovatore documents a situation where within a single cast one can find two completely different methods of conceiving both vocal technique and the act of participation. Leyla inhabits the radio space of this Trovatore broadcast as though she were singing on an opera stage; for her the sung word must reach beyond the towers, the gardens, and the dungeons of the prison; beyond the dark orchestra pit to the audience in the stalls, balconies and gallery. When she encounters those archaic, literary terms that fill this libretto, she lingers over them as though each were some polemically felicitous meetings, almost as though the reality of the situation were to be found in the poetry rather than in the function of things. When she comes across a “mio” (my) or a “tua” (your), she takes full possession of the meaning of the word, gives completely of herself, transforming the lunar Leonora into a carnate being. There are times when she jolts along almost to the breaking point, as in “Ch’ei m’oda, che la vittima fugga”; at times a light trill carries her eons away. When she sings “Di te, di te scordarmi” the tenderness and suffering also hints of offense. Goodness! is it or is it not Leonora who never forgets? Had she or had she not already incredulously confessed earlier: “non vidi più’? And it was immediately clear that she would never again have fogotten. There isn’t a single word, a single phrase in this Leonora that contradicts her love or her destiny, the integral coherence of her personage. Melancholic from the beginning because of the “civil guerra” (civil war), when she comes upon that place where the prisoners of State are interred, she is neither sad nor surprised; she must continue towards the conclusion of an ancient destiny, which is that she must die in order to save. Leonora, or, in other words, Leyla, a vertiginous reality in melodrama.

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IL TROVATORE
L'OPERA [FRENCH]
BY LORENZO ARRUGA

C’e que vous allez entendre est Il Trovatore de Giuseppe Verdi. Si vous n’avez jamais pleuré en l’écoutant, je le regrette pour vous : lorsque cela arrivera, vos rapports avec l’opéra changeront. Tandis que si vous étés déjà des nôtres, vous savez comment cela se passe: aussi celui-ci ne pourra pas être complètement votre Trovatore. En effet, chacun cherche 4 l’intérieur de cette œuvre élémentaire et mystérieuse une image qu’il ne connait pas et qui ressemble 4 la sienne. Aucune. Exécution ne pourra jamais la donner. Et la raison fondamentale est que justement lorsque l’interprète atteint l’exacte définition de ce qu’il avait longtemps cherché, il fait naître chez qui l’écoute l’expérience d’une chose si vraie que le vertige de l’histoire, le tressaillement de l’âme, l’exaltation du théâtre en musique dans cette partition font sentir que le chemin est à peine entrepris.
Il y a aussi une raison d’histoire et de structure. L’épisode, depuis que Pirandello l’a fait raconter à Mommina dans Questa sera si recita a soggetto (Ce soir on improvise) n’a plus de raison d’être considéré ni obscur, ni confus : ce sont des destins et des histoires complexes de personnes et de faits qui se révèlent justement alors qu’ils entrent violemment en conflit ; Verdi demande de faire sentir comme ils viennent de loin, au moment mémé où ils se brèlent." La dramaturgie musicale fait crédit aux ‘“‘formes fermées’’, avec les récitatifs déclamés, les airs déployés, les morceaux d’ensemble solennels, les chœurs à caractère, d’ambiance et de narration; mais les récitatifs doivent graviter vers les airs, les airs doivent être dits comme des paroles confessées, les morceaux d’ensemble et les chœurs doivent être vécus comme des moments des gens qui font partie de l’action et en même temps sentent la réunion fatale de ceux qui chantent et de ceux qui écoutent dans le rite théâtral. L’orchestre dépouillé, essentiel, violent, veut la teinte intégrée de Verdi où tout se réfracte et rien ne doit se défaire, où l’évidence doit être immédiate, mais pudique, et la beauté donnée parce que nécessaire au vrai. Pour finir, difficulté décisive, cette partition, datée de 1853, se trouve exactement, et comme aucune autre, au moment où le bel canto se rafferme dans le caractère vocal romantique, haut, héroïque, hardi, sans perdre la légèreté vaporeuse, fantastique et sensuelle de la grande tradition du début du dix-neuvième siècle.
Certains préfèrent entendre le Trovatore a l’occasion d’une petite saison quelconque de province, une exécution approximative, rustique ; on prie mieux dans les églises de campagne. Mais celui qui aime chercher, non seulement une révision mentale de ce que déjà on sait de cette oeuvre, mais aussi une aventure, une attention aux révélations et aux contributions interprétatives, doit s’éloigner d’une situation concrète et aller vers le Trovatore idéal, l’infini pour ainsi dire. Dans ce cas, la situation concrète est l’exécution de la RAI de 1957.
Voici : Fernando Previtali la dirige, ferme, attentif, avec la force et les limites de qui repasse la legon transmise. Petites adaptations de la tradition ; et la coupure habituelle mais impardonnable de la cabalette de Leonora “Tu vedrai che amore in terra” (Tu verras quel amour sur terre), bien que disposant de l’interprète qui n’en aurait fait qu’une bouchée. Mario Del Monaco est Manrico, Ettore Bastianini est le Comte di Luna, Fedora Barbieri, Azucena: trois noms parmi les plus grands. La révolution du chant n’était pas encore affirmée ; Maria Callas, isolée, triomphait redécouvrant Anna Bolena et le secret du soprano dramatique d’agilité, mais on était a l’époque des intuitions, non des découvertes devenues méthode critique. C’est ainsi que les trois grands chanteurs se jettent sur leurs ròles avec force, avec une impétuosité émotionnante: héros tout d’une pièce, croyables. Il semble que Manrico et le Comte doivent toujours, pour de vrai, en venir au duel ; les deux célèbres contrastes dans le trio du premier acte et dans la scène au couvent sont entrainants ; Azucena est vigoureuse, éternelle, généreuse. Ensuite, trois grandes voix.
Elles ont la vertu de la confiance sans incertitudes, sans clairs-obscurs : qui pourra jamais ‘se rendre compte que ce sont deux frères, qui sentira jamais la fatigue pressentie dans la cantilène ’Azucena? L’impact éloquent prévaut ; comme Roland Barthles le notait en écrivant au sujet de l’art vocal bourgeois, les intentions sont toujours indiquées audessus, si on doit dire ‘‘orrore’’, il faut aussi dramatiser même les “°°, de façon à ce qu'il n’échappe vraiment à personne qu'il s’agit d’horreurs particulièrement terribles. Mario Del Monaco chante à gorge déployée, on sent ses muscles tendus, le geste de ténor. Ettore Bastianini s’arrange avec les agilités, cherche à éviter les demi-teintes : il compte sur la beauté impressionnante de la couleur de la voix, sur la dignité mélancolique et sévère du personnage, sur la présence humaine. Fedora Barbieri s’invente continuellement une joie de chanter et d’étonner et de souffrir, comme mère et bohémienne : qui a aguerri a lair ses poumons de vagabonde.
Leyla Gencer semble être arrivée dans ce monde d’une toute autre région. Peut-être a-t ’elle lu avec attention ce que Gavazzeni a écrit au sujet du Trovatore comme La Passion selon Verdi; peut-être que son origine turque et l’école de Arangi Lombardi l’ont amenée à chercher la griserie des paroles et la Fagon d’être de la musique avant et après le problème de l’émission de la voix; peut-être que l’exemple de Maria Callas lui a révélé que le tragique du mélodrame ne s’exprime pas par emphase mais par fidélité à la partition et au style du chant, fait d’une sombre substance dramatique et de fioritures aériennes et vertigineuses. Ce Trovatore est le document d’un moment dans lequel, dans une compagnie de chant, cohabitent deux façons complétement différentes de concevoir la technique et la participation. Leyla traverse l’espace du Trovatore radiophonique comme si elle était au théâtre; pour elle la parole chantée doit planer entre les tours, les jardins, les antres de la prison et le trou sombre où se trouve le public, parterre, loges, poulailler. Lorsqu’elle tombe sur des paroles un peu archaïques, littéraires, elle Sy attarde comme pour une rencontre polémiquement heureuse, comme si la réalité devait être recherchée dans la poésie et non dans le caractère fonctionnel des choses ; quand elle rencontre un “mio”, un “tua”, elle s’en empare, elle se donne, Leonora lunaire qui prend chair et sang. Parfois elle a des sursauts a la limite de la rupture : “Ch’ei m’oda, che la vittima fugga” (qu'il m’écoute, que la victime s’enfuie), parfois un trille léger l’oublie dans le lointain. Quand elle chante ‘Di te, di te scordarmi” (si je pouvais t’oublier), la tendresse, le tourment laisse deviner aussi une ombre d’offense. Voyons, est-elle ou n’est-elle pas Leonora, celle qui n’oublie pas ? Avait-elle ou n’avait-elle pas dit déjà au début avec. Cette confession incrédule : “nol vidi più ?” (Ne l’ai-je plus vu ?). Et on avait compris qu’elle n’aurait jamais oublié. Il n’y a pas de phrase, de parole de cette Leonora qui contredise son amour et son destin, la cohérence intègre de son personnage. Mélancolique depuis le début a cause de la ‘guerre civile” lorsqu’elle se trouve dans l’endroit où les risonniers
D’Etat gémissent, elle n’a plus ni douleur, ni surprise: elle doit courir à l’accomplissement de l’antique destin qui est de mourir pour sauver. Leonora, ou bien Leyla le vertige du mélodrame.

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IL TROVATORE
A LETTER FROM VERDI TO CAMMARANO
1851.04.09
Caro Cammarano,

Ho letto il vostro programma, e voi uomo di talento e di carattere tanto superiore non vi offenderete se io meschinissimo mi prendo la liberta di dirvi: che se questo soggetto non si puo trattare per le nostre scene con tutta la novità e bizzarria del dramma spagnuolo è meglio rinunziarvi.
 
Parmi, o m'’inganno, che diverse situazioni non abbiano la forza, e l'originalità di prima, e che sopratutto Azucena non conservi il suo carattere strano e nuovo: parmi che le due grandi passioni di questa donna amor figliale, e amor materno non vi siano più in tutta la loro potenza. Per esempio non amerei che il Trovatore restasse ferito nel Duello. Questo povero Trovatore ha si poco per Lui che se gli togliamo valore cosa gli resta?... Come interessare Leonora si alta di rango? Non mi piacerebbe che Azucena facesse il racconto ai Zingari; che nel pezzo concertato 3 parte dicesse: Tuo figlio fu arso vivo?... etc. ...ma io non v'era? etc. etc. ... e finalmente non la vorrei pazza in ultimo. Desidererei che lasciaste la grande Aria!! Eleonora non ha parte col canto dei morti e la canzone del rovatore, e mi sembra questa una delle migliori posizioni per un’Aria. Se temete di dare troppa parte ad Eleonora, lasciate la Cavatina. Per esprimere meglio il mio pensiero vi stenderò più dettagliatamente
come io sento intorno questo soggetto...
 
Parte 1? - Prologo:
 
1° pezzo. Sta bene il Coro e racconto dell’Introduzione. Sopprimere la Cavatina Leonora e farvi un grandioso Terzetto cominciando dal
2° Rec.°: De Luna, Canzone Trovatore, Scena Leonora, Terzetto e finale, etc. etc. Parte 2 Zingari, Azucena e Trovatore ferito in battaglia
3° Zingari cantano un coro strano fantastico e mentre bevono Azucena intuona una canzone lugubre: i Zingari interrompono perchè troppo funesta... Funesta come la storia che ne fi l'argomento. Voi non la conoscete (Sarai vendicata!). Queste parole scuotono il Trovatore che, fino a questo momento sarà rimasto profondamente assorto. L'alba sorge ed i Zingari si disperdono sulla montagna ripetendo qualche strofa del loro canto etc. Il Trovatore, rimasto solo colla madre prega raccontargli la storia che tanto la fa inorridire... Racconto etc. ... e Duetto con Alfonso tenendo forme libere e
nuove.
4° Duetto con Alfonso. Non mi pare conveniente che Azucena faccia il racconto in presenza dei Zingari, lasciando sfuggire qualche parola che il figlio del De Luna fu da Lei rapito, ché essa ha fatto giuramento di vendicare la madre...
5° Scena della monacazione etc. etc. e finale.
 
Parte 3
 
6° Coro e romanza De Luna.
7° Pezzo concertato. Il Dialogo ossia interrogatorio del Dramma spagnuolo, conserva bene il carattere della Zingara. D'altronde se Azucena si discopre per quella che è subito si dà nelle mani del nemico e si priva dei mezzi di vendicarsi. E° bene che Fernando metta in sospetto il conte, e che il Conte, nominandosi De Luna, faccia trasalire Azucena. In questo modo essa è scoperta da Fernando, e non si scopre da se stessa se non colle parole che le sfuggono: Taci che se lo sa m’uccide. Molto semplici e belle sono le parole d’Azucena: Dove vai? Non so: vissi sulle montagne... avea un figlio m’abbandonò... vado a cercarlo...
8° Rec.° Leonora. Rec.° e racconto dei ogno di Manrique seguito da
9° Duetto fra lui e Leonora. Scopre allu fidanzata che è figlio d'una Zingara. Ruiz annunzia che sua madre è prigioniera: fugge a salvarla etc. . .
 
Parte 42
 
10° Grande Aria Leonora, intercalata col canto dei moribondi e Canzone del Trovatore.
11° Duetto Leonora e De Luna...
12° Non fare Azucena demente. Abbattuta dalla fatica, dal dolore, dal terrore, dalla veglia non può fare un discorso seguito. I suoi sensi sono oppressi ma non è pazza. Bisogna conservare fino alla fine le due grandi passioni di questa donna, l'amor per Manrique, e la feroce sete di vendicare la madre. Morto Manrico il sentimento della vendetta diviene gigante e dice con esaltazione... si Luci luci egli è... tuo fratello... Stolto!... Sei vendicata o madre!! Vi prego di perdonarmi l’ardire: io avrò torto certamente ma non potevo a meno di non dirvi tutto quello che sentivo. Del resto il mio primo sospetto che questo dramma non vi piacesse è forse vero. Se ciò è, siamo ancora a tempo a rimediare piuttosto che far cosa che non vi piace. Io tengo pronto un'altro sogetto semplice, affettuoso e che si può dire, quasi fatto: se voi lo volete io ve lo spedisco e non pensiamo più al Trovatore. Scrivetemi una parola in proposito. E voi se avete un sogetto ditemelo... Addio addio mio caro Cammarano. Scrivetemi subito e credetemi per la vita
 
Vostro Aff.

G. Verdi 

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IL TROVATORE
BY RENATO BOSSA

Il Trovatore è il melodramma centrale della trilogia popolare verdiana che comprende Rigoletto e La Traviata. Andò in scena al Teatro Apollo di Roma il 19 gennaio 1853, ma già due anni prima (e cioè precedentemente alla rappresentazione del Rigoletto), lo stesso Verdi (Roncole di Busseto, Parma 1813-Milano 1901) aveva proposto a Salvatore Cammarano di ricavare un libretto dal dramma El Trovador di Antonio Garcia Gutiérrez, una fosca e drammatica storia che, riunendo morti, banditi, zingari e duelli in una romantica vicenda di grande tensione passionale, riscuoteva enorme successo fin dal 1836 nei teatri di tutta Europa. Cammarano, come librettista, era quanto di meglio Verdi potesse attendersi in quel periodo, cosicché evitò di trattarlo con la bruschezza che gli era abituale nei suoi rapporti con gli autori dei testi: l'unica raccomandazione fu che avesse di mira « le pretese del pubblico, che vuol brevità». La vicenda risultò così, e certo non solo per l'indicazione di Verdi, più che breve, addirittura mancante in più punti dei necessari collegamenti che avrebbero potuto meglio spiegare alcuni momenti centrali della storia. Dal racconto balenante di Ferrando all'inizio («Di due figli vivea padre beato... »), scuro non solo per la scelta dell'unico timbro vocale di basso dell'opera, ma anche per l'accompagnamento di clarinetti e fagotti (e proprio per questo colore indicativo delle misteriose, lontane origini della leggenda), all'esclamazione finale di Azucena Egli era tuo fratello!...», cui risponde il disperato e E vivo ancor!... del Conte di Luna inorridito», lo spettatore è condotto attra verso una vicenda nel corso della quale non di rado gli mancherà la certezza di uno svolgimento logico e consequenziale. Ma è proprio l'assenza di una semplice vicenda drammatica e il fascino di un ingarbugliato viluppo che colpí Verdi e che lo fece rinunciare alla struttura del dramma a prota gonista come Rigoletto e Traviata. Non c'è, infatti, nel Trovatore una figura capace di reggere sulle sue spalle l'intero corso dell'opera. Il titolo fa riferimento a Manrico; ma non è di lui più centrale il personaggio di Azucena? E Leonora? Più che allo svolgimento di una vicenda, Verdi si dedica qui alle descrizioni di varie psicologie, simili tra loro per la forte carica passionale che le anima, ma differenti per la qualità di queste passioni. Dall'amore di Leonora (« Tacea la notte placida... »), pronta al sacrificio ma terribile nel suo odio per il Conte di Luna (duetto con lo stesso nella quar ta parte), alle misteriose apparizioni di Azucena (« Stride la vampa!... »), che a stento si placa in un duettino (« Ai nostri monti...»), dall'aria. Il balen del suo sorriso...», unica del baritono Conte di Luna, un personaggio nega tivo cui pure Verdi concede frequenti momenti di abbandoni melodici, all'impeto eroico di Manrico che pare esplodere nella celeberrima cabaletta «Di quella pira...» (coll'altrettanto famoso do di petto sulle parole « All'armi che non è nella partitura originale ma che, come scrisse Gabriele Baldini, era forse nello spirito più segreto del pezzo, che era di detto sapore agonistico »), l'opera è un susseguirsi di pezzi chiusi, di scene dedicate allo scavo di una situazione psicologica. Non un protagonista dunque, ma cinque prime parti, se si conta anche Ferrando, le cui vicende appaiono strettamente e misteriosamente intersecate in quest'opera senza tempo, e che s'incontrano invece musicalmente in pezzi d'insieme di mirabile bellezza e senso drammatico. Per tutti si ascolti la celebre scena del Miserere...> all'inizio della quarta parte, in cui il miracoloso canto di Leonora è contrappuntato, con pauroso effetto di ineluttabilità, dal coro dei monaci e chiarito, nella sua amorosa disperazione, dall'aria di Manrico. Se un centro, un punto di equilibrio bisognerà trovare in quest'opera, forse sarà meglio cercarlo in un simbolo, un elemento dalle molte accezioni: il fuoco. Attorno ad esso avviene il racconto iniziale, su di esso s'incentra la raccapricciante narrazione di Azucena, ipnotico è il richiamo della pira» in Manrico, sulle fiamme del cui rogo cala il sipario di quest'opera. Sotto la sorvegliata bacchetta di Fernando Previtali appaiono in questa registrazione, realizzata dalla RAI di Milano per un film televisivo, alcune tra le più applaudite voci verdiane del nostro tempo. Dallo squillante ed eroico Manrico di Mario Del Monaco alla straordinaria varietà di accenti e di colori della Leonora di Leyla Gencer, colta qui all'apice della sua carriera di grande interprete verdiana e donizettiana, al fosco e appassionato Conte di Luna dell'indimenticabile Ettore Bastianini, all'allucinata e stravolta Azucena di Fedora Barbieri, che diede di questo personaggio una caratterizzazione terrificante e drammaticissima sui palcoscenici di tutto il mondo. Un Trovatore che, malgrado i nuovi divi che in anni più recenti hanno affrontato il capolavoro verdiano con più aggiornati criteri di rigore filologico, difficilmente potrà essere superato per i sublimi abbandoni lirici e la rovente intensità drammatica che lo caratterizzano.
 
La Vicenda
 
Atto primo. Nell'atrio del palazzo dell'Aliaferia, Ferrando, uomo d'arme del Conte di Luna, racconta ad alcuni soldati l'orribile delitto di cui fu vittima il fratello minore del conte stesso: si chiamava Garzia, e una mattina presso la sua culla venne sorpresa una zingara che, sospettata di sor tilegio, fu condannata al rogo. La figlia di questa, Azucena, giurò allora di vendicarsi: qualche tempo dopo il bambino veniva rapito in circostanze misteriose, e nel luogo stesso ove le fiamme avevano arsa la presunta strega furono rinvenute alcune ossa infantili carbonizzate. Nessuno dubitò che quei miseri resti appartenessero al fanciullo rapito, il cui padre, sconvolto dal dolore fino a morirne, si fece giurare dal figlio superstite che nulla sarebbe rimasto di intentato per far luce sullo spaventoso crimine. Nei giardini del palazzo, Leonora rivela ad una confidente il grande amore che la lega ad uno sconosciuto eroe che in suo onore aveva combattuto e vinto un torneo cavalleresco; soltanto un'altra volta le era riuscito di scorgerlo sotto le sue finestre, mentre intonava un canto d'amore accompagnandosi ad un liuto, ma ora la guerra civile che insanguina la regione le impedisce di rivederlo («Che più l'arresti?... Tacea la notte placida... Di tale amor...»). Allontanatesi le due donne, si avanza il Conte di Luna, il quale, follemente innamorato di Leonora, viene alla sua ricerca per confessarle il proprio sentimento. Ma una voce e gli accordi di un liuto lo fanno trasalire: è Manrico, il trovatore di cui Leonora è invaghita, che si avvicina e canta il suo amore alla donna. Il Conte allora, furente di gelosia, riconoscendo in Manrico non soltanto il rivale, ma altresì un suo nemico, proscritto e condannato a morte, lo costringe a battersi in duello, malgrado le suppliche di Leonora.
Atto secondo. Manrico, rimasto ferito nello scontro con il Conte, è riuscito a riparare in un accampamento di zingari fra i monti della Biscaglia, e riposa accanto ad Azucena, che egli ritiene essere sua madre (« Vedi! le fosche... Stride la vampa!... »). La zingara, sollecitata da lui, gli racconta un'altra volta la sinistra storia che la vide protagonista e vendicatrice di colei che, accusata di stregoneria, venne arsa viva dagli armigeri del vecchio Conte di Luna; e rievoca come, avvicinatasi, con il figlio sulle brac cia, alla condannata, poté ascoltare l'ultimo grido di lei che le ingiungeva di vendicarla e, come resa quasi folle dal dolore, per un fatale errore lanciò sul rogo il proprio bambino anziché uno dei due figli del Conte (« Condotta ell'era in ceppi... »). Manrico, fortemente turbato da questo racconto, vorrebbe conoscere finalmente la sua origine, ma la donna lo rassicura, ricordando le numerose prove d'affetto dimostrategli. In quel momento un messaggero viene a comunicare a Manrico che Leonora, credendolo morto in combattimento, ha deciso improvvisamente di entrare in convento; il giovane allora, preoccupato per la sorte dell'amata, si allontana rapidamente. Appresa l'intenzione di Leonora, il Conte di Luna decide di approfittarne, e con alcuni armati penetra nel chiostro per rapire la donna (« Il balen del suo sorriso...»). Manrico però, accorso con un drappello di soldati, riesce a sventare il progetto e a fuggire con Leonora.
Atto terzo. Nel suo accampamento, il Conte è torturato dalla visione di Leonora fra le braccia di Manrico, allorché sopraggiungono alcuni armati conducendo una vecchia in catene: è Azucena che, non avendo più alcuna notizia di Manrico, si aggira desolata nei dintorni alla sua ricerca. Mentre viene interrogata, Ferrando crede di riconoscere in lei la rapitrice e l'assassina del piccolo Garzia; per quanto essa neghi disperatamente, il Conte ordina di trascinarla al supplizio. Manrico e Leonora stanno per unirsi in matrimonio, mentre intorno fervono i preparativi per sostenere l'imminente assalto («Ah! sì, ben mio...»), quando giunge la notizia che gli ar mati del Conte hanno innalzato un rogo destinato ad Azucena. Manrico allora, dopo aver rivelato a Leonora che la zingara è sua madre, si preci pita fuori con i suoi soldati nella speranza di salvarla (« Di quella pira... »). Atto quarto. Sotto la torre dove Manrico, vinto in battaglia, è stato rinchiuso, Leonora ascolta i lamenti del prigioniero cui unisce la propria disperata invocazione (« Timor di me?... D'amor sull'ali rosee... Miserere... »). La donna cerca con ogni mezzo di salvare il suo amato, e al Conte, sopraggiunto per confermare ai carcerieri l'ordine di giustiziare all'alba Manrico e sua madre, offre se stessa in un disperato gesto (« Mira di acerbe lagrime...); il Conte, quasi incredulo, accetta, e Leonora si avvia verso la prigione, dopo aver bevuto, non vista, il veleno contenuto in un anello. Manrico e Azucena giacciono abbandonati in una oscura cella in attesa della morte liberatrice; vegliata dal giovane, la zingara, vinta dalla stanchezza e dalle orrende visioni che popolano la sua mente, si addormenta profondamente («Sì, la stanchezza m'opprime... Ai nostri monti... »). Giunge in quell'attimo Leonora, pallida e vacillante, venuta ad offrire la salvezza a Manrico; questi però intuisce subito a quale prezzo la donna abbia ottenuta la sua libertà e la respinge insultandola: egli comprenderà il sacrificio di lei troppo tardi, soltanto quando la vedrà stramazzare esanime ai suoi piedi, con lo sguardo traboccante d'amore. Il Conte allora, accorgendosi di essere stato ingannato, ordina di decapitare Manrico che, ancora sconvolto, riesce ap pena a rivolgere un ultimo addio ad Azucena. Questa, destatasi dal torpore in cui era caduta, avvicinandosi al Conte gli rivela con un urlo disumano che il trovatore, ora ucciso, altri non era che suo fratello: sua madre è stata dunque vendicata (« Ti scosta... Prima che d'altri vivere... »).