DON GIOVANNI

Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)  
Opera in two acts in Italian
Libretto: Lorenzo de Ponte
Premièr at National Theatre, Prague – 29 October 1787
05, 07, 11, 14 February 1960                                    
Teatro dell'Opera, Roma   

Conductor: Vittorio Gui
Chorus master: n/a
Stage director: Margherita Wallmann
Scene and costumes: Veniero Colasanti & John Moore
Chorography: Attilia Radice

The Commandatore PAOLO DARI bass
Donna Anna his daughter GLADYS KUCHTA soprano
Don Ottavio her betrothed LUIGI ALVA tenor
Don Giovanni a young nobleman TITO GOBBI baritone
Leporello his servant ITALO TAJO bass
Donna Elvira a lady of Burgos LEYLA GENCER soprano [Role debut]
Zerlina a country girl ELENA RIZZIERI soprano
Masetto her betrothed LEONARDO MONREALE baritone

Time: Seventeenth Century
Place: Seville

Photos © FOTO REALE, Roma
Drawing © FIORELLA
 


GENCER ALLA OPERA DI ROMA 

DON GIOVANNI 
STAGIONE 1959 – 1960
https://archiviostorico.operaroma.it/edizione_opera/don-giovanni-1959-60/





WITH HER FRIENDS AND RELATIVES AFTER A DON GIOCABBI PERFORMANCE 

1960

CONTRACT FOR THE PERFORMANCES

1959

OPERA MAGAZINE                                                            
1959 December

AVANTI                                                              

1960.02.05                                                                                                  ,

LA VANGUARDIA                                                           
1960.02.13 

OPERA MAGAZINE                                                            
1960 May

LA REPUBBLICA
1984.11.25
MICHELANGELO ZURLETTI

Piu' buffo o piu' drammativo? ...

Un Capolavoro pericoloso se dovessimo desumere la popolarità di un' opera come Don Giovanni dal numero delle rappresentazioni, ci troveremmo di fronte a un caso curioso e incomprensibile, in cui la massima popolarità coincide con la minima frequentazione. Nella storia di tutti i teatri Don Giovanni ha avuto scarsa fortuna. E tale fortuna è riecheggiata, su un piano internazionale, dalla relativa quantità di proposte discografiche (e ci limitiamo a parlare di quantità: se affrontassimo il problema della qualità il discorso si farebbe più inquietante). Basti pensare che la Deutsche Grammophon, ossia la casa discografica più attenta al patrimonio di cultura germanica, ha soltanto due edizioni in catalogo: quella, ormai vecchia, di Fricsay e quella assai discutibile di Bhm. In realtà, le edizioni discografiche accertate del capolavoro mozartiano, dalla prima edizione del 1934 a oggi sono trentatrè: che non sarebbe poca cosa (sempre meno, comunque, del successo raggiunto da opere più fortunate come Aida, (44 versioni), Traviata (42), Carmen (38); il fatto è che si tratta di versioni in gran parte introvabili, roba da collezionisti o da antiquariato: i negozi non offrono più di cinque o sei edizioni, ivi comprese quelle storiche e quelle Live. In teatro le cose non sono andate meglio. Solo Salisburgo può vantare sedici diverse edizioni (diverse per regia, non sempre per allestimento): e si tratta del tempio mozartiano per eccellenza. Se ci dovessimo attestare sul Teatro dell' Opera di Roma conteremmo, a cominciare dalle stagioni del Costanzi, appena sei edizioni: una diretta da Faccio nel 1886, una del 1935 diretta da Serafin, una del 1948 con Bhm, quella, tuttora celebrata, di Karajan nel ' 53 (con Schwarzkopf, Noni, Gedda, Bruscantini, Panerai e Petri protagonista), una del ' 63 diretta da Gui con regia della Wallmann (Gencer, Rizzieri, Gobbi, Alva e Tajo) e una del 1970 diretta da Boetcher con regia di Piccinato. Il tutto per non più d' una trentina di recite. E pensiamo subito alle quindici edizioni di un' opera non facile come Tristan e, su un piano fatalmente più popolare, alle quasi quattrocento recite di Tosca. Come mai tanta reticenza di fronte a Don Giovanni? Il caso del regista Gnther Rennert è emblematico. Dopo aver realizzato quattro versioni dell' opera, nel 1968 il gran regista annunciava su Die Zeit il fermo proposito di non voler più affrontare un capolavoro così pericoloso. L' opera gli sfuggiva dalle mani. Stabilito, ed era la sua scelta, che Don Giovanni è un centro negativo dal quale si dipartono e al quale tendono tutti gli altri personaggi, come rappresentare un centro negativo? Si poteva partire, con la consapevolezza di quella negatività, dagli elementi comici e incastrarvi quelli drammatici? O si doveva privilegiare l' aspetto drammatico incastonandovi i momenti buffi? E quando essi coesistevano, ed è la quasi totalità dei casi, che fare? Non è un caso se, dal momento in cui Rolf Liebermann decise di fare un film su Don Giovanni, la patata bollente della regia passò da Chèreau a Zeffirelli, da questi a Kubrick, da Kubrick a Polanski per poi concretizzarsi nel calligrafismo e nella asetticità da clinica di Losey. Si direbbe che le preoccupazioni di Rennert siano epidemiche. O, almeno, bisogna dire che l' ambiguità dell' opera fa paura a tutti. Ed è un' ambiguità estesa a tal punto da negare un centro focale drammatico intorno al quale volgere le fila. E se pensiamo che, dal punto di vista musicale, i problemi non sono certo minori, se ne deduce una generale difficoltà di allestimento: ciò che giustifica la scarna statistica sopra ricordata. Meglio non rappresentarlo, eseguirlo soltanto, pensava Rennert. Ma volendolo comunque rappresentare, si potrebbe pensare, diceva, a qualche struttura barocca, qualche piattaforma scrorrevole, a un agile scorrimento di quadri, a una semplicità quasi da esecuzione oratoriale. Ora il Teatro dell' Opera annuncia un' edizione che ha molti ruderi (anche se non barocchi), macchine per spostare agevolmente i quadri, compresenza di buffo e di drammatico. Un' idea che sembra andare in direzione di Rennert. Quanto alla semplicità, spetta a Peter Maag realizzarla: e Maag ha tutti i numeri per affrontare il capolavoro con sensibilità e intelligenza; e, viste le precedenti esperienze, senza far pendere l' ago della bilancia sull' uno o sull' altro dei due lati coesistenti del buffo e del drammatico. Resta aperto il problema dell' orchestra, non particolarmente mozartiana, e resta aperto il problema dei cantanti, nessuno dei quali è una star (per fortuna) e molti dei quali affrontano l' opera per la prima volta: a cominciare dal protagonista Silvano Carroli. Una sfida coraggiosa, si direbbe, da parte di un teatro che si presenta con un vertice rinnovato e, finalmente, con un po' di grinta.