ALCESTE

Christoph Willibald Gluck (1714 - 1987)
Opera in three acts in French
Libretto: Ranieri da Calzabigi
Premièr at the Burgtheater, Vienna - 26 December 1767
27, 29 May - 03 June 1966
Teatro Comunale, Firenze

XXIX. MAGGIO MUSICALE DI FIORENTINO

Conductor: Vittorio Gui
Chorus master: Adolfo Fanfani
Stage director: Giorgio de Lullo
Scene and costumes: Pier Luigi Pizzi


Direttore dell'alesstimento / Production Director: Piero Caliterna
Responsabile dell’allestimento / Production Manager : Egisto Bettini
Registe assistente / Assitant Director: Piero faggioni
Scene realizzate da / Sets Designed by Giovanni Broggi, Bruno Mello, Rafaelle Del Savio
Maestro collaboratore / Accompanists: Marcello Guerrini, Maria Concetta Balducci
Direttore musicale di palcoscenico / Musical Director: Erasmo Ghiglia
Direttore di palcoscenico / Stage Director: Walter Boccaccini
Maestro suggeritore / Prompter: Stelio Maroli
Maestro della banda / Bandmaster: Angiolo Massini
Assistente alla regia / Assistant Director: Giulietta Seylaz
Maestri collaboratori di palcoscenico / Stage Rehearsal Accompanists: Gianni Del Testa, Francesco Prestia
Realizzatore delle luci / Lighting Designer: Guido Baroni
Capo macchinista / Chief Technician: Renato Ciulli
Capo attrezzista / Chief of Props: Giulio Cipriani
Direttore di Scena / Stage Manager: Sergio Coppini
Costumi / Costumes: Cerratelli
Parrucche / Wigs: Filistrucchi
Attrezzi / Props: Rubechini

Alceste LEYLA GENCER soprano [Role debut]
Admeto ANGELO LOFORESE tenor
Grand Sacerdote ERNEST BLANC tenor
Apollo GIOVANNI ANTONINI bass
Evandro ANTONIO PIETRINI tenor
Ismene RENZA JOTTI soprano
L’Oracolo GIOVANNI ANTONINI bass-baritone
Corifee SLAVKA TASKOVA mezzo-soprano
Corifee BIANCAROSA ZABINELLI soprano
Corifee SVALKA TASKOVA tenor
Corifee BIANCAROSO ZANIBELLI baritone
Corifee ROBERTO FERRARO

Corifee ALDO VALORI
Corifee GIANCARLO MANTANARO
Leaders of the People soprano, mezzo-soprano, baritone

Time: Ancient
Place: Pherae

 Recording date

Photos © FOTO MARCHIORI, Firenze
Photos © FOTO FIORENZA, Firenze
Photos © FOTO LOCCHI, Firenze
Photos © GIAN LUIGI CRESCENZI 


Drawings / Sketches © PIER LUIGI PIZZI

I Disegni del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino Inventario – IV (1970 – 1973) Moreno Bucci [2017]

The costume sketches created by Pier Luigi Pizzi by Ranieri de' Calzabigi are not preserved in the Historical Archive of the Theatre. Unknown circumstances disappeared and on an unspecified date. Their location is unknown. No image of the stickers reproduced on the original theater program. No drawing for this show is preserved in the Pier Luigi Pizzi Archive in Venice. The writer thanks Pier Luigi Pizzi for having responded, with precision and friendship, to the numerous questions about the shows staged at the Teatro Comunale of Florence.

For complete information on the staging of the show, we would like to remind you that some preparatory sketches, owned by the artist, were donated in 1990 to the Bibliothèques Nationale de France – Biblioteque Musée de l'Opera in Paris (See


ARRUGA 2006, pl.64)

I figurini realizzati Pier Luigi Pizzi di Ranieri de’ Calzabigi non sono conservati nell’Archivio Storico del Teatro. Sono scomparsi cirsostanze ignote e in data non precisabile. La loro collocazione e sconosciuta. Nessuna immagine dei fugurini riprodatta sul Programma ddi sala originale. Nessun disegno per questo spettacolo e conservato nell’Archivio di Pier Luigi Pizzi a Venezia. Chi scrive ringrazia Pier Luigi Pizzi per aver risposto, con precisione e amicizia, alle numerose domante sugli spettacoli realizzati al Teatro Comunale di Firenze.

Per completzza d’informazione sulla messinscena dello spettacolo, si ricorda che alcuni bozzetti preparatori, di proprieta dell’arista, sono stati donati net 1990 alla Biblioteque Nationale de France – Biblioteque Musée de l’Opera di Parigi (cfr.

Http://catalogue.bnf.fr/ark:/12148/cb396461695 e

ARRUGA 2006, tav.64)

 

Act I Scene I
Act I Scene I
Act I Scene II
Act II
Act III
Act III Oil on Canvas
Act III
Act III































An Alceste figurine presented to Leyla Gencer after her triumphant Alceste performances. 

Unknown date 

AVANTI                                                
1966.03.02                                        

IL PICCOLO                                              
1966.03.02    

LA STAMPA                                              
1966.03.03   

IL PICCOLO                                              
1966.05.27

CORRIERE DELLA SERA                                              
1966.05.28

IL PICCOLO                                              
1966.05.28

LA STAMPA                                                
1966.05.28  

L'UNITA                                           
1966.05.28    

CORRIERE DELLA SERA                                             
1966.06.04

AVANTI                                                
1966.07.26

IL GAZETTINO                                             
2015.03.19
PIER LUIGI PIZZI

La mia Alceste, semplicita e bellezza

Forse non sarà la bellezza a salvare il mondo, ma questa non è una buona ragione per non volervi aspirare con i fallibili strumenti del talento umano. E "Alceste" di Gluck, che domani debutta per la prima volta in Fenice per la regia di Pier Luigi Pizzi con un cast che schiera Carmela Remigio nel titolo del ruolo e Guillaume Tourniaire alla direzione, rappresenta la bellezza nella sua accezione classica: valore e armonia.
«Dopo sessant'anni di carriera - spiega il grande maestro milanese, naturalizzato veneziano - sono sempre più convinto che la bellezza aiuti ad essere migliori». E alla seconda opera della trilogia Calzabigi-Gluck, caposaldo di una riforma teatrale che di fatto ha spazzato l'ancient-regime con le sue convenzioni culturali, dedica uno sguardo maturo, teso alla parola e al personaggio. «Cerco la progressiva sottrazione dagli orpelli - prosegue - il tempo mi ha insegnato che per arrivare al sublime bisogna rinunciare ad ogni personale compiacimento».
Dopo le spettacolarità barocche dell'edizione parigina e la monumentalità dell'edizione scaligera con Muti, Pier Luigi Pizzi sceglie, sul limitare del trecentesimo anniversario dalla nascita del compositore boemo, la versione in italiano scritta per Vienna nel 1767, considerata in genere più arcaica rispetto alla revisione francese di nove anni dopo, e una lettura di grande semplicità formale.

Un'operazione di archeologia musicale?
«Sappiamo benissimo che tradizione non vuol dire museo: condivido l'affermazione secondo la quale la tradizione è una strada il cui traffico si svolge nei due sensi. Se da un lato si prende in prestito quello che si è costruito in precedenza, esiste dall'altro lato un percorso contrario che porta avanti e rinfresca questa stessa tradizione, senza peraltro proporre stravaganze che non sono proprie dello stile di Gluck (e neanche del mio)».

Sente molto la forza del mito nella vicenda?
«Questa è un'opera totale di forte sapore morale e di grande impatto scenico. Ma è anche la storia di una famiglia felice il cui equilibrio si incrina per volere degli Dei, gelosi di questa felicità. Sarà il sacrificio di una donna, emblema di amore disinteressato, a ricomporre questa frattura con un sublime gesto di generosità, che impietosendo i numi,le ridarà la vita».

Alceste è disposta a morire per salvare la vita dell'uomo che ama. Sacrificio o sindrome?
«Sacrificio e forza. Alceste restituisce il ritratto di una femminilità davvero intensa, che non può lasciare indifferenti». 
Lei ha firmato edizioni storiche di Alceste, da Parigi alla Scala, debuttando in quest'opera con Leyla Gencer. Come è cambiata nel tempo la sua percezione?
«Leyla Gencer mi ha ispirato col suo magnetismo e con un pathos che la rende ancor oggi inimitabile. A Parigi per Shirley Verrett ho creato uno spettacolo molto barocco, di grande libertà decorativa. Alceste alla Scala ha prediletto la monumentalità: forse un cristallo troppo perfetto, quasi raggelante».

Oggi, dopo un sessantennio di successi sui palcoscenici del mondo, qual è il motore che muove i suoi lavori?
«La curiosità, rivolta sempre più al teatro come valore in sè. Con questa Alceste ho voluto fare un po' mia la riforma di Gluck. Il dispositivo scenico è vagamente ispirato all'architettura neoclassica degli anni Trenta. Ma è tutto più spoglio, volutamente ricondotto ad un gioco di luci ed ombre. Al centro, la forza della parola e l'esemplare solidità della musica». 

IL MATTINO

2015.03.20
MIRKO SCHIPILITTI

«Alceste ci invita a un teatro essenziale di testo e sentimenti»
Pier Luigi Pizzi firma per la Fenice regia, scene e costumi dell’opera - manifesto di Gluck, per la prima volta a Venezia.
Venezia. Pier Luigi Pizzi torna alla Fenice firmando regia, scene e costumi di “Alceste” di Christoph Willibald Gluck, su libretto di Ranieri de’ Calzabigi, in scena da domani alle 19 nella prima versione in italiano del 1767. L’opera segnò un passo fondamentale nella riforma del teatro musicale, per lo storico manifesto del compositore inserito nella partitura, con cui egli ribadì l’importanza del testo contro gli arbìtri dei cantanti dell’epoca.

Maestro Pizzi, cosa significa mettere in scena un’opera così importante nella storia del teatro musicale?
«È un invito a fare un tipo di teatro che persegua la chiave dell’essenzialità, solo quello che è necessario, rinunciando alla spettacolarità gratuita. C’è la mia estetica e la mia esperienza di uomo di teatro. Il programma di Gluck è da condividere, completamente attuale, per non abbandonarci ai compiacimenti».

Come conciliarlo con l’enfasi dell’apparire della società odierna?
«Non significa che l’immagine debba essere annullata, ma vivere tutti gli elementi nella musica stessa. Gluck sapeva tenere a freno i cantanti, ma pensava assolutamente al teatro. Nella seconda versione di Parigi, egli dà molto spazio alla dimensione visiva, anche per la presenza dei balletti, perché era comunque disposto ad accettare determinate condizioni. Pur ridotta la struttura drammaturgica, si era aperto alla dimensione dello spettacolo, rimanendo un uomo che accettava le regole del teatro, ma senza concedere agli interpreti l’introduzione di varianti secondo il proprio esibizionismo e capriccio».

Quindi la prima versione italiana è la più rigorosa?
«È certamente quella più legata alla riforma. Esige una grande economia di mezzi visivi, con essa cambia moltissimo, di colpo, il rapporto con la parola, che assume grande significato, sulla quale si appoggia il canto. Del resto Calzabigi aveva tutto l’interesse che il suo testo fosse importante quanto la musica. Questo tipo di programma riformista non deve tuttavia essere inteso come un’imposizione di rinuncia a quanto è fondamentale nel teatro: l’emozione. Altrimenti il messaggio sarebbe quello di un teatro raggelato in uno schema riduttivo. Piuttosto, serve a esaltare ciò che vive al suo interno, di valorizzarei sentimenti e un certo patetismo con una forte componente di teatralità, un teatro che punta molto sulla comunicazione al pubblico».

Come ha preferito lavorare?
«Ho scarnificato l’immagine lasciando il campo agli interpreti e al coro. Il soggetto viene da Euripide, con un’impronta da teatro greco. Ismene ed Evandro sono i due corifei, come voci soliste nel coro. Poi ci sono quattro voci che si staccano dal coro, secondo la funzione del coro di essere testimone e commento dell’azione attraverso l’emozione che ne riceve. Ho cercato di chiedere ai cantanti di non perdere una sillaba, ho apprezzato le qualità di Carmela Remigio, non solo lo stile del canto ma la grande umanità e generosità. Miller dice tutto, specie nei recitativi, difficilissimi. Tourniare ha fatto un lavoro molto scrupoloso, conosce molto bene l’opera».

Quanto hanno aiutato le precedenti esperienze con Alceste?
«Un materiale su cui continuare a riflettere e ritornare. Quando lavorai con De Lullo come scenografo e costumista mi impressionò Leyla Gencer, facendomi capire come un interprete sia capace di dare corpo ai suoni. Nella versione italiana lavorata con Muti alla Scala c’era invece un clima neoclassico, molto raggelato in una perfezione ammirevole per il risultato».

Il suo teatro musicale preferito?
«Non ne ho uno, amo un progetto che mi permetta di ricercare ancora. Sembrerebbe che la sperimentazione appartenga alla giovinezza, ma dopo più di 60 anni di teatro continuo a provare lo stesso bisogno di mettere a profitto ogni esperienza di un lavoro intensissimo, senza tregua, senza smettere di convincermi che si può sempre cambiare e rimettersi in gioco con uno spirito nuovo. Questo è il teatro che amo».

Recording Excerpt [1966.05.27]
Divinità infernal Act I Scene VII